La pasta italiana è buona perché importiamo dall’estero grano duro. Il nostro extravergine contiene l’80% di olio straniero. Per questo il made in Italy di Coldiretti è impossibile
La pasta italiana è buona perché importiamo dall’estero grano duro. Il nostro extravergine contiene l’80% di olio straniero. Per questo il made in Italy di Coldiretti è impossibile
Roberto La Pira 13 Febbraio 2016Proteste degli agricoltori a Bari per l’importazione di grano duro dall’estero. Era questo il tenore dei quotidiani, dei siti internet e dei telegiornali per raccontare l’ennesima protesta di Coldiretti in Puglia. Gli articoli riportavano il solito grafico: 1 pacco di pasta su 3 contiene grano importato dall’estero, l’olio di oliva straniero invade il mercato, il 40 % del latte non è italiano, un terzo dei prosciutti è fatto con cosce di maiale olandese… ecc. La sceneggiata funziona sempre. I giornalisti raccontano le proteste senza un briciolo di approfondimento, la gente è contenta per la difesa a oltranza del made in Italy, e persino i ministri solidarizzano con i manifestanti. La maggioranza dei commentatori ignora che il cibo italiano ha assolutamente bisogno del grano duro scaricato dalle navi, delle cisterne di olio spagnole e greche, del latte ce delle cosce di maiale che attraversano le Alpi. I dati sulle importazioni vanno letti con intelligenza.
È vero il 30-40% di grano duro viene dall’estero. Ma le granaglie importate da Francia, Canada, Stati Uniti e altri paesi sono di alta qualità, hanno un’elevata percentuale di glutine. Solo miscelando questo grano con quello italiano si ottiene la pasta che esportiamo in tutto il mondo! Senza quel grano la nostra pasta non sarebbe così famosa nel mondo. Barilla, De Cecco, Delverde, Garofalo… potrebbero produrre solo grandi quantità di spaghetti e fusilli di qualità mediocre. Certo esistono linee di pasta confezionata con il 100% di grano italiano, ma si tratta di quantità risibili, perché manca la materia prima di alta qualità. L’unico marchio a livello nazionale in grado di proporre una pasta di alta qualità ricavata da grano duro italiano è Voiello. L’operazione è stata possibile solo perché 10 anni fa Barilla (proprietaria del marchio Voiello) ha iniziato a costruire una filiera di grano duro di alta qualità in grado di garantire l’approvvigionamento.
Coldiretti lamenta la mancanza sulle etichette dell’origine del grano e ha ragione, perché i produttori dimostrando poca lungimiranza e una certa miopia non scrivono sulle confezioni l’origine del grano, pensando che la trasparenza possa nuocere all’immagine. Lo stesso comportamento di Barilla è ambivalente. Nella pasta con il suo marchio tace sull’origine del grano, mentre per Voiello decanta l’impiego di materia prima 100% made in Italy. Per risolvere il problema basterebbe indicare sull’etichetta l’elenco dei paesi stranieri che abitualmente riforniscono l’azienda. Si tratta di una scelta doverosa, da affiancare a un messaggio in cui si dice la verità: la pasta italiana è buona perché è preparata con una percentuale rilevante di grano pregiato straniero.
La questione più assurda riguarda l’olio extravergine di oliva. Nel 2015 abbiamo importato da Spagna, Grecia, Tunisia, Marocco e altri paesi mediterranei l’80% dell’olio imbottigliato in Italia. L’anno precedente la quota era del 60% e quest’anno oscilla dal 40 al 50%. Di fronte a questi numeri c’è da chiedersi come farebbe l’Italia a esportare extravergine in tutto il mondo senza le cisterne che arrivano dai paesi mediterranei. D’altro canto nessuno fa mistero di questa realtà visto che sulle etichette è riportata l’origine. Nonostante ciò è normale vedere servizi tv che mettono in cattiva luce l’olio straniero, non perchè sia di cattiva qualità ma solo per il fatto di esistere. L’utilizzo di olio spagnolo, greco e di altri paesi non è un ostacolo come qualcuno lascia intendere, ma è la condizione essenziale per permettere all’Italia di confezionare olio di qualità e venderlo in tutto il mondo. L’esempio di Monini è esemplare. L’azienda da anni registra sempre ottime posizioni nei test comparativi realizzati in Italia, Francia, Svizzera, Germania proponendo una miscela di oli mediterranei!
