Coca-Cola investe in Italia 1 milione l’anno per ricerche su alimentazione e obesità. Ecco la lista dei nutrizionisti e delle associazioni che ne beneficiano
Coca-Cola investe in Italia 1 milione l’anno per ricerche su alimentazione e obesità. Ecco la lista dei nutrizionisti e delle associazioni che ne beneficiano
Roberto La Pira 12 Luglio 2016Coca-Cola ha investito in Italia 4,7 milioni di € negli ultimi cinque anni per finanziare progetti e ricerche scientifiche “a supporto della salute e del benessere” e per “svolgere un ruolo attivo nell’affrontare il problema dell’obesità”. In Francia la somma stanziata è stata di 6,7 milioni di €. La società precisa che nel nostro paese la maggior parte dei finanziamenti “è destinata a programmi di educazione nutrizionale focalizzati sull’importanza dell’attività fisica realizzati con organizzazioni senza scopo di lucro”. L’investimento complessivo comprende anche 258.500 € destinati a professionisti del settore alimentare e della ricerca come: Michele Carruba nutrizionista e ordinario di farmacologia all’Università di Milano, Giuseppe Fatati presidente dell’ADI Associazione dietetica e nutrizione, Carlo La Vecchia ex ricercatore del Mario Negri, ordinario all’università di Milano e consulente industriale e altri come Corigliano Gerardo, Manozzi Francesco Maria, Orenti Annalisa, Reina Giuseppe e Sievepiper John. La lista però non è completa visto che altri nutrizionisti non hanno voluto apparire. La somma per i professionisti include anche l’intervento a convegni, la realizzazione di articoli scientifici e la presenza a tavole rotonde.
La lista dei finanziamenti destinati a associazioni, fondazioni e università negli ultimi cinque anni vede in cima alla classifica con 181 mila € Nutrition foundation of Italy (NFI), una struttura sostenuta anche da altre grandi aziende alimentari, molto attiva sul territorio e sui media. Un contributo importante è destinato ad Assobibe e AIIPA (rispettivamente 165 e 68 mila €), per la quota associativa alle associazioni di categoria delle aziende produttrici di bibite, integratori,dolcificanti.
Il Digesa department dell’Università di Catania nel 2014 ha ricevuto 447 mila € come donazione per realizzare un digestore in grado di utilizzare pasta di agrumi spremuti come combustibile. L’Università Cattolica del Sacro Cuore ha ricevuto 16 mila € per un convegno sui probiotici e un corso sul food packaging, mentre l’Università di Verona per una partnership in una “prestazione tecnica” ha ricevuto 25 mila €.
Coca-Cola ha contribuito con una sponsorizzazione di 38 mila euro per due edizioni (2010 e 2015) dell’Obesity day, mentre 5 mila € sono stati destinati a un convegno SINU sui Larn. Coca-Cola Foundation ha partecipato con una donazione da 607 mila euro nell’ultimo triennio al progetto di educazione ad uno stile di vita sano EPODE, che ha coinvolto 55 mila bambini residenti nella regione Umbria. Poi c’è la Fondazione SIMG onlus (Società italiana di medicina generale e delle cure primarie) che ha ricevuto 714 mila euro in due anni per una ricerca sulle abitudini di assunzione di liquidi e bevande degli italiani. L’elenco conclude con 401 mila € donati all’associazione dilettantistica basket Femminile di Milano e 1,37 milioni di € a Mo DA.VI onlus Movimento delle Associazioni di Volontariato Italiano con sede a Roma.
Come fa Coca-Cola a distribuire denari a società scientifiche e università per approfondire temi legati all’alimentazione e all’obesità e, contemporaneamente, lanciare campagne pubblicitarie dove invita ragazzi e bambini a consumare ogni giorno bibite zuccherate? Stiamo parlando di campagne proposte a più riprese e censurate anche dal Giurì dell’autodisciplina pubblicitaria. La realtà è che la multinazionale delle bevande dolci destina una manciata di soldi in “opere buone”, e ne spende cento volte di più in spot che invitano gli italiani a bere bibite gassate. L’azienda precisa che l’assortimento attuale si è ampliato e ormai comprende bibite light e senza calorie, ma questo giochetto di marketing non funziona. I nutrizionisti sanno che il problema è l’abitudine dei ragazzi e degli adulti di pasteggiare con bevande dolci indipendentemente dal contenuto di calorie. Per cercare di risolvere alcuni squilibri nutrizionali bisogna bandire le bibite dolci dal pasto quotidiano. L’invito rivolto dai pediatri ai genitori è uno solo: nessuna bevanda dolce per i bambini. Coca-Cola farebbe bene ad evitare questo finto mecenatismo, che si potrebbe classificare come greenwashing essendo affiancato da pubblicità spazzatura.
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza in test comparativi. Come free lance si è sempre occupato di tematiche alimentari.
Risibile operazione di marketing. Quanti miliardi guadagnano con li loro beveroni zuccherati?