La pasta italiana è buona perché importiamo dall’estero grano duro. Il nostro extravergine contiene l’80% di olio straniero. Per questo il made in Italy di Coldiretti è impossibile
La pasta italiana è buona perché importiamo dall’estero grano duro. Il nostro extravergine contiene l’80% di olio straniero. Per questo il made in Italy di Coldiretti è impossibile
Roberto La Pira 13 Febbraio 2016Proteste degli agricoltori a Bari per l’importazione di grano duro dall’estero. Era questo il tenore dei quotidiani, dei siti internet e dei telegiornali per raccontare l’ennesima protesta di Coldiretti in Puglia. Gli articoli riportavano il solito grafico: 1 pacco di pasta su 3 contiene grano importato dall’estero, l’olio di oliva straniero invade il mercato, il 40 % del latte non è italiano, un terzo dei prosciutti è fatto con cosce di maiale olandese… ecc. La sceneggiata funziona sempre. I giornalisti raccontano le proteste senza un briciolo di approfondimento, la gente è contenta per la difesa a oltranza del made in Italy, e persino i ministri solidarizzano con i manifestanti. La maggioranza dei commentatori ignora che il cibo italiano ha assolutamente bisogno del grano duro scaricato dalle navi, delle cisterne di olio spagnole e greche, del latte ce delle cosce di maiale che attraversano le Alpi. I dati sulle importazioni vanno letti con intelligenza.
È vero il 30-40% di grano duro viene dall’estero. Ma le granaglie importate da Francia, Canada, Stati Uniti e altri paesi sono di alta qualità, hanno un’elevata percentuale di glutine. Solo miscelando questo grano con quello italiano si ottiene la pasta che esportiamo in tutto il mondo! Senza quel grano la nostra pasta non sarebbe così famosa nel mondo. Barilla, De Cecco, Delverde, Garofalo… potrebbero produrre solo grandi quantità di spaghetti e fusilli di qualità mediocre. Certo esistono linee di pasta confezionata con il 100% di grano italiano, ma si tratta di quantità risibili, perché manca la materia prima di alta qualità. L’unico marchio a livello nazionale in grado di proporre una pasta di alta qualità ricavata da grano duro italiano è Voiello. L’operazione è stata possibile solo perché 10 anni fa Barilla (proprietaria del marchio Voiello) ha iniziato a costruire una filiera di grano duro di alta qualità in grado di garantire l’approvvigionamento.
Coldiretti lamenta la mancanza sulle etichette dell’origine del grano e ha ragione, perché i produttori dimostrando poca lungimiranza e una certa miopia non scrivono sulle confezioni l’origine del grano, pensando che la trasparenza possa nuocere all’immagine. Lo stesso comportamento di Barilla è ambivalente. Nella pasta con il suo marchio tace sull’origine del grano, mentre per Voiello decanta l’impiego di materia prima 100% made in Italy. Per risolvere il problema basterebbe indicare sull’etichetta l’elenco dei paesi stranieri che abitualmente riforniscono l’azienda. Si tratta di una scelta doverosa, da affiancare a un messaggio in cui si dice la verità: la pasta italiana è buona perché è preparata con una percentuale rilevante di grano pregiato straniero.
La questione più assurda riguarda l’olio extravergine di oliva. Nel 2015 abbiamo importato da Spagna, Grecia, Tunisia, Marocco e altri paesi mediterranei l’80% dell’olio imbottigliato in Italia. L’anno precedente la quota era del 60% e quest’anno oscilla dal 40 al 50%. Di fronte a questi numeri c’è da chiedersi come farebbe l’Italia a esportare extravergine in tutto il mondo senza le cisterne che arrivano dai paesi mediterranei. D’altro canto nessuno fa mistero di questa realtà visto che sulle etichette è riportata l’origine. Nonostante ciò è normale vedere servizi tv che mettono in cattiva luce l’olio straniero, non perchè sia di cattiva qualità ma solo per il fatto di esistere. L’utilizzo di olio spagnolo, greco e di altri paesi non è un ostacolo come qualcuno lascia intendere, ma è la condizione essenziale per permettere all’Italia di confezionare olio di qualità e venderlo in tutto il mondo. L’esempio di Monini è esemplare. L’azienda da anni registra sempre ottime posizioni nei test comparativi realizzati in Italia, Francia, Svizzera, Germania proponendo una miscela di oli mediterranei!
