Immagine divisa a metà: a sinistra prato verde con cielo azzurro, a destra terra arida con cielo inquinato; concept: inquinamento, cambiamento climatico, greenwashing

aldiIl 27 maggio 2021, a Moniga del Garda (basso Garda bresciano), Aldi ha aperto il suo primo punto vendita a emissioni zero di CO2. L’obiettivo dichiarato dal gruppo che opera nel settore della grande distribuzione organizzata è di ridurre del 26% le sue emissioni entro il 2025, uno scopo questo reso possibile attraverso l’uso di energie rinnovabili, luci a led e il recupero dei rifiuti. Nel supermercato CO2 neutrale della multinazionale tedesca è presente un impianto di pannelli fotovoltaici da 55 kW e qualora l’energia autoprodotta non fosse sufficiente, verrà usata esclusivamente energia proveniente da fonti rinnovabili con garanzia d’origine controllata. È utilizzata l’illuminazione a led capace di ridurre fino al 50% il consumo rispetto alle lampade tradizionali; si recupera il 100% dei rifiuti prodotti grazie a un eco-compattatore che permette di gestire interamente carta e plastica mentre il recupero di rifiuti di altra natura è garantito, controllato e documentato. Anche il recupero di calore emanato dai banchi frigo è utilizzato per riscaldare il locale e sono a disposizione del pubblico 1545 mq di area verde dotata di un sistema d’irrigazione con sensore per la pioggia, in modo da evitare inutili sprechi d’acqua.

La decisione di Aldi di inaugurare un punto vendita attento all’ambiente si inserisce in un contesto dove oltre un terzo delle emissioni mondiali di gas a effetto serra di origine antropica è causato dai sistemi alimentari che comprendono l’utilizzo del suolo, la produzione agricola, l’imballaggio e la refrigerazione. L’impronta di carbonio del settore alimentare è molto pesante; per tal motivo alcuni supermercati si stanno mostrando sensibili alla questione non solo adottando misure sostenibili, ma anche provando a coinvolgere i clienti responsabilizzandoli nelle loro scelte. Se Aldi ha optato per una struttura e una gestione attenta all’ambiente, il marchio svedese Felix ha ideato il Klimatbutiken, cioè un negozio del clima dove i prezzi di tutti i prodotti si basano sulla loro impronta di carbonio. Ogni cliente ha a disposizione un budget settimanale di 18,9 kg di CO2e (nome della valuta il cui valore dipende dall’impronta di carbonio), un limite che dovrebbe aiutare il pubblico a porre maggiore attenzione sull’impatto ambientale dei suoi acquisti. Anche per un gruppo di ricercatori coordinato da Jonas Nordström dell’Università di Copenaghen la chiave per un consumo rispettoso sta nel responsabilizzare l’utente finale. Il metodo da loro proposto è la presenza sui prodotti di un’etichetta climatica (climate labeling) che informa sull’impatto dell’intero ciclo vita di un alimento. La tesi degli studiosi è quella per cui i dati sul peso ambientale siano sufficienti per modificare il comportamento dei consumatori: i 60 kg di anidride carbonica liberati per produrre 1 kg di manzo o i 24 kg per 1 kg di agnello dovrebbero far riflettere soprattutto se confrontati con il 1,4 kg di CO2 per ogni kg di grano e pomodori o i 4 etti di CO2 per kg di mele.

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L’impronta di carbonio del settore alimentare è molto pesante

Se lo scorso anno si è assistito a una riduzione di emissioni di anidride carbonica legata al blocco delle attività durante il lockdown, l’Agenzia Internazionale dell’Energia (Iea) ha pronosticato che nel 2021 le emissioni di CO2 toccheranno un livello record. Secondo Iea, infatti, nel 2021 le emissioni di CO2 su scala mondiale aumenteranno di 1,5 miliardi di tonnellate, registrando un + 5% sul 2020 con 33 miliardi di tonnellate. La riduzione delle emissioni di CO2 registrata nel 2020 sarebbe dunque stata temporanea: in concomitanza della ripresa economica che implica anche un massiccio uso di combustibili fossili per il trasporto (sia su strada, sia via aereo), le emissioni hanno subito il cosiddetto “effetto rimbalzo” tornando ai livelli pre Covid.

Si stima che dall’inizio del XXI secolo le emissioni globali di gas serra sono aumentate costantemente, soprattutto, ma non solo, a causa delle emissioni di CO2 di Cina, India e di altre economie emergenti. Sebbene i gas serra, cioè quei gas presenti nell’atmosfera che riescono a trattenere il calore emesso dalla superficie terrestre, dall’atmosfera e dalle nuvole, siano vari e di diversa origine – possono essere d’origine naturale, antropica o di entrambe le origini come l’anidride carbonica e il metano –, l’anidride carbonica è il gas più citato quando si parla di riscaldamento globale perché rappresenta oltre il 75% di emissioni causate dall’uomo ed è il principale responsabile dell’aumento della temperatura sul pianeta. I dati riguardanti la concentrazione di gas serra nell’atmosfera e il cambiamento climatico – per quanto riguarda l’Italia il Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici ha ipotizzato un aumento delle temperature, meno piogge ma più intense, un aumento delle temperature superficiali, dell’acidificazione delle acque marine e dell’erosione costiera – preoccupano l’intera comunità scientifica tanto che l’allarme è stato già da tempo lanciato ai vari governi. Sebbene un vero cambio di rotta debba essere assunto a livello di produzione e sviluppo economico, anche la modalità di consumo può giocare un ruolo significativo. Prediligere l’acquisto di frutta e verdura non equivale però sempre alla scelta giusta dato che per ogni alimento è necessario tenere in considerazione l’intero ciclo: la frutta e la verdura in scatola può raggiungere indici di CO2 elevati, basti pensare che l’ananas trasportato in aereo e inscatolato “vanta” un rapporto di 15,1 kg per ogni kg di prodotto.

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