Come fare per convincere le persone a mangiare meglio e, se sono in sovrappeso o obese, di meno? Da anni la domanda è oggetto di discussione tra gli esperti e tra i decisori politici di molti Paesi, nel tentativo di prevenire le malattie associate a una cattiva alimentazione. Ora due studi, usciti negli stessi giorni, forniscono due risposte di carattere opposto, mostrando che ci sono strategie efficaci, e altre inutili.
Il primo caso è quello del Cile, Paese che tra i primi ha adottato un corpus omogeneo di provvedimenti già nel 2016, con la speranza di frenare l’aumento di peso medio dei cittadini causato dalla crescita costante del consumo di cibi di pessima qualità, e il conseguente scadimento delle condizioni di salute generali. In particolare, si voleva intervenire sui giovani, visto che, nel 2016, il 51% dei ragazzi con meno di 15 anni era in sovrappeso o obeso. A tale scopo si è deciso di imporre etichette molto chiare, con la dicitura “ad alta concentrazione di” – alto en – su alimenti e bevande con quantità eccessive di sale, zuccheri e grassi, fissando limiti via via più stringenti e, parallelamente, di vietare la pubblicità televisiva di junk food tra le 6 e le 22, e la vendita di alimenti poco sani nelle scuole.
Le norme sono state introdotte in modo graduale tra il 2016 e il 2019, e ora i ricercatori dell’Università della Carolina del Nord di Chapel Hill hanno voluto verificarne l’efficacia. Sono andati perciò a quantificare gli acquisti di 2.300 famiglie, per controllare se vi fossero stati cambiamenti tra il periodo precedente il varo delle nuove norme (nel 2015), e quello successivo (nel 2017). I ricercatori hanno trovato che effettivamente c’è stato un sensibile calo in quelli di bevande e alimenti poco sani identificati con le etichette alto en. In particolare, hanno riferito su The Lancet Planetary Health, in questa categoria c’è stato un decremento delle calorie acquistate del 24% (pari a 49 calorie al giorno per persona), di zuccheri del 27% (21 calorie), di acidi grassi saturi del 16% (6 calorie) e di sodio del 37% (97 milligrammi).
Ciò si traduce in una diminuzione anche a livello generale, cioè di tutti i cibi e bevande, etichettati e non: le calorie acquistate sono scese del 3,5% per persona al giorno, gli zuccheri del 10% (12 calorie), i grassi saturi del 3,9% (2 calorie), il sodio del 5% (28 mg). Tra le categorie più penalizzate ci sono stati i succhi di frutta e verdura industriali, i derivati del latte e i surrogati, le salse e i condimenti, i cereali da colazione, i dolci e i dessert.
Parallelamente, sono aumentate le vendite di alimenti non etichettati, e quindi considerati sufficientemente sani. Diversi cileni, intervistati dalla BBC, hanno dichiarato di essersi resi conto per la prima volta che i prodotti acquistati non erano nutrizionalmente validi. Se si tiene conto che, in base a uno studio governativo, nel 2021 ogni nucleo familiare da 3,3 persone ha comprato in media 23 litri di bevande zuccherate ogni mese, si capisce quanto sia importante e quanto possa risultare efficace accrescere la consapevolezza dei cittadini. Per ora non ci sono state conseguenze sul peso, soprattutto dei più giovani, che anzi è aumentato durante il lockdown, ma la scommessa è, evidentemente, quella di avere persone più responsabili e attente all’alimentazione su un periodo di tempo medio-lungo.
Il secondo esempio arriva invece dal Regno Unito, e riguarda la moral suasion esercitata sulle aziende affinché modifichino le ricette dei loro prodotti peggiori. L’esito, anche in questo caso, lascia pochi dubbi: non funziona. I ricercatori dell’Università di Oxford hanno infatti voluto controllare che cosa è successo in quattro anni, da quando il Governo ha invitato i produttori a riformulare gli alimenti e le bibite con troppo sale, zuccheri o grassi. Come riferito su PLoS One, a tal fine hanno preso in considerazione le dieci aziende più importanti e analizzato le ricette degli anni 2015, 2016, 2017 e 2018.
Il risultato è stato più che negativo: non ci sono state variazioni, con poche eccezioni, tra cui Kellogg’s, che ha leggermente diminuito la concentrazione di zucchero nei cereali da colazione Coco Pop’s e Special K. Si è registrato anche un leggero aumento dei prodotti che possono essere definiti sani, passati dal 44% del 2015 al 45% del 2018. Inoltre, si è avuto un incremento delle vendite degli stessi, passati dal 47 al 51%, probabilmente facilitato dalle nuove norme introdotte nel 2018, che hanno imposto una tassa per gli zuccheri eccessivi nelle bevande. Ma tra i primi cinque brand venduti da ciascuna delle dieci aziende, solo sei hanno migliorato il profilo nutrizionale almeno del 20%. Tutto ciò dimostra che chiedere alle aziende di agire spontaneamente serve a poco. Al contrario, introdurre tasse specifiche funziona, anche dal punto di vista della riformulazione dei prodotti peggiori.
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Giornalista scientifica