Era il 2000-2001, e la crisi della mucca pazza metteva in ginocchio il settore delle carni bovine in un intero continente, l’Europa, con ripercussioni un po’ in tutto il mondo, con miliardi di danni ed effetti negativi durati per anni. Tutto nasceva da previsioni in gran parte poco solide scientificamente, che computavano milioni di malati della variante umana del morbo di Creutzfeldt-Jacob negli anni seguenti, se non si fossero subito prese precauzioni più che drastiche.

Questa è una lettura degli avvenimenti, secondo la quale c’è stato molto rumore per (quasi) nulla, e tanta speculazione. Ma ne esiste anche un’altra, secondo cui la catastrofe non si è concretizzata proprio grazie ai provvedimenti adottati.

 

Propendere per una o per l’altra è un esercizio quasi solo retorico, poiché delle malattie da prioni – e, soprattutto, della loro trasmissione da animale a uomo – ancora oggi molto resta da capire, e perché la storia non può fare col senno di poi. Tuttavia quella vicenda è esemplare di qualcosa che accade ormai molto spesso, grazie alla velocità delle comunicazioni (infatti si è ripetuto negli anni successivi per esempio con le crisi delle varie influenze): esiste un allarme che ha a che vedere con gli alimenti, spesso fondato, che deve essere comunicato alla popolazione affinché tutti adottino le cautele del caso.

 

Le autorità sanitarie si mobilitano e avviano campagne d’informazione, le aziende cercano di capire se c’è spazio per un business (vedi vaccini antinfluenzali), e la rete amplifica tutto, mischiando in calderoni spesso incomprensibili notizie vere e allarmi ingiustificati, pareri di tuttologi e fatti presentati da veri esperti, soluzioni miracolistiche e consigli efficaci.

 

Anche per cercare di porre un freno a queste dinamiche, l’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) ha appena pubblicato un manuale rivolto principalmente agli operatori dell’informazione e alle autorità sanitarie che contiene le Linee Guida per la comunicazione del rischio, intitolato significativamente: “Alimenti: temporale in arrivo? Le ricette collaudate per la comunicazione del rischio”, che tenta di fornire un quadro organico e di trarre utili insegnamenti da alcune delle vicende più eclatanti – e di segno molto diverso – capitate negli ultimi anni in Europa.

 

Innanzitutto si definiscono gli obiettivi di questo tipo di messaggi, già nella prefazione, dov’è scritto: “Il fine ultimo della comunicazione del rischio è quello di assistere i portatori di interesse, i consumatori e il pubblico in generale a comprendere la logica che sta dietro una decisione basata sul rischio, affinché questi possano formulare un giudizio equilibrato che rispecchi le prove oggettive concernenti la questione in esame, in relazione ai loro interessi e valori”. Un modo un po’ contorto (a proposito di semplicità della comunicazione, prima chiave per farsi capire) per ribadire che la comunicazione non deve convincere nessuno, ma solo fornire gli strumenti affinché ciascuno si faccia un’idea su basi razionali.

 

Per raggiungere questo obiettivo, occorre seguire quattro linee guida generali che si applicano a tutte le aree di rischio, non solo a quelle alimentari:

– cominciare con un’analisi critica della propria valutazione del rischio e dei propri risultati di gestione;

– creare un programma integrativo di comunicazione del rischio che garantisca uno sforzo continuo a comunicare con le principali parti interessate, ivi compresi i consumatori, fin dall’inizio del processo di valutazione;

– adeguare la comunicazione alle esigenze del pubblico destinatario, invece che alle esigenze della fonte di informazione;

– adattare e modificare il programma di comunicazione in uno sforzo organizzato per ottenere un feedback e percepire i cambiamenti nei valori e nelle preferenze.

 

Oltre a queste linee principali la comunicazione deve essere sempre improntata al dialogo, alla trasparenza, all’indipendenza di giudizio e alla rapidità di intervento, e tutto ciò può avvenire solo se si pubblicano tempestivamente tutti i documenti fondamentali, dopo averli resi comprensibili anche a un pubblico non specialistico, e se si trasmette anche quel margine di incertezza che spesso caratterizza i dati scientifici.

 

Spetta poi a chi deve prendere l’iniziativa specifica stabilire di che tipo è il rischio, e quale portata riveste per la salute dell’uomo, degli animali e dell’ambiente, proprio per evitare inutili allarmismi così come pericolose sottovalutazioni.

 

Com’è ovvio, la comunicazione oggi deve tenere conto di tutti i possibili canali esistenti, compresi i social network, i blog e microblog, e le Linee Guida forniscono alcuni semplici consigli in tal senso, indicando quando un certo mezzo può essere utile per comunicare un certo pericolo, ma anche quando lo stesso può essere inutile o addirittura dannoso.

 

Fin qui la teoria, ma ciò che fa capire forse meglio, anche ai non addetti ai lavori, che cosa può succedere in questi casi, quali sono i comportamenti virtuosi e quali quelli da evitare, la lettura della parte finale è illuminante. Clonazione animale, campagna antisale in Gran Bretagna, rischio zoonosi in Europa, studio dell’Università di Southampton sui coloranti e sui loro effetti nei bambini, febbre Q nei Paesi Bassi e integratori in Svezia sono eventi realmente accaduti negli ultimi anni in Europa, molto diversi tra di loro per contenuti ma anche per come sono stati affrontati, che aiutano a capire tutte le insidie di una comunicazione poco accorta.

Una lettura chiara e interessante per tutti, soprattutto in un paese come l’Italia dove non esiste un’agenzia specifica, e dove vacillano anche quelli che negli anni si erano guadagnati sul campo l’autorevolezza e il ruolo di punto di riferimento come l’INRAN.

Sperando sempre che non si verifichi alcun allarme alimentare e che le Linee Guida siano inutili.

 

Agnese Codignola

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