Ricevo regolarmente e volentieri leggo la vostra newsletter, per questo mi permetto sottoporvi un dubbio sulla correttezza di un messaggio pubblicitario televisivo. Sono rimasto alquanto perplesso, guardando la pubblicità di Prostamol, nell’osservare, ben posta in evidenza, la dicitura “integratore alimentare”. Mi chiedo se sia corretto, dal momento che il prodotto in questione è a base di un principio attivo vegetale (ricavato dalla Serenoa repens), quindi un farmaco a tutti gli effetti; come tale fu infatti registrato parecchi anni fa dall’azienda farmaceutica Zambeletti, col nome commerciale Permixon ed è tuttora in vendita.
Credo che definire integratore alimentare un farmaco non sia corretto, e possa indurre nel consumatore un’eccessiva disinvoltura nell’usare un prodotto che, come ogni farmaco, ha i suoi limiti di sicurezza, soprattutto per un uso prolungato.
Il concetto di integratore alimentare è ben diverso, e comprende varie sostanze atte a fornire elementi nutritivi che possono essere in carenza, quali proteine, sali minerali, ferro, magnesio e altri, o sostanze attive nell’influenzare e favorire metabolismo ed assimilazione dei nutrienti, quali le vitamine, ecc. Non posso definire integratori il caffè, la camomilla, la valeriana, l’alcol etilico o altre sostanze che assumiamo giornalmente e che sono sicuramente di origine vegetale ma farmaci veri e propri, tecnicamente parlando. Cosa ne pensate?
Daniele
L’esempio evidenziato dal lettore è uno di casi in cui è lecito chiedersi se tre categorie diverse: cibi, integratori alimentari e farmaci, possano coincidere. La Serenoa repens è una palma di piccole dimensioni che i nativi americani utilizzano da secoli oltre che per le sue virtù anche come cibo. Nel caso riportato troviamo il medesimo principio attivo sia in un farmaco, il Permixon (*), che nell’integratore Prostamol (**), con lo stesso dosaggio e posologia. Il prezzo è significativamente inferiore per l’integratore per cui una capsula costa 0,73 euro, mentre nel caso del farmaco il prezzo raddoppia: 1,25 euro.
Abbiamo chiesto ad Anna Paonessa, Responsabile Area Integratori alimentari e prodotti dietetici di AIIPA, come mai sul mercato si trova la stessa sostanza, nella medesima quantità, ma allocata in categorie così diverse. «Come precisa il dlg. 169/04 “gli integratori sono dei prodotti alimentari destinati ad integrare la dieta e costituiscono una fonte concentrata di sostanze nutritive, quali le vitamine e i minerali, o altri composti in grado di svolgere un effetto nutritivo o fisiologico”. Le sostanze utilizzabili negli integratori alimentari sono stabilite dalla normativa europea, o da quella nazionale in caso di non armonizzazione, e in alcuni casi possono coincidere con quelle utilizzate nei medicinali. La classificazione di un prodotto all’interno della categoria degli integratori o in quella dei farmaci dipende da numerosi fattori: non solo il tipo di sostanza e il dosaggio ma anche la presentazione, con gli studi a supporto e le indicazioni, e soprattutto la ragione per cui si usa. Un farmaco ha come obbiettivo la prevenzione, il trattamento o la cura di una patologia, mentre l’integratore ha il compito di apportare alla dieta le sostanze di cui in quel determinato periodo o situazione si ha necessità, o che comunque sono utili a supportare le normali funzioni fisiologiche senza però la finalità di cura.»
Anche l’iter di approvazione è diverso. I farmaci, dopo diverse fasi di studio, possono essere messi in commercio solo se autorizzati da un’agenzia per il farmaco, nazionale o europea. Gli integratori sono invece prodotti alimentari che devono rispettare la normativa europea/nazionale in materia di sicurezza ed etichettatura, venduti dopo aver trasmesso al Ministero della salute il modello dell’etichetta con tutti i dettagli (ingredienti, quantità, indicazioni, peso netto, lotto…). Se entro 90 giorni il Ministero non muove obiezioni, l’etichetta si intende approvata e il prodotto viene inserito in un apposito Registro consultabile sul sito del Ministero della Salute (vedi Registro) . Le uniche indicazioni di cui si possono avvalere per le pubblicità e sulle confezioni sono quelle autorizzate dal Regolamento 1924/2006 o, nel caso di integratori a base di piante ed estratti, le indicazioni ammesse dal Ministero della Salute sulla base della tradizione d’uso.
Un caso analogo a quello della Serenoa repens si ha per l’acido folico (o folato) che si trova sia come medicinale, con l’indicazione “Prevenzione primaria dei difetti del tubo neurale del nascituro in donne fertili che stanno pianificando la gravidanza”, sia come alimento arricchito (es: cereali per la prima colazione addizionati di acido folico) sia come integratore, con la dicitura: “contribuisce alla crescita dei tessuti materni in gravidanza” o “l’integrazione con acido folico aumenta i livelli di folato nei tessuti materni. Bassi livelli di folato nei tessuti materni sono un fattore di rischio per lo sviluppo di difetti del tubo neurale nel feto”, entrambe autorizzate a seconda del dosaggio..
Tutto ciò quindi non impedisce a uno stesso principio attivo di trovarsi in un integratore, in un farmaco o addirittura nel nostro piatto.
(*) Permixon (Farmaco) 16 capsule molli. Circa 20 euro. PIERRE FABRE PHARMA S.r.l. Ogni capsula molle contiene 320 mg di estratto lipido-sterolico di Serenoa repens*. *Estratto oleoso originato da frutti di Serenoa repens (Bartram) Small. Solvente di estrazione: esano. Eccipienti: etile para-ossibenzoato sodico, propile para-ossibenzoato sodico. Gelatina, glicerolo, titanio diossido E171, ferro ossido giallo E172, etile para-ossibenzoato sodico, propile para-ossibenzoato sodico.