La questione del latte importato è l’ennesima bufala di Coldiretti che confonde le idee in malafede. L’associazione degli agricoltori dimentica di dire che le bottiglie di latte fresco riportano sempre l’origine della materia prima. La dicitura “latte italiano” è diffusissima, spesso è affiancata dalla regione (Lombardia, Sicilia, Sardegna…), a volte addirittura dalla zona (Valtellina …). Per il latte UHT ci sono anche alcuni produttori come Granarolo e Parmalat che indicano “latte made in Italy. Ai consumatori basta dire che quando non si trova questa precisazione sull’etichetta il latte è importato. Ma anche in questo caso non si può criminalizzare l’importazione perché la quantità del latte “nazionale” non copre i fabbisogni del mercato. Anche sul pomodoro si abbatte la scure di Coldiretti quando insinua l’impiego di materia prima cinese. Basta andare al supermercato per rendersi conto che il 99% delle confezioni riporta in evidenza la scritta “pomodoro 100% italiano”. Nonostante ciò qualcuno specula sul concentrato cinese, deningrandone la qualità e sostenendo che è presente nei nostri prodotti, senza uno straccio di prova.
Oggi capire qual è l’origine della materia prima è facile basta leggere le etichette. Si tratta di un esercizio banale che sfugge al presidente di Coldiretti abituato a guidare i trattori ma probabilmente poco avvezzo a fare la spesa al supermercato. Oggi l’indicazione dell’origine è già obbligatoria per le carni bovine e di pollo (seguiranno presto quella sulla carne suina, ovina e caprina), nell’elenco troviamo poi il pesce fresco, l’ortofrutta, l’olio vergine ed extravergine d’oliva, il miele e le uova. Presto arriveranno anche normative per estendere l’obbligo ad altre categorie. In tutti gli altri casi chi usa ingredienti italiani lo indica sempre in etichetta. La regola è sin troppo banale. Dove non c’è scritto made in Italy, vuol dire che l’origine è straniera. Premesso ciò l’aspetto da non dimenticare è che il prodotto italiano non è una certificazione di qualità ma attesta solo l’origine.
Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza in test comparativi. Come free lance si è sempre occupato di tematiche alimentari.
non producono grani di forza perché non gli sono pagati giustamente e lo dico con certezza perché io ho una filiera di grani antichi e agli agricoltori gli riconosco 43 £ al ql perché producono poco ma io voglio quei grani li per il mio pane e i miei dolci mentre il grano normale costa 18£ se vogliono dei grani di forza possono farli anche da noi basta pagarli ! un saluto
ma quelli sono prodotti di nicchia e i prodotti di nicchia hanno sempre una quotazione maggiore.
Il suo pane e i suo biscotti avranno anche loro un prezzo adeguato al costo della materia prima o sbaglio ?
Le industrie e i terzisti hanno da prima ammazzato l’agricoltura italiana, usando come scusa le eccedenze di produzione, la carenza di domanda del mercato rispetto all’offerta e i prezzi che per forza di cose dovevano scendere al fine di competere con ciò che arriva dall’estero.
Hanno sfruttato i prezzi bassi del prodotto nazionale ed ora che effettivamente si è ridotta la produzione, comprano a poco all’estero per mischiarlo e poi sfruttare il made in italy. Parlo da figlio di contadino e amico di un esportatore di frutta e produttore di olio extra italiano vero….
Non vedo l’ora che arrivino giornalisti stranieri a poco, per scrivere articoli tradotti con google translator, quel giorno diremo che è colpa dei precari giornalisti che non sono abbastanza in numero???
“anziano fornaio” innanzitutto mi complimento con lei per questa scelta difficile tanto quanto importante. Sarei curioso di sapere dove è il suo panificio e come ha iniziato, se erano già presenti i produttori di questo grano o se ha dovuto convincere i vari contadini a coltivarli… Mi piacerebbe anche a me produrre, un giorno, queste tipi di colture, ma ho paura di non trovare mercato…
Saluti.
Ma è proprio questo il problema quanto l’industria paga le materie prime e quanto il consumatore sarebbe disposto a pagare di più per avere un prodotto diverso: in mezzo ci sono gli agricoltori e gli allevatori che devono vivere di quello che producono al netto delle spese e se pure hanno stipendiati devono tenere in conto anche di questo.
Senza tenere conto che in ambito UE non abbiamo dazi doganali.
E’ un problema di potere d’acquisto dell’intera filiera: se gli stipendi dei lavoratori fossero più alti (siamo tra gli ultimi in Europa) la gente comprerebbe di più e meglio, disposta a pagare anche un prezzo più elevato.
