coppia menu ristoranteMa non sono questi i modi né i tempi. Non sono i modi, poiché ogni prescrizione deve trovare chiaro fondamento in una norma, e non può venire inferita con interpretazioni creative o analogiche. Non è il tempo, poiché introdurre questo sacrosanto principio richiede termini di adeguamento idonei a garantire la sua effettiva applicazione. E ciò comporta la divulgazione e la formazione di centinaia di migliaia di esercenti, e del loro personale, ai fini dell’efficace applicazione di buone prassi igieniche e autocontrollo. Bisogna spiegare a milioni di individui il significato di quell’acronimo sconosciuto a quasi tutti, Haccp, che pure campeggia sui quadretti appesi al muro di ogni locale. E pretenderne la corretta applicazione, a tempo debito.

 

pagare soldi ristorante

Il rischio di una manovra scoordinata e frettolosa è quello di ripetere gli errori del passato  manuali Haccp pressochè ignorati e cartelli unici degli ingredienti prestampati, privi di alcuna connessione con la specificità dei prodotti esposti). In questo caso, il rischio è duplice:

– vedere stampigliati sui menù e nei locali pubblici elenchi onnicomprensivi degli ingredienti allergenici (‘Può contenere …’ o peggio ancora, ‘Prodotto in un esercizio ove si lavora …’ di tutto e di più, dalla soia alle arachidi, il latte e i crostacei), di nessuna utilità per i consumatori allergici,

– vedere concessa, in uno o più Stati membri, la modalità demenziale di ‘informazione verbale’ sulla presenza, effettiva o potenziale, di ingredienti allergenici. Di nessuna utilità e pure pericolosa, tenuto anche conto della elevata turnazione della forza lavoro nel settore terziario, aggravata dalla stagionalità di alcuni impieghi nelle località turistiche, e della imponderabilità dei controlli ufficiali sul ‘sentito dire’.

Dario Dongo

© Riproduzione riservata

foto: istockphotos.com

sostieniProva2

Le donazioni si possono fare:

* Con Carta di credito (attraverso PayPal): clicca qui

* Con bonifico bancario: IBAN: IT 77 Q 02008 01622 000110003264

 indicando come causale: sostieni Ilfattoalimentare

 

 

 

 

0 0 voti
Vota
5 Commenti
Feedbacks
Vedi tutti i commenti
Massimo Tarditi
10 Dicembre 2014 12:06

La norma c’è, è chiara, risale al 2011. La confusione l’hanno portata quelli che, intorno al 2011, hanno iniziato a sostenere che l’unica modalità possibile per l’informazione sugli allergeni nei ristoranti fosse quella basata sul registro degli ingredienti, stile Autogrill. Noi, qui in Piemonte, assieme a EPAT (Esercizi Pubblici Associati Torino, Confcommercio), nel 2011 abbiamo iniziato a lavorare su un modello di cartello unico, ora realizzato, pubblicamente presentato a tutte le parti in causa che lo hanno condiviso, utilizzato, che ci sembra mediare degnamente tra le esigenze di informazione al consumatore e l’esigenza di “non gravare di inutili oneri le piccole imprese”, come del resto indicato nei “considerando” dei regolamenti del pacchetto igiene. Il cartello è a disposizione di tutti i soci EPAT-ASCOM. Si fa anche formazione gratuita per gli associati, sulla compilazione corretta e sulla corretta informazione al consumatore.

monica mimangiolallergia
18 Dicembre 2014 15:50

La conclusione dell’articolo trova il consenso di moltissimi consumatori allergici. Grazie per le puntualizzazioni, io non avrei saputo trovare parole migliori.

Sarebbe auspicabile anche una formazione degli addetti ai lavori, così anche di chi tiene i corsi per Somministrazione Alimenti e Bevande, obbligatori per tutti, con o senza pregresse esperienze, capillare e non lasciata alla buona volontà di pochi, non solo teorica, ma anche pratica anche sulla lettura delle etichette non sempre trasparenti come già evidenziato (la dicitura Può contenere … limita più consumatori di quanti dovrebbe) e non sempre chiare.