La questione del latte importato è l’ennesima bufala di Coldiretti che confonde le idee in malafede. L’associazione degli agricoltori dimentica di dire che le bottiglie di latte fresco riportano sempre l’origine della materia prima. La dicitura “latte italiano” è diffusissima, spesso è affiancata dalla regione (Lombardia, Sicilia, Sardegna…), a volte addirittura dalla zona (Valtellina …). Per il latte UHT ci sono anche alcuni produttori come Granarolo e Parmalat che indicano “latte made in Italy. Ai consumatori basta dire che quando non si trova questa precisazione sull’etichetta il latte è importato. Ma anche in questo caso non si può criminalizzare l’importazione perché la quantità del latte “nazionale” non copre i fabbisogni del mercato. Anche sul pomodoro si abbatte la scure di Coldiretti quando insinua l’impiego di materia prima cinese. Basta andare al supermercato per rendersi conto che il 99% delle confezioni riporta in evidenza la scritta “pomodoro 100% italiano”. Nonostante ciò qualcuno specula sul concentrato cinese, deningrandone la qualità e sostenendo che è presente nei nostri prodotti, senza uno straccio di prova.
Oggi capire qual è l’origine della materia prima è facile basta leggere le etichette. Si tratta di un esercizio banale che sfugge al presidente di Coldiretti abituato a guidare i trattori ma probabilmente poco avvezzo a fare la spesa al supermercato. Oggi l’indicazione dell’origine è già obbligatoria per le carni bovine e di pollo (seguiranno presto quella sulla carne suina, ovina e caprina), nell’elenco troviamo poi il pesce fresco, l’ortofrutta, l’olio vergine ed extravergine d’oliva, il miele e le uova. Presto arriveranno anche normative per estendere l’obbligo ad altre categorie. In tutti gli altri casi chi usa ingredienti italiani lo indica sempre in etichetta. La regola è sin troppo banale. Dove non c’è scritto made in Italy, vuol dire che l’origine è straniera. Premesso ciò l’aspetto da non dimenticare è che il prodotto italiano non è una certificazione di qualità ma attesta solo l’origine.
Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza in test comparativi. Come free lance si è sempre occupato di tematiche alimentari.
Sono contento che lei esponga il problema che purtroppo non è mai abbondantemente dibattuto, ma non sono d’accordo con il ragionamento che fa.
Oggi non possiamo fare una filiera al 100% di grano duro italiano o di altri prodotti perché il reddito generato dalle aziende agricole è risibile rispetto al prezzo imposto dal mercato.
Le aziende che cercano la qualità in italia la possono trovare, il problema è che non vogliono pagare il prezzo ai produttori per arrivare a quella qualità quando dall’estero riescono ad importare a costi inferiori per svariati motivi.
È semplicemente una legge dell’economia. Se gli agricoltori italiani non guadagnano coltivando grano è perché sono meno ” efficenti” nella produzione rispetto agli agricoltori di altri stati. Basterebbe semplicemente che una parte di questi abbandonasse la coltivazione del grano e si specializzasse in altre colture in cui l’agricoltore italiano riesce ad essere “efficente”. Con una minore offerta ci sarebbe anche un conseguente aumento dei prezzi (del grano)! Il problema degli agricoltori italiani e che si concentrano soltanto sull’analisi e la critica delle conseguenze senza analizzare quali sono effettivamente le cause di questi fatti e come modificare il loro comportamento
Mi scusi, ma la sua analisi non ha presente la situazione attuale del mercato. Anche se si riducesse la quantità di aziende che producono cereali in italia (e già è successo tra chiusure di aziende e conversioni al biogas) non ci sarà un calo dei prezzi perché *tutti* i paesi comunitari ed extracomunitari riescono a vendere a prezzi più bassi di noi (comprendendo anche il lungo viaggio da un altro stato).
La vera differenza è tutta una serie di balzelli che la normativa italiana impone a tutte le aziende nostrane ed in particolare a quelle agricole.
Caro Carlo,
lei ritiene i Tunisini più efficenti degli italiani nella produzione di Olio Extra Vergine ? O crede che le regole in quel paese siano differenti rispetto a quelle europee a cui sono soggetti i ns. agricoltori ?
E se poi i parlmanetari europei, ovvero gli stessi che impongo le regole ai nostri agricoltori, autorizzano l’importazione a DAZIO ZERO (provvedimento straordinario) di Olio Tunisino in una annata in cui la produzione di olio a livello mondiale è deficitaria cosa crede cha abbiao fatto ?
