Ho comprato da Esselunga un vasetto di alici pubblicizzate come “Alici di Cetara” della ditta Zarotti. Peccato però che siano prodotte in Albania e non a Cetara, il noto comune di Salerno! Massima delusione.
Francesca
Risponde l’avvocato Dario Dongo, esperto di diritto alimentare.
L’impiego del nome “Cetara” in caratteri cubitali sul fronte dell’etichetta induce sicuramente il consumatore a credere che si tratti, appunto, delle famose “alici di Cetara”. A maggior ragione in quanto è aggiunta la dicitura “antica tradizione”, che suggerisce il richiamo alla celebre “colatura di alici di Cetara”.
Poiché ciò tuttavia non risponde al vero, è velleitario credere che l’apposizione sul retro etichetta della dicitura “Prodotto in Albania” possa esimere il titolare del marchio da responsabilità per una pratica commerciale ingannevole che potrebbe essere punita in sede penale (per frode in commercio) e amministrativa (tenuto pure conto della scarsa leggibilità delle notizie obbligatorie su sfondo trasparente). L’etichetta delle Alici “Cetara” prodotte in Albania è proprio da rivedere.
Da ultimo, giova sottolineare che situazioni come quella in esame potrebbero far emergere la corresponsabilità dei distributori per avere omesso i controlli su etichette che potrebbero venire qualificate come potenzialmente fraudolente. Accedendo a tale ipotesi, la responsabilità primaria del titolare del marchio con cui il prodotto viene commercializzato (ai sensi del reg. UE 1169/11, articolo 8) non vale a escludere il coinvolgimento dell’operatore a valle il quale, a sua volta, partecipa alla realizzazione di un profitto che potrebbe venire valutato come illecito, almeno in parte.
Dario Dongo
Riceviamo e pubblichiamo questa nota dell’avvocato Gian Luca Grossi per Zarotti S.p.A che dissente dall’opinione dell’avvocato Dario Dongo.
Stando a quanto riportato nella sua premessa, il consumatore avrebbe riferito che le alici sarebbero state “pubblicizzate come” “Alici di Cetara” cosa che non risponde al vero e neppure è riportata sulla confezione fotografata; l’etichetta riporta ben altri caratteri cubitali: “FILETTI DI ALICE”. Una cosa è la provenienza del prodotto o della materia prima, altra cosa è il logo che identifica una linea di prodotti o evoca metodi e tradizioni (a volte addirittura superate dai contemporanei processi industriali), che restano tali anche allorquando la materia prima provenga da luoghi diversi, cosa che peraltro accade di frequente specialmente nel settore alimentare. Esempio: “pizza napoletana”. Infine, l’etichetta posteriore, conforme alle norme domestiche e comunitarie, è rivolta (non solo ma) soprattutto al consumatore il quale non dovrebbe ignorarla quando specificamente interessato alla provenienza del prodotto o della materia prima. Si ritiene quindi di dover invitare l’avvocato-giornalista Dario Dongo a maggior cautela nel momento in cui si esprime in termini così perentori, poiché “notizia” e (il rispetto degli altrui) “diritti” non sono sempre compatibili.
La risposta dell’avvocato Dongo. L’impiego di un riferimento geografico suggestivo di un luogo di produzione e di origine della materia prima diversi da quelli effettivi, se pure registrato come marchio industriale, è stato oggetto di recenti censure da parte della Suprema Corte di Cassazione nell’ambito di procedimenti penali per frode in commercio. Ma non é questa la sede per ipotizzare possibili accuse né articolare difese.
Piuttosto, a fronte del legittimo dubbio espresso da un consumatore circa la potenziale ingannevolezza delle notizie espresse su un’etichetta, si è espressa un’opinione che considera ‘in primis’ il diritto dei consumatori a ricevere informazioni chiare e coerenti in fase di scelta di acquisto, e le corrispondenti aspettative nei confronti di operatori industriali di indubbia fama, protagonisti del ‘Made in Italy’ di valore.
Prendiamo comunque atto della divergenza di opinioni, che del resto ricorre su temi delicati come quello dibattuto.