Prenda gli svizzeri: sono un paese extra UE, impongono dazi doganali su materie prime d’importazione, pagano le loro materie prime 3/4 volte più delle nostre, quindi hanno anche costi industriali maggiori, ma la loro politica di specificare l’origine delle materie prime paga nel senso che la gente compra più ciò che è svizzero da ciò che non è svizzero… però gli stipendi sono più alti dei nostri e quelli che abitano ai confini vanno comunque a fare la spesa in Italia, Francia e Germania…
Che dire di quei caseifici che quando si presentano dal produttore di latte gli dicono: “o me li fai a 25 cent al litro, oppure lo prendo in Romania a 12 cent”? A lungo andare questo comportamento ha fatto chiudere molte piccole aziende agricole che non riuscivano a far quadrare i conti.
al signor Piero luigi dico benissimo ma se vogliamo salvaguardare il made in italy dobbiamo fare un marchio per salvare le eccellenze italiane poi le industrie che non usano i nostri grani la faranno senza marchio ! ma ci sara la volontà politica di farlo io non credo ci sono troppi interessi ed il consumatore da sempre non conta nulla un saluto
al giovane agricoltore maremmano vorrei dire che la mia filiera e oramai oltre i sedici anni di esperienza non sono stati gli agricoltori a partire io sono partito coinvolgendo loro ,il consorzio agrario ,il mulino per farine a cilindro e a pietra con due progetti uno provinciale ed uno regionale coinvolgendo da subito la scienza compresi campi sperimentali ecc. per i grani li o sempre trovati io con piccole quantità ricercate in tutta italia poi moltiplicate , queste filiere riescono solo se uno fa il capofila altrimenti non durano in questo caso noi fornai da 1948 con esperienza e tanta volontà ! le dico solo che sono emiliano un cordiale saluto
E bravo La Pira! Era ora che qualcuno la “cantasse” per benino ai soliti disinformatori disinformati! Purtroppo è davvero difficile (a volte impossibile) convincere le persone della più nuda verità, ovvero che il nostro paese non è autosufficiente (nè lo è mai stato) dal punto di vista alimentare in nessun ambito – diciamo così – strategico, ovvero cerali, latte, carni, perfino buona parte delle tipologie di frutta e verdura autoctone. E’ la stessa gente che fa tanto d’occhi quando gli spieghi che il tanto decantato prodotto 100% italiano spesso e volentieri esiste solo perchè si importano le materie prime necessarie: increduli, per esempio, che un salame così buono sia fatto con carne di maiali ingrassati con mais ucraino e/o di altra provenienza… perchè “tutte le aziende agricole coltivano mais”!
Continui così! Chi la dura la vince!
Pienamente d’accordo! Origine non è sinonimo di sicurezza e bontà….e non siamo autosufficienti di materie prime…..prima o poi il consumatore lo capira’
E se il grano estero (es ucraino) è così sicuro e buono, perché Barilla ad esempio è stata costretta a scrivere sulle confezioni di pasta “I Piccolini” che può essere consumata solo da chi ha più di tre anni??? Vedi alla voc’è “micotossine” sopra ai livelli consentiti per esseri umani sotto i tre anni. Quelli sopra possono invece intossicarsi senza problemi… cercate in rete e troverete articoli molto edificanti in materia.
Gentile Sara, La vicenda de “I Piccolini” di Barilla poneva un’altra criticità: la forma, il nome, la pubblicità del prodotto poteva indurre i genitori a destinare questi alimenti ai bambini inferiori di 3 anni, mentre non si tratta di alimenti destinati a loro. Gli alimenti per la prima infanzia (fino a 36 mesi) hanno livelli molto più bassi per molte sostanze. Questo non vuol dire che gli alimenti per gli adulti non siano normati, ma i livelli sono diversi.
Articolo sacrosanto, ma Coldiretti non si toglierà mai le fette di salame dagli occhi: hanno anche loro interessi a cavalcare questa inutile polemica.
A riguardo vorrei chiedere perché le altre sigle consorziate tipo la CIA (Conf. It. Agricoltori) non prendono analoga posizione. Forse perché sanno che è inutile appoggiare evanescenti campagne di questo tipo.
Se l’Italia fosse un paese svincolato da accordi UE, come la Svizzera, il discorso potrebbe cambiare mettendo dei dazi doganali a determinate materie prime che possono fare concorrenza alle nostre. Ma gli Svizzeri sono 7 Milioni, hanno una produttività e un livello di benessere molto più alto del nostro; noi siamo 60 Milioni con gli stipendi tra i più bassi d’Europa.
Non si tiene altresì conto che l’Europa stessa afferma che il Made in è sostanzialmente il sito di produzione.
