Proponiamo ai nostri lettori ampi stralci dell’interessante intervista a Paolo Bàrberi, docente di Agronomia alla Scuola superiore Sant’Anna di Pisa, realizzata da Simonetta Lombardo e pubblicata sul sito Cambia la terra. L’argomento è l’approvazione all’unanimità meno due (uno contrario e un astenuto) di una legge che per la prima volta regola e valorizza l’agricoltura biologica. Il testo deve ora ripassare alla Camera per la definitiva approvazione. Il problema è che dopo il voto in Senato si è scatenata una polemica mediatica a senso unico e senza diritto di replica che ha come obiettivo apparente la biodinamica, che da 30 anni è – per il Regolamento europeo – riconosciuta come pratica agricola biologica, in quanto applica metodi naturali alla cura dei campi. Stregoneria, pratiche magiche: le accuse vengono da una parte del mondo della ricerca e sono espresse in maniera che lascia intendere che non ci sia un pensiero scientifico che vada in altre direzioni. Cambia la Terra ha però cominciato a dare voce a personalità illustri e riconosciute del mondo della ricerca che esprimono opinioni ben diverse.
Professor Bàrberi, la legge sul biologico non è ancora definitivamente approvata ma già ora suscita grandi polemiche. È nata con troppo ritardo?
Sì. Tuttavia, si può dire che la legge è tempestiva in un contesto in cui a livello europeo il quadro normativo e la programmazione della commissione vanno verso la transizione agroecologica. Il Green Deal si collega alle strategie Farm to Fork e Biodiversity 2030, che intendono dare un grande impulso allo sviluppo del biologico. La legge italiana capita in realtà nel momento giusto perché dà riconoscimento non a un settore di nicchia, ma a un settore trainante dell’agroalimentare del nostro Paese. Grazie alla crescita di interesse dei consumatori, naturalmente, e degli agricoltori, che scelgono sempre più il bio e non solo per motivi di convenienza economica. Insomma, la legge potrà ulteriormente rafforzare un settore che è cresciuto sostanzialmente contando solo sulle proprie forze, anche se in parte è stato favorito dai contributi della PAC. E sviluppa aspetti secondo me importantissimi: la ricerca, la divulgazione e la formazione che finora sono mancate o sono state addirittura smantellate, come è successo per molte agenzie regionali di ricerca e sviluppo agricolo. Sempre grazie alla legge, gli operatori del settore saranno chiamati a migliorare la qualità dei controlli e il supporto tecnico, anche se la ricerca sul biologico continuerà ad essere finanziata soprattutto dai programmi quadro europei, che stanno dando un grande spazio ai temi dell’agroecologia.
Lei si è sempre interessato dell’agricoltura biologica, e dei suoi risultati. Perché?
L’agricoltura biologica ha dei plus innegabili dal punto di vista ambientale, della qualità dei prodotti, della salute umana e animale. Ma anche dal punto di vista delle opportunità economiche, ad esempio per il rilancio dei territori cosiddetti marginali. Non dimentichiamoci che il nostro Paese ha il 75% del suo territorio in aree collinose e montuose, e per queste il biologico è perfetto, come dicono i rapporti della Commissione Europea. Regioni come la Toscana hanno il 30% dei terreni agricoli abbandonati, vuoi per la mancanza di ricambio generazionale, vuoi perché il sistema agroalimentare convenzionale non dà sufficiente reddito e opportunità agli agricoltori. I rapporti europei dimostrano che il biologico coinvolge un maggior numero di giovani e donne, crea opportunità imprenditoriali e valore aggiunto ed è quindi il migliore antidoto all’abbandono dei territori, tanto meglio se organizzati in biodistretti, un altro sistema di rilancio territoriale che viene valorizzato dalla legge. Nella nostra esperienza degli ultimi anni, i territori che sono stati rivalutati lo debbono principalmente allo sviluppo del biologico. Solo con il bio possiamo sperare di ringiovanire l’agricoltura, renderla attrattiva per i giovani e per le donne, risolvendo così almeno in parte questioni di gap di genere e di disoccupazione giovanile.
