Prosegue la confusione sui presunti obblighi che il regolamento (UE) 1169/11 avrebbe introdotto a carico dei ristoratori e pubblici esercenti già a partire dal 13 dicembre. Il Fatto Alimentare aveva esposto la propria tesi in tempi non sospetti, nell’ebook L’Etichetta. A pochi giorni dal varo delle nuove norme, la Commissione introduce nuovi spunti di incertezza. Ritorniamo dunque sul tema. Il Fatto Alimentare ha sempre dedicato peculiare attenzione alla tutela dei consumatori allergici e celiaci. Abbiamo riconosciuto il valore del regolamento UE 1169/2011 sotto entrambi i profili, l’introduzione dell’obbligo di evidenza grafica degli allergeni in lista ingredienti e l’estensione dell’obbligo a prodotti venduti sfusi e preincarti. Senza tuttavia ritenere, come invece creduto da altre parti, che la riforma abbia già definito un obbligo di informazione specifica a carico di ristoratori e pubblici esercenti.
Il regolamento UE 1169/11 riferisce l’inderogabile obbligo di informativa sulla presenza di allergeni (all’articolo 44, ‘National measures for non-prepacked food‘) alle seguenti ipotesi:
– alimenti non preimballati offerti in vendita al consumatore finale o alle collettività (‘Where foods are offered for sale to the final consumer or to mass caterers without prepackaging’),
– alimenti incartati sul punto vendita a richiesta del consumatore (‘where foods are packed on the sales premises at the consumer’s request ‘),
– alimenti preimballati ai fini della vendita diretta (‘or where foods are prepacked for direct sale’).
La norma non cita i prodotti somministrati dalle collettività al consumatore finale, sebbene gli stessi siano espressamente inclusi nel campo di applicazione generale del regolamento. Ove si distinguono – nell’insieme degli alimenti destinati al consumatore finale (‘all foods intended for the final consumer’) – quelli somministrati dalle collettività ai consumatori finali (‘foods delivered by mass caterers‘), e quelli rivolti alla fornitura delle collettività (‘foods intended for supply to mass caterers‘. Cfr. articolo 1, comma 3).
La Commissione europea, pochi giorni prima dell’applicazione del regolamento, ha tuttavia proposto – e anzi, dato per scontata – una interpretazione del tutto diversa da quella di cui sopra. Il 25 novembre la DG Sanco ha pubblicato, in vista di una consultazione ‘natalizia’ da chiudere il 4 gennaio, uno schema di linee guida per l’informazione in tema di allergeni che rilegge l’articolo 44 in via creativa, adducendo che tra gli alimenti non preimballati debbano intendersi pure quelli preparati e somministrati da esercizi di catering o ristoranti (‘Under the Regulation, according to Article 44(1)(a), the information on the presence of substances or products causing allergies or intolerances is also mandatory for non-packed foods, including foods prepared and delivered by catering establishments or e.g. restaurants, and for foods which are packed on the sales premises at the consumer’s request or prepacked for direct sale.‘). Questa è senza dubbio la direzione corretta (lo abbiamo sempre sostenuto e lo ribadiamo). Poiché è un sacrosanto diritto dei consumatori vulnerabili ricevere una tutela appropriata in tutti i pubblici esercizi e luoghi di ristoro, a maggior ragione ove si considerino la crescita delle allergie alimentari nella popolazione europea e soprattutto l’incremento esponenziale dei pasti fuori casa, che in alcuni Paesi superano quelli tra le mura domestiche.
Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
La norma c’è, è chiara, risale al 2011. La confusione l’hanno portata quelli che, intorno al 2011, hanno iniziato a sostenere che l’unica modalità possibile per l’informazione sugli allergeni nei ristoranti fosse quella basata sul registro degli ingredienti, stile Autogrill. Noi, qui in Piemonte, assieme a EPAT (Esercizi Pubblici Associati Torino, Confcommercio), nel 2011 abbiamo iniziato a lavorare su un modello di cartello unico, ora realizzato, pubblicamente presentato a tutte le parti in causa che lo hanno condiviso, utilizzato, che ci sembra mediare degnamente tra le esigenze di informazione al consumatore e l’esigenza di “non gravare di inutili oneri le piccole imprese”, come del resto indicato nei “considerando” dei regolamenti del pacchetto igiene. Il cartello è a disposizione di tutti i soci EPAT-ASCOM. Si fa anche formazione gratuita per gli associati, sulla compilazione corretta e sulla corretta informazione al consumatore.