In Italia non siamo autosufficienti per molte materie prime ma siamo i più bravi nel produrre in sito i migliori generi alimentari, riconosciuti dalle DOP/IGP e non solo: la nostra forza è questa.
Ma nemmeno la Ferrari o la moda italiana potrebbero fregiarsi del logo Made in Italy se usassero solo e interamente materie prime e semilavorati prodotti in Italia!
Mi sembra un articolo ben fatto che chiarisce che come sempre un servizio giornalistico approssimativo, che gioca molto sulle emozioni e sulla disinformazione, tende a trasformare normali operazioni commerciali in loschi raggiri e truffe.
Per quanto riguarda il grano l’Italia da quando è paese industrializzato importa il grano in quanto non autosufficiente, ricordate lo sceneggiato tv in cui Sofia Loren, a inizio novecentoì, faceva la produttrice di pasta e assaggiava il grano importato per saggiarne la qualità? ( https://it.wikipedia.org/wiki/Francesca_e_Nunziata_(film) ).
In realtà l’eccellenza italiana non sta solo nella produzione di materie prime agricole, ma anche, e direi in particolare per pasta e olio, nella grande capacità di scegliere e trasformare prodotti “comuni” in qualcosa di eccellente.
Nel momento stesso in cui le produzioni industriali venissero focalizzate sull’origine dei componenti e non sulle capacità di trasformare, perderemmo un grosso mercato di esportazione, con ricadute anche sul nostro mercato agricolo.
In soldoni quando comprate un autoveicolo o un telefonino, comprate un marchio, la capacità di scegliere e assemblare, non certo l’origine dei componenti.
vedo che non ce molta conoscenze nella biodiversità un prodotto e buono perché e il suo terreno che fa la differenza insieme al microclima che lo circonda , l’acqua ed il modo di lavorarli ecc ,chiaro che l’industria non non può permettersi questi prodotti o almeno buona parte ma loro riescono poi con il lori laboratori ad aggiustare tutto ormai anche il profumo del pane lo producono in laboratori con la chimica questa e la logica del mercato ma il consumatore che non crede agli spot della TV e giornalisti e dottori compiacenti e crede ai gusti sani e genuini non si fa incantare dal prezzi più bassi ,ma cerca in quel poco tempo che viviamo in questa terra di mangiare e bere bene non rincorre i prezzi sempre più bassi oramai ci vogliono abituare a mangiare come i polli di batteria qualche spot negli orari giusti in TV ed e fatta. L’italia è forse una delle migliori nazioni al mondo in fatto di biodiversità la battaglia della Coldiretti è giusta ma devono fare approvare delle leggi giuste con dei marchi che garantiscano la genuinità del prodotti e la provenienza, non sono molto favorevole al km 0 perché non sta in piedi con tutte le nostre eccellenze come si fa ad usare sono i prodotti a km 0? controllino invece molti prodotti DOP che non siano fatti con lo zampino dell’industria !!
Gent.mo La Pira, in passato avevo avuto modo di essere critico nei suoi confronti in quanto non aveva mai sostenuto apertamente come ha fatto in questa occasione, del problema della materia prima dell’olio di oliva. Sembrava un tabù e nello stesso tempo i più, nascondendo questo “dipendenza” facevano e continuano a fare disinformazione. In primis le associazioni di categoria dei produttori. Questa volta, devo ammetterlo, è stato coraggioso e ho avuto già avuto modo di inserire il suo articolo su “Olio & Bufale, gruppo pubblico su facebook.
Purtroppo in questo modo, con queste convinzioni di “falsa autonomia” nelle materie prime si sta distruggendo l’economia italiana. Adesso è il turno della pasta, poi seguiranno gli altri prodotti e quindi per il masochismo, tipico italiano, distruggeremo quel poco che ci è rimasto ancora da distruggere, favorendo i competitor internazionali grazie alla forza politica coldirettiana ed amici istituzionali.
Perché è così difficile accettare il fatto che le scelte industriali e commerciali sono dominate dai prezzi di mercato, come quelle finanziarie?
Gli acquisti delle materie prime e dei “titoli” finanziari vanno solo dove è più conveniente e non dove è più giusto ed equo, facendo danni e creando distruzione.
Quindi nessuna meraviglia se i produttori italiani comprano dove costa meno, ciò di cui hanno bisogno e lo trasformano con arte nel made in Italy.
Ma nello stesso tempo perché protestare o criticare le giuste rimostranze degli agricoltori ed allevatori italiani, per queste scelte che sono ingiuste nei loro confronti?