In altre parole, l’agricoltura biologica funziona?
Il paradigma dell’agroecologia con i metodi che lo mettono in pratica, tra cui il biologico è il più importante, funziona in modo complessivo: dal punto di vista della produzione e della sua qualità, della riduzione dell’impatto ambientale, della garanzia di una rinascita sociale ed economica, del recupero e valorizzazione dei territori. L’agroecologia funziona perché è in grado di adattarsi alle realtà locali e trovare soluzioni adatte a qualsiasi contesto. In questo, l’approccio è opposto a quello dell’agricoltura convenzionale industrializzata, dove si pretende di offrire soluzioni tecniche standardizzate valide universalmente. L’agroecologia funziona perché si basa sulla diversificazione dei sistemi. Nello scorso novembre è apparsa sulla prestigiosa rivista Science un articolo (una meta-analisi di secondo livello, quanto di più solido conosciamo in termini di evidenza scientifica) in cui si confrontava la produzione e la fornitura di diversi servizi ecosistemici tra agricoltura convenzionale e diversificata, con riferimento a sistemi di colture erbacee di pieno campo. In altre parole, la ricerca si è concentrata non solo su quanta produzione agricola deriva dai due tipi di agricoltura, ma anche sulle differenze in termini di impollinazione, fertilità del suolo, controllo biologico degli insetti dannosi, e altri servizi ecosistemici. Ne è emerso che nel 63% dei casi i sistemi diversificati – tra cui l’agricoltura biologica –riescono contemporaneamente ad aumentare la produzione e migliorare la fornitura di più servizi ecosistemici rispetto ai corrispondenti sistemi convenzionali. Un risultato che ribalta tutte le vecchie convinzioni.
In pratica, possiamo promuovere la biodiversità in agricoltura senza rinunciare alla produttività. È una rivoluzione.
La politica agricola comunitaria, la PAC, ha sempre avuto un approccio ‘prudente’: per promuovere la biodiversità anche in agricoltura compensiamo agli agricoltori le perdite di reddito. Ci stiamo invece accorgendo che se realizziamo sistemi virtuosi, diversificati, possiamo aumentare sia le rese che i servizi ambientali. In generale, la diversificazione – che è il contrario dell’approccio dell’agricoltura intensiva, caratterizzata da sistemi semplificati e da un elevato uso di input esterni e di prodotti chimici di sintesi – garantisce maggiore fertilità dei suoli e maggiore presenza di impollinatori, da cui dipende la produzione del 35% delle colture al mondo. Inoltre, sistemi agroecologici diversificati provocano una riduzione delle malattie e dei problemi parassitari sia nelle colture che negli allevamenti: la diversità è molto importante per la loro prevenzione. Oggi si parla spessissimo di agricoltura di precisione, ma negli agroecosistemi realmente sostenibili la vera agricoltura di precisione si fa con tecniche agroecologiche basate sulla diversificazione e adattate all’ambiente.
I detrattori dicono però: ma se tutto il mondo fosse coltivato a bio dovremmo raddoppiare la superficie dei campi coltivati, perdendo boschi e aree naturali.
Non è così, a questo falso allarme c’è una prima risposta facile. I lavori scientifici indicano una riduzione media della produttività del biologico del 15-20% rispetto all’agricoltura intensiva. Tuttavia, che senso ha parlare della necessità di raddoppiare la produzione da oggi al 2050 in un contesto in cui più del 30% del cibo prodotto viene sprecato? Oltre che inaccettabile dal punto di vista etico, questo indica che il sistema attuale semplicemente non funziona. Bisogna in primo luogo correggere i meccanismi che creano lo spreco. L’approccio agroecologico prevede di riprogrammare non solo le tecniche produttive ma l’intero sistema agro-alimentare, comprese le diete e i modelli di consumo. Il vero obiettivo che dobbiamo porci non è quello di produrre di più, ma di farlo meglio, nelle aree dove serve e per le persone a cui serve, garantendo cibo sufficiente di qualità per tutti. Siamo parlando di redistribuire il cibo diversamente, secondo le necessità, evitando gli sprechi.