Dario Dongo
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Avvocato, giornalista. Twitter: @ItalyFoodTrade
Meglio le alici di Menaica. Prodotte localmente da una copertina di pescatori.
Vi ringrazio della puntuale precisazione ,grazie anche a Francesco x il consiglio.Francesca.
Alici Cetara è un marchio registrato dalla Zarotti nel 2008
I nomi geografici possono essere registrati solo se il prodotto su cui è posto il marchio non ha a che fare con il marchio stesso, non è questo il caso, a mio avviso una registrazione del genere è da considerare nulla, sarebbe come registrare il marchio Panettone Milano.
Cetara o non Cetara quel vaso con etichetta nera di Zarotti gr 200 è favoloso!
Le compro da anni ed e’ una garanzia di grande qualità…..
va bene, allora sul vasetto con etichettanera FAVOLOSO , per favore, scrivete chiaramente “ALBANIA” e non “CETARA” grazie.
Onestamente compro spesso questa linea di Zarotti.
Non sono in grado di esprimermi su un metodo di lavorazione o l’altro, ma queste alici sono le più buone che si trovano nella grande distribuzione.
Ciao, non so voi ma io quando compro le alici non leggo l’etichetta ma vedo il prezzo, meglio se sono in offerta, quindi “chissene” se vengono dall’Albania o da Cernusco sul Naviglio, l’importante è il rapporto qualità prezzo vincente che in questo caso è il migliore.
A volte non capisco dove si voglia andare a parare. L’OSA ha pagato per la registrazione di un marchio che non dovrebbe utilizzare per non indurre il consumatore in dubbio sulla provnienza del prodotto quando la stessa è esplicitamente dichiarata in etichetta, la quale viene ulteriormente criticata perchè i caratteri sono stampati su fondo trasparente, aspetto questo della trasparenza che dovrebbe essere stato oggetto di plauso per non aver tentato di “coprire” il prodotto. Sono perplessa.
Nella diatriba tra avvocati però non si è capito cosa ci sia veramente scritto sul vasetto in caratteri cubitali per attrarre l’interesse dell’acquirente.
Un conto è se indicato “FILETTI DI ALICI” come dichiara il legale del produttore ed un altro e molto diverso conto, se fosse evidenziato “ALICI DI CETARA”, perché in questo secondo caso avrebbe ragione l’avv. Dongo ad ipotizzare un potenziale inganno, in quanto ne viene poi anche indicata la produzione straniera.
Non si comprende se solo la materia prima, o anche la lavorazione, perché “prodotto in Albania” non significa pescato ma anche lavorato e confezionato.
Il nome del marchio geografico copre ed autorizza a vendere qualsiasi merce confezionata e reclamizzata tutta allo stesso modo? Non credo.
Quindi sarebbe interessante che il produttore inviasse una foto completa della confezione per fare chiarezza a tutti i consumatori che apprezzano già il prodotto ed anche ai potenziali prossimi da acquisire.
Prodotto in Albania non significa “pescato nelle acque territoriali albanesi” (il che, peraltro, potrebbe anche essere), ma che il prodotto è stato colà confezionato previa trasformazione.
Per quasi tutti gli alimenti di origjne animale (sta fuori praticamente solo il miele) lo stabilimento di un Paese Terzo che imtenda esportare verso l’Unione Europea dev’essere espressamente da questa autorizzato e in etichetta deve apparire il codice dell’autorizzazione.
Dalla fotografia si intravede il codice AL 28 (dal vasetto si vedrà anche meglio), che nell’elenco pubblicato della Commissione europea/Food Safety corrisponde all’impresa Poseidon, a capitale italiano.
Lo stabilimento è nella zona industriale di Lezhe (Alessio, nel nord del Pese), è di una certa entità (circa 450 addetti) e lavora sostanzialmente solo per Zarottii, azienda con cui non ho relazioni.
Lezhe è una piccola città costiera dove la lavorazione dei prodotti ittici è attività tradiionale: conta sei stabilimenti, di cui un altro a capitale italiano (Eurofish).
Il dettaglio “prodotto in Albania” è un’informazione che l’operatore non era tenuto a indicare, ma ha fornito di sua volontà: in base alle norme vigenti l’etichetta sarebbe stata a norma anche col solo codice.