La conclusione dell’articolo trova il consenso di moltissimi consumatori allergici. Grazie per le puntualizzazioni, io non avrei saputo trovare parole migliori.
Sarebbe auspicabile anche una formazione degli addetti ai lavori, così anche di chi tiene i corsi per Somministrazione Alimenti e Bevande, obbligatori per tutti, con o senza pregresse esperienze, capillare e non lasciata alla buona volontà di pochi, non solo teorica, ma anche pratica anche sulla lettura delle etichette non sempre trasparenti come già evidenziato (la dicitura Può contenere … limita più consumatori di quanti dovrebbe) e non sempre chiare.
Per esempio… Se Lei fosse un allergico, non si aspetterebbe di leggere sulla confezione di tarallucci -che tra gli ingredienti riportati in etichetta hanno il vino- la dicitura “Contiene solfiti” oppure “Non contiene solfiti”, come dovrebbe avvenire per il vino, bianco o rosso che sia? Forse chi è intollerante ai solfiti non li compra, ma tutti gli altri? Parenti, amici, ristoratori, esercenti vari… hanno così presente la problematica?
Se mi metto nei panni del produttore, mi rendo conto che anche chi è in buona fede e vuole fare del suo meglio… a volte può trovarsi in seria difficoltà a rispettare la legge perché non è tutto così chiaro.
Sarebbero necessari altri provvedimenti ma non è la sede, ma articoli come questo contribuiscono almeno ad arginare il fiume in piena.
Io penso che più che confusione queste norme stiano creando panico e non per la mancanza di chiarezza o di libere interpretazioni nazionali.
Quello che manca è il buon senso ed un minimo di esperienza pratica dei pretesi legislatori.
Se per un prodotto fabbricato in aziende alimentari c’è ricerca, controllo qualità di tutta la filiera e capacità tecnologica di sostituire ingredienti allergenici, in una cucina di ristorante o pizzeria non esiste nessuna di queste possibilità e capacità.
Nella cucina tradizionale nazionale, regionale e paesana gli allergeni regnano sovrani e pretendere che un cuoco riesca a controllarli non è impossibile, è demenziale.
Su tutto, basti pensare a cosa si deve fare per produrre un alimento senza glutine in tutte le realtà produttive, se estendiamo il metodo a tutti gli altri allergeni, chiudiamo tutte le somministrazioni di cibo.
Una certificazione tipo spiga per ogni allergene?
Va bene ed è fattibile per l’industria alimentare, ma per la sommistrazione di cucinato in loco, è pura folle teoria, che verrà risolta con un banale e scontato cartello omnicomprensivo.
Chi vorrà rischiare di fare danni da risarcire?Complicando le cose si otterrà solamente di non proteggere nessuno.
Il cartello unico che viene proposto qui a Torino (ieri ne ho visto il primo esemplare utilizzato in un bar) informa gli allergici sui piatti e categorie che contengono ogni singolo allergene. Per studiarlo mi sono (ci siamo) messo nei panni di un allergico. E anche in quelli di un piccolo ristoratore, peraltro.
Per l’avv. Dongo: noto un’imprecisione nel Suo articolo: si sottintende una differenza tra somministrazione e vendita. Questa differenza non esiste più. Il reg. 1169 rimanda (art. 2, comma 1, lettera a) alle definizioni del reg. 178/2002 (in particolare per quella di “commercio al dettaglio”). L’art. 3 del citato reg. 178 include esplicitamente gli esercizi di ristorazione nella “vendita al dettaglio”. Pertanto vendita e somministrazione, ai fini dell’etichettatura e informazione al consumatore, sono concetti ormai coincidenti. Come già lo sono, da dodici anni, ai fini della sicurezza alimentare.
E’ ASSOLUTAMENTE RIDICOLO! Fatto salvo l’importanza di tutelare la salute delle persone, è ridicolo che il ristoratore SIA OBBLIGATO ad educare ed informare le persone trasformando il menù in un ricettario che non è una questione banale estetica ma di dover costantemente aggiornare il menù con il rischio che comunque qualche piatto sia stato contaminato in quanto si lavorano più materie nello stesso posto. Se una persona è allergica spero che lo sappia, quindi basterebbe avvisare il ristoratore. E’ una semplice questione di buon senso, che si sta trasformando in un caos! Il ristoratore oltre al proprio lavoro, oltre a dover essere intrattenitore, oltre a fare il psicologo, adesso deve diventare pure nutrizionista?!