Eppure, non mancano certo le critiche alla legge che valorizza appunto il biologico e di conseguenza la diversificazione e il collegamento ai territori.
Le critiche di questi giorni hanno come bersaglio apparente il biodinamico, ma l’obiettivo è l’intera legge sul biologico. Noi come ricercatori che due anni fa abbiamo costituito il Gruppo per la Liberta della Scienza avevamo già risposto, dati alla mano, a queste critiche infondate. Quello che sta venendo fuori in questi giorni, in vista appunto dell’approvazione della legge sul bio, è un déjà vu. Si tratta di posizioni precostituite che poco hanno di scientifico e incapaci di vedere l’agricoltura nella sua realtà di sistema complesso.
Ma sul banco degli imputati c’è per ora ‘solo’ la biodinamica.
I tentativi, come ho già detto strumentali, di fare un distinguo e stralciarla dalla legge sul biologico hanno poco senso. La biodinamica è da sempre una parte del settore biologico, a cui è vicina per approccio e metodi, e la legge – giustamente – lo riconosce. Dal mio punto di vista, non mi interessano gli aspetti filosofici o spirituali dell’agricoltura biodinamica, che fanno parte della sfera personale e su cui la scienza non può e non deve giudicare. Come ricercatore, mi interessa invece capire se i metodi e i sistemi biodinamici funzionino o no e in quali casi. Trovo molto interessante ad esempio il concetto fondante del biodinamico dell’azienda come organismo vivente complesso, con le diverse componenti vegetali, animali e del suolo che interagiscono tra loro in maniera funzionale: lo trovo un bell’esempio di ecologia applicata e di approccio sistemico all’agricoltura…
Quindi è una questione di culture scientifiche
…È normale che, come scienziato, ognuno di noi si indirizzi verso ricerche e studi che sono più affini al suo modo di pensare. Ma questo è un altro paio di maniche. L’atmosfera da stadio, purtroppo, si riscontra sempre più spesso nella scienza, ed è in parte determinata dal diktat del “pubblica o muori”, che esaspera la competizione e la contrapposizione tra modi di pensare differenti e penalizza la collaborazione. È bene tener presente che, nelle scienze agrarie, l’innovazione non si fa con i chili di pubblicazioni prodotte ma sul vero impatto delle ricerche sul sistema produttivo nel suo complesso, compresi gli aspetti sociali ed economici sugli agricoltori e gli altri operatori e portatori d’interesse. Smettiamola quindi con contrapposizioni sterili che danneggiano la scienza in primo luogo. Discutiamo sulla base delle evidenze e non per partito preso.
Paolo Bàrberi è professore di Agronomia presso l’Istituto di scienze della vita della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa, dove coordina il Gruppo di ricerca in agroecologia e ha coordinato il Programma di dottorato di ricerca internazionale in Agrobiodiversità. Da circa 25 anni si occupa di ricerca sistemica in agroecologia, agricoltura biologica e agrobiodiversità. Negli ultimi 15 anni ha condotto oltre 20 progetti di ricerca europei e nazionali su agroecologia e agricoltura biologica. Ha al suo attivo circa 350 pubblicazioni tra libri e articoli scientifici e divulgativi.
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Interessante prospettiva. Vorrei poter leggere la meta-analisi di cui si fa cenno nell’articolo, però, quella pubblicata su Nature lo scorso novembre. Si potrebbero avere indicazioni su titolo e/o autori? Grazie!
https://advances.sciencemag.org/content/6/45/eaba1715.full
Forse è questo, buona lettura.