Hanno clamorosamente fatto un autogol !!! Hanno calmierato il prezzo interno del ns. olio rispetto a possibili e legittimi aumenti.
Volevo fare i comlimenti per l’articolo.
Una chiara e semplice esposizione di fatti, senza preconcetti o difese ad oltranza della bandiera.
è sempre un piacere leggervi.
Bravi, articolo eccellente, finalmente la verità in mezzo ad un mare di bugie e bufale!
Coldiretti ha ragione, ma non sa spiegare, il Fatto Alimentare non ha ragione, ma sa spiegare. Come scrive, prima di me, Mah, ll dilemma è se essere “malnutriti” o cercare alternative di qualità! Non esiste un cibo generico: pasta, olio, passata, ecc. esistono oggi prodotti molto diversi negli aspetti salutari e qualitativi, però con lo stesso nome. Se non riusciamo a far capire le differenze, pregiudizi e preconcetti viaggeranno alla grande. Non si tratta di difendere la bandiera, si tratta di diventare CONSUMATORI INTELLIGENTI, che riescono a valutare la qualità vera, alta, bassa, incosistente, dannosa del prodotto che ha un nome unico: olio, ma che ha cela valori di qualità completamente diversi. So che è faticoso, ma questo è il progresso.
Valutare la qualità di un prodotto alimentare è spesso difficile. Non basta l’etichetta.
Punti di vista!!!!
Io, da consumatore preferirei sapere se le penne che mangerò oggi sono fatte con grano italiano o con grano canadese. Voglio ricordare che i limiti di Deossinivalenolo (Don), micotossina estremamente cangerogena, nel grano duro è ammessa sino al limite di 1750 μg/kg, in Canada, roba del genere è considerata rifiuto speciale, infatti il limite ammesso, badate bene, per l’alimentazione animale è di soli 1000 μg/kg. Vale a dire che noi consumatori europei valiamo meno delle vacche canadesi. Sempre per rimanere in argomento: i grani del sud Italia arrivano ad un massimo di 50 – 70 μg/kg, in molte annate particolarmente siccitose e assolate risulta praticamente assente!!!!
Ma veniamo alla cosa che le sta più a cuore: il glutine!
Indubbiamente dal punto di vista tecnologico i grani provenienti dall’estero, molto più ricchi di glutine “aiutano” a fare una pasta con certi requisiti, ma anche su questo, siamo sicuri che tutti vogliamo una pasta “tecnologica”, con più glutine?
Non sta a me mettere in discussione il così detto Made in Italy, tuttavia, da consumatore potrei scegliere se comprare un pacco di pasta con materie prime 100% italiane oppure no?
D’accordo sul diritto di poter scegliere e infatti nell’aticolo diciamo che i produttori sono miopi. Sul fatto dei limiti di micotossine e altro le ricordo che le regole per le importazioni sono le stesse del mercato interno
pane al pane e vino al vino, la verità fa sempre bene conoscerla!
se avessero scritto che la domanda estera supera la produzione interna del “belpaese” costringendo il mercato all’importazione per soddisfare l’estero avrei capito.
Provate una pasta del marchio Girolomoni..Irisbio..
Io addirittura sono finito ad acquistarla a filiera corta a 8km da casa..da un produttore con un piccolo laboratorio.
Mi spiegassero sta vakkata delle quantità risibili e della bassa qualità del grano italiano.
http://www.girolomoni.it/prodotti/la-nostra-pasta/?cat=111 che puoi trovare anche al commercio equo
http://www.irisbio.com/pasta-biologica/
http://lafattoriadisaraegiulia.jimdo.com/i-nostri-prodotti/
Roberto, sicuramente sono le stesse regole, infatti non era quello il punto del mio ragionamento. Volevo sottolineare il fatto che io consumatore preferirei mangiare della pasta, magari non troppo “tecnologica”, ma fatta con grano duro nazionale con limiti di micotossine ben al di sotto dei limiti di legge se non addirittura assenti (su questo vi sono numerose ricerche e studi). Tutto ciò non mi è possibile in quanto nessuno obbliga i pastai a scrivere in confezione l’origine del grano.