Per esempio… Se Lei fosse un allergico, non si aspetterebbe di leggere sulla confezione di tarallucci -che tra gli ingredienti riportati in etichetta hanno il vino- la dicitura “Contiene solfiti” oppure “Non contiene solfiti”, come dovrebbe avvenire per il vino, bianco o rosso che sia? Forse chi è intollerante ai solfiti non li compra, ma tutti gli altri? Parenti, amici, ristoratori, esercenti vari… hanno così presente la problematica?

Se mi metto nei panni del produttore, mi rendo conto che anche chi è in buona fede e vuole fare del suo meglio… a volte può trovarsi in seria difficoltà a rispettare la legge perché non è tutto così chiaro.

Sarebbero necessari altri provvedimenti ma non è la sede, ma articoli come questo contribuiscono almeno ad arginare il fiume in piena.

ezio
ezio
18 Dicembre 2014 19:12

Io penso che più che confusione queste norme stiano creando panico e non per la mancanza di chiarezza o di libere interpretazioni nazionali.
Quello che manca è il buon senso ed un minimo di esperienza pratica dei pretesi legislatori.
Se per un prodotto fabbricato in aziende alimentari c’è ricerca, controllo qualità di tutta la filiera e capacità tecnologica di sostituire ingredienti allergenici, in una cucina di ristorante o pizzeria non esiste nessuna di queste possibilità e capacità.
Nella cucina tradizionale nazionale, regionale e paesana gli allergeni regnano sovrani e pretendere che un cuoco riesca a controllarli non è impossibile, è demenziale.
Su tutto, basti pensare a cosa si deve fare per produrre un alimento senza glutine in tutte le realtà produttive, se estendiamo il metodo a tutti gli altri allergeni, chiudiamo tutte le somministrazioni di cibo.
Una certificazione tipo spiga per ogni allergene?
Va bene ed è fattibile per l’industria alimentare, ma per la sommistrazione di cucinato in loco, è pura folle teoria, che verrà risolta con un banale e scontato cartello omnicomprensivo.
Chi vorrà rischiare di fare danni da risarcire?Complicando le cose si otterrà solamente di non proteggere nessuno.

Massimo Tarditi
19 Dicembre 2014 09:31

Il cartello unico che viene proposto qui a Torino (ieri ne ho visto il primo esemplare utilizzato in un bar) informa gli allergici sui piatti e categorie che contengono ogni singolo allergene. Per studiarlo mi sono (ci siamo) messo nei panni di un allergico. E anche in quelli di un piccolo ristoratore, peraltro.
Per l’avv. Dongo: noto un’imprecisione nel Suo articolo: si sottintende una differenza tra somministrazione e vendita. Questa differenza non esiste più. Il reg. 1169 rimanda (art. 2, comma 1, lettera a) alle definizioni del reg. 178/2002 (in particolare per quella di “commercio al dettaglio”). L’art. 3 del citato reg. 178 include esplicitamente gli esercizi di ristorazione nella “vendita al dettaglio”. Pertanto vendita e somministrazione, ai fini dell’etichettatura e informazione al consumatore, sono concetti ormai coincidenti. Come già lo sono, da dodici anni, ai fini della sicurezza alimentare.

Daniele
Daniele
21 Dicembre 2014 11:16

E’ ASSOLUTAMENTE RIDICOLO! Fatto salvo l’importanza di tutelare la salute delle persone, è ridicolo che il ristoratore SIA OBBLIGATO ad educare ed informare le persone trasformando il menù in un ricettario che non è una questione banale estetica ma di dover costantemente aggiornare il menù con il rischio che comunque qualche piatto sia stato contaminato in quanto si lavorano più materie nello stesso posto. Se una persona è allergica spero che lo sappia, quindi basterebbe avvisare il ristoratore. E’ una semplice questione di buon senso, che si sta trasformando in un caos! Il ristoratore oltre al proprio lavoro, oltre a dover essere intrattenitore, oltre a fare il psicologo, adesso deve diventare pure nutrizionista?!