Anch’io la trovo interessante e anch’io vorrei leggere l’articolo citato (su Science, non su Nature). Si possono avere le indicazioni? Grazie
Concordo pienamente con il prof. Bàrberi: la legge approvata al Senato con una sola astensione e il voto contrario della senatrice a vita, prof. Elena Cattaneo ( farmacologa, biologa, accademica, ecc.), favorisce uno sviluppo di agricoltura, che porta molti vantaggi in campo economico, ambientale e sociale.
Dal voto contrario della sen. Cattaneo sembrerebbe che tutti i senatori italiani siano stati incapaci di valutare le conseguenze “negative” della proposta di legge, solo perché l’agricoltura biodinamica, equiparata alla biologica, usa mezzi non scientifici, ma prescindendo da questi, la biodinamica nella coltivazione attua gli stessi principi della biologica, quindi era giusto includerla nella legge.
La senatrice si è sempre dimostrata contraria all’agricoltura biologica, sebbene dopo anni di agricoltura sana, sia essa biologica o biodinamica, i vantaggi siano evidenti, come appare dal numero crescente dei consumatori, senza contare i numerosi pareri favorevoli degli esperti. Allora una domanda: “Cui prodest?”
Come già nel caso di Tosi, si continua deliberatamente a cercare di confondere le idee mescolando biologico e biodinamico, ossia una tecnica agricola (la coltivazione biologica) riconosciuta e incoraggiata e sostenuta da tutta la comunità scientifica (non fosse altro che per la difesa della biodiversità) con una pratica spiritual-magico-animistico-filosofica (la “biodinamica”) priva di qualunque riscontro scientifico e utilità pratica.
E’ poi assolutamente falso che la Cattaneo si sia opposta al biologico, basta ascoltare il suo intervento (disponibile in rete: https://www.youtube.com/watch?v=JEIButfBkts ) per sentire che critica aspramente, con ragione, e motivando, solamente la pratica esoterica e stregonesca detta “biodinamica”.
Non ci vuole molto a capire la differenza tra piantare in mezzo a un campo un singolo corno pieno di letame (pochi chili) sperando che la Luna e le fatine intervengano sulle colture, e concimare con le giuste quantità di concimi biologici (cornunghia, stallatico) orti e campi… per non parlare della pratica semi-voodoo di scuoiare un topo, incenerirne la pelle e spargerla sui campi con esorcismi vari, o di imbottire di fiori le vesciche di cervo (ma non erano protetti, i cervi?).
@Marco
“la biodinamica nella coltivazione attua gli stessi principi della biologica”
Benissimo, allora la si finanzi per la parte biologica (ossia la parte concretamente biologica), ma NON per gli esorcismi, le preghiere, i bagni di Luna e altre azioni esoteriche, così come al tassista si paga la corsa da casa all’aeroporto, ma NON gli si riconosce un extra per le preghiere a Manitou che vuole recitare durante il viaggio o il cornetto di corallo che vuol farci toccare per “garantirci” un buon volo.
Mi devo congratulare con il signor La Pira e tutta la redazione…..ora tutti sono innamorati del Biologico…….
Non so se si rendono conto che bisognerebbe buttare nel gabinetto una fetta enorme di prodotti e pratiche che imperano nei campi e nella mente delle persone, ma avete informato i vostri influencer di questo movimento?
Il bio tra l’altro ha una importante missione implicita, quella di diminuire gradatamente gli interventi di qualsiasi tipo di chimica, grazie alla disintossicazione del terreno dai veleni.
Per i balli intorno al fuoco ululando alla luna è ancora troppo presto e a noi italiani, e non solo, le corna non sono mai piaciute, scherzo naturalmente, meglio andare in discoteca se proprio vogliamo fare qualche rito propiziatorio pro umanità.
“che senso ha parlare della necessità di raddoppiare la produzione da oggi al 2050 in un contesto in cui più del 30% del cibo prodotto viene sprecato?”
Perché non è possibile ridurre lo spreco dirottandolo là dove il cibo scarseggia, sono due cose completamente scollegate, sarebbe come dire “che senso ha cercare di combattere la malnutrizione in Africa, quando negli USA la metà della popolazione è in sovrappeso?”