Saluti
Sono d’accordo con quanto riportato nell’articolo: alla disinformazione populista della Coldiretti e di molte testate giornalistiche e pseudogirnalistiche televisive (Le Iene, Striscia La Notizia e compagnia bella), bisogna rispondere con articoli come questo, anche se tanto la gente capisce solo quello che vuol capire…
Solo un piccolo appunto: nel caso dei prodotti alimentari trasformati è meglio non citare il “Made in Italy” (“Dove non c’è scritto made in Italy, vuol dire che l’origine è straniera”) in quanto la presenza di tale dicitura in etichetta sta solo a significare che la lavorazione del prodotto è avvenuta in Italia, ma NULLA DICE sull’origine della materia prima.
La Legge 350/2003 che avrebbe risolto questa stortura non viene fatta applicare dalle autorità perchè ritenuta dalla UE lesiva del libero mercato… Magari si potrebbe rimaneggiare, no?
Sono d’accordo. La dicitura “made in Italy” presente su alcune confezioni di pasta ottenute anche con materie prime importate è legale. Gli spaghetti sono “prodotti in Italia”, perché importiamo grano duro che viene prima trasformato in semola e poi miscelato con acqua per diventare pasta. Le due lavorazioni vengono fatte sul nostro territorio e questo autorizza la scritta “made in Italy”. Lo stesso discorso valido per altri prodotti alimentari. La norma è molto criticata ma è così.
Non bisogna dimenticare che comprando prodotti con materie prime italiane manteniamo dei posti di lavoro in Italia.
Giuseppe
Ma la materia prima italiana viene comunque totalmente acquistata dai molini… non si sostituisce la materia prima nazionale con materia prima estera ma si ricorre all’importazione solo perché siamo quantitativamente deficitari per 2 milioni di tonnellate di frumento duro…. in alternativa acquistiamo solo frumento duro italiano e non esportiamo più pasta….
A leggere l’articolo sembra che il grano di qualità si trovi soprattutto all’estero e che la scelta di importare grano da altri paesi sia una scelta giudiziosa, da parte delle grandi aziende produttrici italiane, fatta soprattutto per poter offrire ai consumatori la miglior qualità di pasta possibile. Certo, come no.
Purtroppo sig. La Pira non è affatto così, la semola prodotta in Italia è di altissima qualità, assolutamente superiore a quella canadese, figuriamoci a quella ucraina e messicana.. d’altronde se ci pensiamo la nostra pasta non è diventata famosa in tutto il mondo grazie alle semole estere.
La grande quantità di glutine non è un vantaggio perché i trattamenti ad alta temperatura che hanno tutti i grandi pastifici italiani (essiccamento ben oltre i 100°) rendono la pasta così “gommosa” che rimane sempre al dente. Anzi, proprio con questi trattamenti la pasta diventa meno digeribile perché il glutine modifica la sua struttura diventando qualcosa di sconosciuto al nostro organismo e regalandoci un bel senso di pesantezza dopo i pasti.
Inoltre la semola italiana sarebbe sufficiente a coprire le nostre esigenze nazionali ma la guerra ai prezzi che la gdo (e non solo) impone non la può far arrivare sugli scaffali. Il risultato è che i produttori comprano la semola estera per produrre pasta per il mercato italiano e semola italiana per produrre pasta (100% italiana) da esportare all’estero.
L’Italia ha sempre importato grano dall’Ucraina e ora anche da atri paesi. Lei tocca diversi argomenti che non è semplice sintetizzare . In ogni caso il dato oggettivo e che se vogliamo esportare il 50% della pasta prodotta in Italia dobbiamo importare grano duro di alta qualità dall’estero!
lei confonde il frumento duro con le semole di frumento duro…. siamo deficitari per circa 2 milioni di tonnellate in frumento duro mentre siamo autosufficienti in semole di frumento duro ottenute dalla macinazione del grano (le semole infatti non vengono importate….)
Signor piero luigi.. è la stessa cosa. La semola di frumento duro si ottiene dalla macinazione di frumento duro.. che poi non altro che grano.
Se importiamo frumento vuol dire che non siamo autosufficienti in semola!
