Formaggio contaminato: bambino di 14 mesi ricoverato. L’epidemia forse ha origine in Romania. Analogie con un’epidemia in Puglia nel 2013
Formaggio contaminato: bambino di 14 mesi ricoverato. L’epidemia forse ha origine in Romania. Analogie con un’epidemia in Puglia nel 2013
Roberto La Pira 15 Marzo 2016Aggiornamento del 17 marzo 2016
È stato il formaggio di importazione romena a provocare l’infezione intestinale nel piccolo ricoverato all’Ospedale Meyer. Le analisi dell’Izs e dell’Iss concluse il 17 marzo hanno confermato i sospetti avanzati nella prima dell’indagine epidemiologica condotta dall’Ausl Toscana Centro. La sindrome emolitico uremica diagnosticata nel bambino di appena 14 mesi è connessa al consumo del formaggio importato dalla Romania e prodotto dalla ditta SC Bradet risultato contaminato da escherichia coli. Al riguardo l’Italia ha inviato un’allerta al sistema Rasff di Bruxelles da cui emerge che il prodotto è stato esportato anche in Francia e in Germania.
La notizia è di quelle che allarmano: un bambino di 14 mesi è stato ricoverato all’ospedale pediatrico Meyer di Firenze per una sindrome emolitico-uremica, forse provocata da un formaggio importato dalla Romania e contaminato da Escherichia coli. Secondo il comunicato dell’Azienda Usl Toscana Centro, il bambino avrebbe consumato formaggi della ditta rumena SC Bradet s.r.l.. In Romania l’azienda aveva avviato il 9 marzo scorso il ritiro precauzionale di alcuni propri prodotti caseari per la sospetta contaminazione da Escherichia coli O26:H11.
Chiarito che le condizioni del bambino sono serie ma non gravi, il problema richiama una certa dose di attenzione perché la contaminazione riscontrata in Italia potrebbe essere riconducibile a un’epidemia che ha colpito 15 bambini in Romania alla fine di gennaio, tre dei quali sono morti. Per questo motivo l’azienda sanitaria toscana in un comunicato “invita chiunque sia in possesso di prodotti a base di latte della ditta SC Bradet s.r.l. a non consumarli e riconsegnarli al più presto all’esercizio dove sono stati acquistati”. Secondo nostre fonti il formaggio potrebbe essere stato venduto in una decina di punti vendita di prodotti alimentari etnici situati in Toscana e in altri negozi del Lazio e della Campania.
L’epidemia in Romania ha destato scalpore sia perché il marchio è molto noto, sia perché le autorità sanitarie sono intervenute tardi e male, quando ormai si contavano le vittime. Questo ritardo è motivato da una certa confusione iniziale, quando probabilmente sono state considerate vie di trasmissione diverse dalla contaminazione alimentare. La questione è andata avanti per settimane fino a quando le autorità hanno chiesto aiuto e sono approdate a Roma dove è iniziata una stretta collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità per individuare l’agente causale dell’epidemia, identificato come un Escherichia coli O26 produttore di Shiga tossina. Fino ad ora non ci sono certezze sulla fonte dell’infezione, ma solo forti sospetti su formaggi e latticini. Le indagini sul caso registrato in Italia potrebbero confermare o meno le ipotesi.
Il problema della Sindrome emolitico-uremica (Seu) causata da Escherichia coli non è una novità per l’Italia. Pochi ricordano l’epidemia registrata in Puglia nell’estate del 2013 con 20 bambini al di sotto dei 4 anni colpiti. Anche allora i sospetti si focalizzarono sui formaggi e le indagini portarono alla chiusura di un caseificio. Il focolaio più grave di sindrome emolitico-uremica da Escherichia coli produttore di Shiga tossina è però quello registrato in Germania nel 2011, che ha colpito 4.000 persone e ha provocato oltre 50 morti. Si tratta della crisi alimentare più grave registrata in Europa negli ultimi 40 anni. La Germania impiegò settimane per risalire all’origine dell’epidemia, per poi scoprire che si trattava di germogli di fieno greco prodotti con semi contaminati importati dall’Egitto.
I sospetti per il caso del bambino in Toscana sono focalizzati sulle cagliate congelate che vengono utilizzate anche in Italia da molti caseifici per preparare mozzarelle, formaggi e altri latticini. Se la cagliata è pastorizzata non ci sono problemi particolari. La questione diventa critica se la cagliata, potenzialmente contaminata, prima della congelazione non viene pastorizzata. A questo punto la vendita del lotto a diversi caseifici provoca un effetto a cascata difficile da controllare perché c’è chi la usa subito per fare formaggi freschi come la mozzarella, chi per fare formaggi freschi ma con una scadenza di qualche settimana e chi la tiene in freezer e la impiega dopo qualche mese. Quest’ipotesi spiegherebbe la durata dell’epidemia in Romania per un periodo così lungo e la distribuzione in diverse zone. Siamo ancora però nel campo delle ipotesi. Vi terremo informati.
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24