mucche
L’uso illegale dei promotori della crescita sono un problema per la sanità pubblica in Italia e in Europa

Arrivano dalla ricerca scientifica nuove garanzie sulla sicurezza della carne che consumiamo. È il tema dell’intervento di Bartolomeo Biolatti, docente presso la facoltà di veterinaria dell’Università di Torino, al convegno sulla Sicurezza alimentare organizzato a Roma il 5 novembre dalla Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva sulla lotta al doping in zootecnia. A Biolatti  abbiamo chiesto di anticipare, insieme alla ricercatrice Tiziana Cannizzo coautrice della relazione, i punti salienti.

«Malgrado gli effetti nocivi dei promotori della crescita nell’animale e nell’uomo, l’uso illegale negli allevamenti costituisce un problema per la sanità pubblica, sia in Italia sia in altri paesi europei. Vale la pena ricordare che stiamo parlando di sostanze attive, naturali o di sintesi, che influenzano la velocità di crescita degli animali e modificano parzialmente la composizione delle carni. Tra queste troviamo gli steroidi sessuali, che servono ad aumentare la crescita dell’animale e in particolare della massa muscolare stimolando la sintesi proteica. Poi ci sono i ß-agonisti che hanno un effetto detto di ripartizione di energia, rallentando l’eliminazione delle proteine e accelerando quella dei grassi, i corticosteroidi che aumentano l’appetito, e migliorano la distribuzione del grasso sottocutaneo, i farmaci che inibiscono la produzione di ormoni tiroidei causando ritenzione idrica e aumento di peso, e altro ancora. L’uso di queste sostanze è vietato nell’Unione Europea dal 1988, mentre alcune sono ammesse negli Usa». In realtà sono ancora utilizzate in modo clandestino, soprattutto per i bovini, perché rappresentano un vantaggio economico rilevante. «Questi farmaci costano poco -prosegue Biolatti- e consentono di aumentare anche di poco la velocità di accrescimento di un bovino. Il altre parole vuol dire risparmiare molto in mangimi e non solo». Tanto che a livello europeo esiste un vero e proprio mercato nero di sostanze destinate agli animali di allevamento ma anche al doping sportivo e ai culturisti.

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I nuovi esami sono più economici di quelli chimici

I dati rassicuranti che arrivano dai Piani Nazionali Residui dei paesi comunitari su questo tema sono da prendere con un pizzico di cautela (su Il Fatto Alimentare ne abbiamo già parlato). «I controlli avvengono su una piccola percentuale di capi – spiega Biolatti –  mentre per limitare il ricorso a pratiche illecite, servirebbe una maggior pressione da parte degli organi preposti». Inoltre l’analisi chimica diretta, che è il metodo validato per le verifiche, pur essendo sensibile e specifica, presenta alcuni inconvenienti, «tra cui la mancanza di standard per identificare le nuove molecole costantemente introdotte sul mercato nero, e il costo elevato che ne limita l’utilizzo».

Ci sono però nuovi metodi di analisi indiretta basati sull’esame istologico di determinati organi – come la prostata, la ghiandola bulbo-uretrale e il timo – dove le sostanze chimiche possono accumularsi, sia su indagini molecolari in grado di individuare l’effetto di questi medicinali vietati sull’espressione genica. «Uno dei principali vantaggi dei nuovi metodi – spiega Tiziana Cannizzo – è la tempistica. Con i sistemi tradizionali le sostanze proibite sono rintracciabili solo se il prelievo viene fatto  a distanza di 24/48 ore dal trattamento illecito. Valutando invece gli effetti sull’organismo e sull’espressione di alcuni geni che permangono per un paio di settimane, l’individuazione di trattamenti vietati sugli animali è più facile. L’altro vantaggio è che non è necessario sapere esattamente la sostanza utilizzata: basta verificarne l’effetto». Questi esami poi, più economici di quelli chimici, permetterebbero di aumentare il numero dei controlli, e di eseguirli anche quando le matrici organiche necessarie per fare analisi chimiche – urine e sangue – non siano più disponibili.

Allevamenti
La lotta al doping dovrà necessariamente utilizzare un approccio integrato

Purtroppo queste prove innovative non sono ancora diffuse. «I test molecolari non sono ancora in uso nell’UE, mentre l’esame istologico è impiegato ufficialmente in Italia dal 2008 all’interno del Piano nazionale residui, per rilevare e valutare l’uso illegale di ormoni promotori della crescita su alcuni campioni. C’è però un problema, le prove realizzate con i nuovi sistemi non sono risolutivi perché forniscono il sospetto, ma non la certezza che l’animale sia stato trattato con una sostanza proibita. Il loro scopo è di servire da screening – ricorda Biolatti – per capire come orientare successivi accertamenti, di tipo chimico o di altro genere, per esempio i controlli dei Nas». In alcuni casi i test sono effettuati come forma di autocontrollo, all’interno di consorzi di razze pregiate o da operatori della grande distribuzione per assicurarsi che i fornitori rispettino le normative. In prospettiva, conclude Biolatti, «la lotta al doping in zootecnia dovrà necessariamente utilizzare un approccio integrato, in cui i metodi analitici classici si devono intrecciare con quelli innovativi, laddove questi si dimostrino più efficaci».

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patrizia
patrizia
19 Novembre 2015 11:59

io ho smesso di nutrirmi di esseri senzienti da un bel po! sono felice! non salvero’ il mondo ma almeno non contribuisco alla sua distruzione