Quando scatta l’allerta alimentare nessuno avvisa i cittadini. Il silenzio assordante di supermercati, aziende e ministeri che per legge devono fornire le informazioni
Quando scatta l’allerta alimentare nessuno avvisa i cittadini. Il silenzio assordante di supermercati, aziende e ministeri che per legge devono fornire le informazioni
Roberto La Pira 4 Luglio 2013Il Ministero della salute negli ultimi 40 giorni ha inviato a Bruxelles al Sistema di allerta europeo quattro allerta riguardanti partite di frutti di bosco vendute in Italia, contaminate dal virus dell’epatite A. La prima comunicazione risale al 17 maggio, l’ultima al 24 giugno.
Con una certa fatica Il salvagente e Il fatto alimentare hanno individuato i nomi, i marchi e i lotti dei prodotti coinvolti e li hanno diffusi in rete. Si è scoperto così che la stessa azienda Green Ice è stata pizzicata due volte, e che l’elevato numero di persone colpite da epatite A in Trentino è probabilmente da collegare all’ingestione di frutti di bosco contaminati. Secondo le autorità sanitarie le aziende hanno già provveduto agli opportuni ritiri e richiami presso i punti vendita ed è stato attivato un gruppo di lavoro composto da esperti del ministero, dell’Istituto Superiore di Sanità e dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna per seguire la vicenda.
Ma l’aspetto più critico della storia riguarda il silenzio assordante del Ministero della salute, che non ha diffuso l’elenco dei prodotti coinvolti nell’allerta, anche se probabilmente diverse confezioni di frutti di bosco surgelati si trovano ancora nel freezer delle famiglie. L’altro elemento poco conosciuto è che in Italia la ricerca del virus dell’epatite A si può fare solo in due centri specializzati (l’Istituto zooprofilattico di Brescia e la sede di La Spezia dell’Istituto zooprofilattico del Piemonte). Si tratta di un particolare che ha probabilmente rallentato le indagini e i controlli.
L’altra criticità riguarda il silenzio delle aziende coinvolte che, pur avendo l’obbligo di informare i consumatori, non lo hanno fatto con la solerzia necessaria. Anche i supermercati sono coinvolti in questa storia, ma le grandi catene quando scatta un’allerta il più delle volte latitano. I loro siti non hanno uno spazio dedicato ai richiami e questo è molto grave. Perché in Francia e in altri Paesi europei queste informazioni circolano tranquillamente. Per dovere di cronaca va detto che Carrefour ha iniziato timidamente a pubblicare in rete la lista dei prodotti con il suo marchio sottoposti a richiamo, ma adesso il servizio è interrotto.
È bene ricordare che gli allerta riguardano problemi seri come la contaminazione da Listeria, la presenza di virus dell’epatite A, di allergeni non dichiarati in etichetta, di corpi estranei nel cibo, contaminazione da mercurio e diossine…. Aziende, catene di supermercati e ministri che dicono di considerare la sicurezza alimentare un elemento primario, dovrebbero fare una riflessione su questo problema e dare risposte convincenti ai cittadini. Aspettiamo fiduciosi.
Roberto La Pira
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
Per legge devono ritirare il prodotto se questo costituisce pericolo. L’informazione che devono dare al consumatore serve a quello. Stessa cosa per il Ministero della Salute. Se sono riusciti a ritirare il prodotto prima che venga venduto al consumatore finale, non vi è alcun obbligo d’informazione. A meno che non si voglia fare allarmismo ingiustificato.
Il recentissimo caso dei frutti di bosco surgelati contaminati dal virus dell’epatite A ha colpito decine di persone. Si tratta di un episodio grave perchè sono state vendute molte confezioni in diversi supermercati, ma dopo la scoperta del virus nessuno ha infrmato i cittadini. Non lo ha fatto il Ministero della salute, non lo ha fatto l’azienda con un comunicato stampa, non lo hanno fatto i siti dei supemrercati. Il problema si pone decine di volte in un anno ma nessuno dice niente. Questo vuol dire fare allarmismo? O forse c’è qualcuno che dovrebbe fornire notizie ai consumatori come dice la legge e non lo fa?