Come al solito….contraddittori e faziosi….il dubbio che non siate indipendenti nonostante le rassicurazioni mi pervade….ma come vi fate bandiera del made in italy e poi su un alimento che coinvolge le più grandi aziende italiane…..”ah no il grano estero è meglio”…….io invece vorrei un prodotto made in italy al 100% non per una mia fissazione, ma per dare lavoro ai nostri agricoltori, a centinaia di famiglie che oggi si spaccano la schiena per non vedere riconosciuto il proprio lavoro, se non con una manciata di spiccioli che poi, sapientemente GDO e mulinazionali sanno far fruttare oro…..credo proprio che in questo paese di indipendente sia rimasto solo il pensiero del singolo, ma che tristezza!!!!!
Due anni fa abbiamo scritto un articolo sule paste italiane fatte con il 100% di grano locale. Lo vada a leggere e poi ci faccia sapere se ha cambiato idea sulla nostra indipendenza (http://www.ilfattoalimentare.it/pasta-italiana-100-marche.html). Noi non siamo portabandiera del made in Italy ma portabandiera della qualità. che a volte coincide con il made in Italy. In ogni caso nei prossimi giorni ci sarà un secondo articolo sulle paste nazionali.
I COLTIVATORI DIRETTI PUGLIESI DOVREBBERO SMETTERE DI ALLEVARE VACCHE CO L’ACQUA POTABILE, CREANDO METANO
DOVREBBERO RIPRENDERE A COLTIVARE I PREZIOSISSIMI GRANI DI UNA VOLTA, PREGIATISSIMI, CHE SI COLTIVANO CON POCA ACQUA
QUESTI GRANI SAREBBERO IMBATTIBILI NEI CONFRONTI GRANI DURI QUALUNQUE UCRAINI.
IL CANADA NON PUO PRODURRE GRANO DURO.
Questa idea comune che dà per scontato che prodotto italiano = prodotto di qualità superiore me la dovete proprio spiegare. Sono d’accordo che è bene tutelare l’economia e l’occupazione nostrana ma evidentemente la produzione agricola italiana non è in grado di reggere i volumi industriali a causa di disorganizzazione e frammentazione. D’altronde si sa che il campanilismo è una delle piaghe di questo Paese. Come fa un produttore di pasta a garantire una qualità costante del suo prodotto se ogni volta si trova sotto mano materie prime diverse?
Sono d’accordo con il contenuto generale dell’articolo, che giustamente smentisce molto delle frottole raccontate ovunque da parte di Coldiretti, che gode di molto spazio sui media e di altrettanta vicinanza alla politica.
Tuttavia bisogna ricordare che molta parte dell’agricoltura italiana, è andata, stà andando e andrà in malora, anche perchè non viene correttamente retribuita dall’industria alimentare e della distribuzione.
Assolutamente d’accordo, tutte le catene di supermercati strozzano i produttori imponendo prezzi troppo bassi.
A dire la verità tra l’industria e l’agricoltore c’è un terzo attore, rappresentato dal grossista, che solitamente fa ottimi affari perchè ha il coltello dalla parte del manico quando si trattano i prezzi.
All’agricoltore spesso non rimane che la scelta tra un prezzo basso o la bancarotta e questo aspetto, secondo me, è quello di cui si dovrebbe occupare maggiormente Coldiretti
Dalla Distribuzione che retribuisce l’industria alimentare che non retribuisce gli agricoltori.
Il male sta a valle e prima ancora in NOI CONSUMATORI che vogliamo risparmiare anche su un pacco di pasta ma spednaimo firo di quattrini ai cellulari….. !!!
La crisi e i problemi nel settore oleario sono iniziati da oltre 15 anni in quanto produrre dell’ottimo olio extra vergine di oliva è diventato sempre più oneroso, con costi di produzione elevati e tasse esose.
Spesso il il prezzo di vendita non copre neanche i costi di produzione, con il sistematico abbandono degli oliveti e conseguenze disastrose su tutta la filiera.
Invece il prezzo basso dell’extra vergine (2,50£ al litro) sugli scaffali è stato il cavallo di battaglia di diverse multinazionali alimentari che nel frattempo hanno rastrellato gran parte delle etichette made in italy non dialogando con il resto della filiera olearia.
Ebbene si deve sapere che il tracollo della produzione nazionale, parte da lontano da quando l’Europa barattava la nostra produzione olearia con gli altri stati extra CEE, importando olio a basso costo e di dubbia qualità, mentre nel frattempo obbligava i frantoiani e gli olivicoltori italiani a sottostare ad innumerevoli adempimenti burocratici.