E’ una situazione di fatto che chi la sceglie ha vantaggi, ma chi la subisce ha danni evidenti e gravissimi.
Non se ne esce con le contrapposizioni che ho letto, ma con la ricerca di soluzioni che proteggano ed incentivino i nostri prodotti autoctoni, riconoscendo la bontà delle nostre origini e metodi di trasformazione, che hanno un forte appeal sui consumatori di tutto il mondo producendo ottimi ricavi.
Possibile che le nostre materie prime vengano pagate meno di vent’anni fa e non ci siano margini commerciali da ritornare ai nostri coltivatori/allevatori?
E’ una situazione inaccettabile, perché distruttiva della nostra agricoltura ed allevamenti di qualità e le soluzioni devono essere trovate ad un livello superiore dell’inutile contrapposizione di opposte fazioni nazionali.
Io dò molta importanza all’alimentazione. Se per vestirmi o accessoriarmi (telefono, auto, bici) cerco il risparmio, per mangiare cerco il meglio: biologico, locale, artigianale. La pasta che compro da un pastaio umbro la pago 5 euro al kilo, e sono felice di sostenere i suoi sforzi: la mia è una scelta di salute e una scelta di politica. mi dispiace per quelli che mangiano la pasta del supermercato: rovinano loro stessi e la nostra terra.
“il cibo italiano ha assolutamente bisogno del grano duro scaricato dalle navi, delle cisterne di olio spagnole e greche, del latte ce delle cosce di maiale che attraversano le Alpi”
mi ricorda un po “vagamente” l’atteggiamento di chi promuove le culture GMO (ovvero OGM)
perchè “c’è bisogno di nutrire il pianeta” altrimenti si muore di fame …
io parto dal presupposto che se parte di questo “bisogno” (in gran percentuale) è relativo a quello che è esportato ……. direi che allora sarebbe più corretto dire che “IL CIBO PRODOTTO DALLE INDUSTRIE ITALIANE CHE VIENE ESPORTATO ALL’ESTERO ……..ha bisogno……. ” quindi chi ha bisogno non è il cibo ma CHI ESPORTA con il nome made in italy materie che sono state lavorate qui…….
piu esportazioni implica quindi piu materia prima da acquistare
questo riguarda prettamente le industrie e non i consumatori italiani (in italia)
per quanto riguarda la restante parte io non parlerei di “bisogno” ….ma di “possibilità e di scelta”
visto che io come tanti italiani ..non ho bisogno per vivere di mangiare la pasta e/o il prosciutto per fortuna
un caso a parte resterebbe quello dell’olio …… forse dopo la questione xilella dello scorso anno ….vero unico e “parziale bisogno” visto il dramma che si è scatenato …….in effetti non eravamo piu’ in grado di soddisfare la domanda MA NEL 2015.
mi vene sempre il dubbio …….ma questo “80%” (, che onestramente mi sembra un numero piuttosto elevato sopratutto in considerazioe della percentuale di territorio abbastanza circoscritto che è stato colpito ) in quale percentuale è destinato al mercato nazionale ?
considerando anche che di solito si “parla normalmente” del 40%
Sempre per ribadire lo stesso concetto ……ma questo “bisogno” di cui parla l’articolo …in realtà di “chi é” ?
ben venga l’olio tunisino …….o il prosciutto di parma olandese …….
importante è che CI SIA L’INFORMAZIONE ………..ed il prezzo SIA “A LIVELLO”!!
se però questa “invasione” serve solo ad aumentare i margini dei profitti di produzioni industriali che impoveriscono il territorio ed i piccoli produttori locali ………. io sono completamente a favore di chi chiede e cerca certe tutele.
non sono riuscito ancora a capire questo articolo quali “interessi” sta cercando di tutelare ….
in ogni caso la frase
“Ai consumatori basta dire che quando non si trova questa precisazione sull’etichetta il latte è importato”
mi ha lasciato senza parole ……..
è davvero cosi semplice?
vogliamo parlare dei prodotti trasformati ? con l’ultimo processo fatto in italia?
dei prodotti (vedi pasta) IGT ITALIANA? e delle altre mille “regolucce” legali che consento di CONFONDERE con fin troppa faciltà il consumatore ???
ai consumatori dovemmo dire MILLE COSE DA RICORDARE A MEMORIA
x la pasta IGT NON garantisce l’origine
x il vino IGT garantisce l’area
x IL LATTE vale x
x l’OLIO vale y solo cee , miscela extra cee, etc etc
ma per piacere …..MA DI COSA STIAMO PARLANDO……
solo 1 cosa è certa…….. l’origine italia non è 100% indice di qualità