Considerando che presso il sistema sanitario i registri delle malattie non sono quasi mai collegati in rete , che , se non è una malattia ultra gravissima , un rialzo della percentuali di alcune malattie non viene di sicuro segnalato alla popolazione , ecco che allora , se non dici nulla, se tutto rimane nell’ambito di pochi addetti , non succede niente , nessuno può denunciare nessuno e il guaio della malattia e di eventuali postumi rimane al malcapitato. In oltre se c’è stata contaminazione e non c’è stato ritiro , dal punto di vista casistico è molto probabile che ci siano confezioni contaminate da qualche parte in qualche frizer
Concordo con Luigi: se è dimostrato e dimostrabile che i lotti contaminati non sono stati acquistati da consumatore finale, il problema non si pone.
Se invece i supermercati hanno venduto ai consumatori prodotti col lotto incriminato, la situazione è differente. Ma io mi auguro che chi ha (avrebbe dovuto?) vigilare sulla cosa, abbia effettuato le verifiche del caso. Fare una verifica di quel tipo nei supermercati è un’operazione banalissima e nemmeno troppo lunga…
I prodotti contaminati già venduti e somministrati non sono evidentemente più recuperabli e sicuramente hanno prodotto quei casi d’intossicazione. Avete prove concrete che altri prodotti pericolosi immessi in commercio ma non ancora consumati non siano stati immediatamente ritirati? Bene. Denunciate tutto alla magistratura. Dire che “probabilmente diverse confezioni di frutti di bosco surgelati si trovano ancora nel freezer delle famiglie” senza averne prove certe è allarmismo.
Ad ogni modo è corretto chiedere che i siti dei supermercati abbiano una parte dedicata al recall dei prodotti.
La legge dice che in caso di allerta bisogna informare i consumatori. Non siamo noi che dobbiamo farlo ma i produttori, il Mnistero e i supermercati. Qualcuno non rispetta la legge e forse su questi soggetti bisognerebbe focalizzare l’attenzione. I prodotti surgelati si tengono in freezer mesi e le decine di vittime attestano che probabilmente i frutti di bosco sono ancora in qualche casa.
Concordo Con Roberto La Pira: si tratta di frutti di bosco surgelati e spesso si comprano e si mettono in freezer, consumandoli poco alla volta. anche perché le confezioni sono spesso abbondanti, diversamente dal prodotto fresco e quindi le intossicazioni possono verificarsi anche a distanza. Una volta certi, l’informazione va portata al cliente, come va portata l’informazione di cessato pericolo, una volta accertato. Forse i due commentatori non sono usi a far la spesa e a sistemare la dispensa.
Sig.ra Gisella, probabilmente non ha letto con attenzione il mio commento. Non è questione di essere usi o non usi a fare la spesa; nel mio caso poi la faccio personalmente tutte le settimane. E’ questione di definire la cosa in modo corretto. Se si dimostra che il lotto incriminato è stato consegnato ai punti vendita, ma non venduto al consumatore finale, il ritiro dal punto vendita è sufficiente allo scopo. Se così non fosse, come giustamente si è detto, vanno informati tempestivamente i consumatori. Io non ho i dati per saperlo, (ma chi controlla li deve avere e visto che è anche il responsabile della chiusura dell’allerta – parlo di NAS, ASL, o quale fosse l’organo deputato al controllo in quel caso – si presume abbia la competenza necessaria per svolgere il suo ruolo in modo efficace) però potrebbe essere che il lotto oggetto della segnalazione sia arrivato ai punti vendita ma non al consumatore finale, mentre le decine di vittime possano essere dovute ad un lotto differente, contaminato anch’esso ma che non è stato rilevato dal sistema di allerta e che quindi non è stato oggetto nè di richiamo nè di ritiro. O potrebbe benissimo essere che chi avrebbe dovuto informare i consumatori non lo abbia fatto, certo. Ma in quel caso, forse significa che il tanto decantato sistema di controlli italiano è tuttaltro che infallibile.
Che poi il sistema di allerta funzioni in modo alquanto discutibile è evidente, ma in entrambe le direzioni. Basta pensare al caso della carne equina, dove non sussisteva alcun rischio per la salute umana, eppure si sono fatti ritiri, richiami e si è discusso per giorni sui media, creando sì inutile allarmismo, mentre passano inosservati casi ben più gravi come questo o come quello che ho letto poche settimane fa della presenza di uova (allergene) nella pasta se non sbaglio…
Ma se, come afferma l’articolo, molta gente si era intossicata e i prodotti erano stati ritirati dai punti vendita e non presso la ditta produttrice, appare chiaro che diverse confezioni erano state vendute; che ne hanno fatto gli acquirenti? Al momento del ritiro presso i rivenditori, esistevano clienti che se li erano comperati e messi in freezer per consumarli successivamente? L’ipotesi era realistica e per questo l’informazione andava diffusa. Come dice La Pira, la cui solerzia e precisione conosco dai tempi in cui faceva parte di Altroconsumo, ” I prodotti surgelati si tengono in freezer mesi e le decine di vittime attestano che probabilmente i frutti di bosco sono ancora in qualche casa”. Su questo mi pare vertesse il discorso del giornalista e l’informazione andava fatta. Lo dico da persona che talvolta acquista frutti di bosco surgelati e che, appena letto, è andata a vedere subito la marca della confezione in freezer.