(**) Prostamol (Integratore alimentare) 30 capsule molli. Circa 22 euro. Una al giorno. A.MENARINI. Ogni capsula molle contiene: Serenoa repens e.s. frutti tit. 88% acidi grassi 320 mg, succinylated gelatin, glycerol, purified water, titanio diossido E171, black iron oxide E172, chochineal red (E214)
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Giornalista, redattrice de Il Fatto Alimentare, con un master in Storia e Cultura dell’Alimentazione
È il farmaco che costa meno dell’integratore. gli integratori hanno quasi sempre costo più alto e meno controlli.
Gentile Grazia, il prezzo è inferiore per l’integratore per cui una capsula costa 0,73 euro, mentre nel caso del farmaco il prezzo è di 1,25 euro a capsula. Anche gli integratori alimentari per essere approvati e messi sul mercato devono seguire un iter fatto di seri controlli.
Se ho ben inteso, un farmaco può essere venduto liberamente anche come integratore alimentare e quindi per fare un altro esempio, l’acido acetilsalicilico (Aspirina), volendo, potrebbe essere commercializzato come integratore e venduto in erboristeria e negli scaffali dei prodotti ed alimenti salutistici.
La cosa non mi convince ne per la Serenoa principio attivo farmacologico, ne eventualmente per l’ipotesi acido acetilsalicilico, mentre l’integratore acido folico è più credibile, come la Vit.C, D, B12, ecc…
Penso serva un ulteriore approfondimento, perché si potrebbe aprire una strada ancora non battuta, per vendere liberamente farmaci sotto mentite spoglie.
Gentile Ezio. Cerco di chiarire: un principio attivo può seguire un determinato percorso e diventare farmaco oppure seguirne un altro e diventare integratore. Il caso della Serenoa repens è interessante perché in Italia era prima diffuso il farmaco, poi è stato autorizzato l’integratore, seguendo un altro percorso. Ma non possiamo dire che sia un “principio attivo farmacologico”. È un principio attivo. Prima incanalato come farmaco, e successivamente come integratore. Se andassimo in un altra Nazione magari troveremmo un’altra situazione. In molti paesi americani viene impiegata come alimento. Anche gli integratori seguono un rigido iter per essere approvati e messi sul mercato.
mi pare che la cosa più scandalosa sia il permettere che venga pubblicizzato in TV un prodotto per l’ipertrofia prostatica, inducendo il pubblico a pensare che tale patologia possa essere trattata autonomamente senza l’intervento di un urologo/andrologo. Finchè si tratta di un banale raffreddore va bene, ma indurre all’automedicazione per una patologia che può avere sviluppi gravi (dall’idronefrosi fino al tumore prostatico).
lo ritengo inaccettabile. ma lo stato, pur di fare cassa, pare accetti anche questo.
Buongiorno a tutti. Sono un biologo nutrizionista: mi occupo, da anni, di integratori più che altro per l’aspetto “applicativo” e fisiologico. Alcune considerazioni:
1) pur avendo, i due prodotti, la stessa dose di principi attivi (PA); le modalità di estrazione (estratto lipido-sterolico e estratto secco) potrebbero comportare la presenza di altre componenti (differenti nei due casi) che modificano/modulano la cinetica di assorbimento e di altri parametri farmacologici. Quindi, non è detto che, pur presentando la stessa dose di PA, i prodotti agiscano alla stessa maniera, anzi.
2) Per Max: in questo caso non è, semplicemente, lo stato che fa cassa; è un problema molto complesso che riguarda la regolamentazione degli integratori; basti pensare che Lei, al supermercato, può trovare prodotti a base di ginkgo biloba (uno dei tanti) e assumerli “tranquillamente” anche se è largamente assodato dalla letteratura scientifica che la ginkgo interferisce con farmaci anticoagulanti (ampiamente utilizzati da molte persone). Per non parlare poi del ginseng.
3) Per Valeria Nardi: in realtà l’iter che seguono gli integratori è tutt’altro che rigido, direi. Come ha scritto correttamente nel suo “pezzo” serve una notifica e se, dopo 90 giorni, non c’è una “contestazione” da parte del ministero, il prodotto si ritiene accettato: il problema è che il ministero (uffici e laboratori preposti) è sommerso da richieste (gli integratori spuntano come funghi!) e quindi, pur con tutta la buona volontà, risulta molto difficile controllare rigidamente tutti i prodotti.
cordiali saluti
Per conoscenza ed esperienza diretta, posso testimoniare che l’interpretazione dei N.A.S. riguardo la classificazione degli integratori alimentari con indicazioni terapeutiche più o meno pubblicizzate, è quella di considerali farmaci.
Quindi non vendibili liberamente come integratori, ma come farmaci esclusivamente nelle farmacie.
Il rischio è quello del ritiro del prodotto e la denuncia penale con processo per direttissima senza difesa, per commercializzazione di farmaci al di fuori delle farmacie.
Con qualche eccezione verso le multinazionali che commercializzano principi attivi aggiunti agli alimenti, pubblicizzandone l’effetto terapeutico.
E’ una questione di interpretazione e d’iniziativa dei vari N.A.S. di zona, che non è univoca su tutto il territorio nazionale.
Se Il Fatto Alimentare volesse chiarire e chiarirsi nel merito, potrebbe inviare un’informativa ai vari Nuclei per valutarne la loro interpretazione e diffonderla, farebbe opera meritoria e chiarificatrice per tutti.