Se non fosse per la caparbietà di tanti frantoi oleari ed aziende agricole che hanno avuto forza di continuare a quest’ora non esistevano neanche le piante di ulivo a proteggere le colline dal dissesto idrogeologico di intere zone.
il problema è che l’industria italiana, tranne qualche mosca bianca, non interessano i prodotti italiani perché li comprano a meno all’estero. i nosti grani duri sono migliori ma vanno bene agli artigiani che fanno ancora una lavorazione e un’essiccatura a 45 gradi; loro non possono per il tipo di lavorazione ecc,Stessa cosa sul grano tenero, queste farine super glutinate a chi servono? sempre a loro perché con lo stress delle linee continue ci vogliono farine molto forti non ai fornai anche se oramai anche i fornai dipendono dall’industria molitoria con prodotti già pronti anche con dentro gli additivi manca solo l’acqua finché non faranno una legge che obbliga la proveninza dei prodotti e se non sono italiani non puoi dichiararli made in Italy
Condivido pienamente quello che scrive Sara ,questo e successo anche con il pane grani esteri sempre più con forza glutinica ma il gusto e profumo sono spariti !Tutto a vantaggio dell’industria il pane sempre più gonfio più bello i fornai oramai dipendono dai mulini con i loro prodotti pronti con già gli additivi dentro manca solo l’acqua , per la pasta e uguale i grani li prendono dai paesi dove costano meno non perché in Italia non si possono produrre
i grani di forza, indispensabili per alcuni prodotti ad alta lievitazione, non vengono prodotti in Italia nelle quantità sufficienti e vengono pertanto importati. E lei dovrebbe sapere che hanno una quotazione molto più elevata rispetto al frumento tenero comune o panificabile…. Ma secondo lei, i molini italiani non avrebbero preferito acquistare tale frumento in Italia piuttosto che ricorrere alle importazioni da paesi terzi ?
brava Sara condivido quello che scrivi, il grano duro lo prendono all’estero perché costa meno. l’industria in italia ha rovinato prima il pane perché le farine super glutinate servivano a loro per lo stress meccanico delle linee continue non agli artigiani, adesso lo fanno con la pasta. L’industria da sempre non conosce patria ma il dio soldo.
noi consumatori abbiamo un potenziale che, purtroppo, non riusciamo né a comprendere e, di conseguenza, né a mettere in atto in maniera conscia. la nostra domanda guida l’offerta. se solo alcuni del popolo consumatore hanno una capacità critica nei confronti di quanto proposto da chi offre prodotti al mercato, è chiaro che il potere di guidare le tendenze sta dalla parte dell’industria di trasformazione, dei mediatori e della gdo alimentare. questo tipo di potere riesce ad avere una qualche influenza sulle regole del mercato, comportando una serie di provvedimenti che spesso non garantiscono i consumatori. se questi ultimi non acquisiscono una cultura più adeguata alle necessità contemporanee, magari con una concezione che non si fermi al soddisfo delle proprie esigenze, ma allargata ai bisogni di chi ha meno diritti in una visione organica del sistema mercato, saremo sempre più in balìa di coloro che, probabilmente senza scrupoli, mirano ad “alimentare” le proprie avidità sotto mentite spoglie!
cito questo suo passo: “L’utilizzo di olio spagnolo, greco e di altri paesi non è un ostacolo come qualcuno lascia intendere, ma è la condizione essenziale per permettere all’Italia di confezionare olio di qualità e venderlo in tutto il mondo”. mi spiega allora perchè si trova in giro tanto olio spacciato per italiano, mentre le analisi rivelano che non lo è? evidentemente, a differenza del latte e di altri prodotti, l’olio italiano gode presso i consumatori di una sensazione di qualità, altrimenti non si spiegherebbe il proliferare delle truffe. sono d’accordo per la pasta, essendo un prodotto finito è corretto scrivere made in italy, così come ad esempio come un abito confezionato in Italia anche se il cotone come tutti sanno non cresce qui da noi. ma per l’olio concetto proprio non va.
È vero che l’olio italiano gode di una migliore fama e probabilmente in linea di massima è anche migliore di quello spagnolo, anche se molto dipende dalle annate e dalla zona. La verità è che gli italiani comprano olio spangnolo e poi lo vendono come italiano perché in questo modo guadagnano 0,70-1,0 euro al litro,siamo noi i furbi non gli spagnoli. In ogni caso senza l’80% di olio straniero nel 2015 cosa avremmo imbottigliato?