Allora, se ipotizziamo questo caso (molto probabile) e se davvero si è certi (lo si è? chiedo) che nei punti vendita non sia stata presa nessuna misura per avvertire il consumatore finale, ribadisco, bisogna prendere atto del fatto che gli organismi deputati al controllo e alla vigilanza nel settore alimentare siano tutt’altro che eccellenti, come da più parti si vuole far pensare.
La Pira nel suo articolo dice a proposito dell’allerta:perché in Francia e in altri Paesi europei queste informazioni circolano tranquillamente e da noi no? Perchè in Italia le leggi ci sono,il problema che non sono uguali per tutti.Qui si preferisce multare le persone che imprecano piuttosto che quelle che mettono in pericolo la salute.L’ultima dimostrazione l’abbiamo stamane,(da tg com 24)dove la Cassazione ha multato 1000 euro un cittadino perchè ha voluto dire che l’Italia è un paese di…
Scusate, mi permetto di intervenire. Qui, secondo me, la questione non è se le buste sonono o no arrivate ai consumatori. Il problema è un altro: in Italia l’informazione su tematiche legate all’alimentazione è scarsa e spesso grossolana e contraddittoria, spesso demandata a persone senza alcuna legittimazione o esperienza (a parte il lodevole lavoro del Fatto Alimentare e pochi altri siti/blog): a trasmissioni TV che si occupano di cucina (oggi sono diventati tutti cuochi ed esperti di alimentazione) o riviste generaliste di largo consumo che parlano di tutto e di niente. Mi fa specie che anche importanti testate giornalistiche italiane spesso riportino informazioni in modo poco accurato quasi sempre mettendo sulla cattedra figure professionali non specialistiche (i medici, per esempio, spesso ignorano completamente le tecnologie alimentari….).
Le stesse “associazioni di consumatori” spesso sono più preoccupate del prezzo piuttosto che di informare seriamente il consumatore….
In questo quadro sconfortante, anche le istituzioni, sono più che carenti in merito ad allerta igienico-sanitarie e comunicazione con il consumatore: in un mondo che vuole essere liberista la chiave del tutto deve essere l’immediata e trasparente informazione, per cui se un’azienda ha avuto un problemache può implicare problemi per il consumatore finale, allora bisogna che i nomi siano fatti e che l’informazione giri velocemente, partendo dal presupposto che tutti possono sbagliare. Ma se uno sbaglia si deve sapere, soprattutto se è recidivo.
Al di là della differenza tra ritiro e richiamo, dettata chiaramente dal Reg. 178/2002, su cui in pratica state dibattendo tanto, sul singolo caso, forse il problema è invece che il consumatore viene lasciato volutamente in un limbo di ignoranza (nel senso proprio del termine “ignorare”) sui temi del mondo alimentare perchè questo giova agli interessi di molti, comprese le istituzioni e le associazioni di consumatori o di produttori.
Scusate il papiro.
Costringono le attività alimentari a costi elevati per la sicurezza igienico-sanitaria e poi non serve a nulla. Mi chiedo se importi veramente la sicurezza pubblica.
sono pienamente d’accordo con l’articolo.
sul sito del ministero della salute si trovano solo notizie vecchie di mesi. forse non vogliono procurare allarmismo ma…certo non aiutano noi consumatori.
se non fosse per quest’ottimo sito e altre lodevoli iniziative…saremmo all’oscuro di tutto.
un caso concreto: il tonno carrefour ritirato alcune settimane fa, di cui ho letto proprio qui sul sito (e da nessuna altra parte).
trovare la notizia sul sito della carrefour è stata un’impresa.
Nel punto vendita carrefour dove di solito vado, il tonno era lì, nessun cartello o nessun avviso era nelle vicinanze, nè al box informazioni.