Il Fatto Alimentare ha denunciato nei giorni scorsi il grave conflitto di interessi tra alcuni nutrizionisti e dietologi italiani e le aziende alimentari, sottolineando gli strascichi all’interno di istituti di ricerca come nel caso dell’ex Inran (ora Crea Nut ente alle dipendenze del Ministero delle politiche agricole). La prima reazione alla vicenda del conflitto di interessi arriva dall’ADI (Associazione italiana di dietetica e nutrizione clinica) che volentieri pubblichiamo.
L’ADI risponde con molto piacere alla richiesta della redazione de Il Fatto Alimentare di conoscere da parte delle società scientifiche una presa di posizione in merito alla delicata questione del conflitto d’interessi che si potrebbe presentare quando i nutrizionisti che fanno informazione svolgono allo stesso tempo consulenza per le industrie alimentari.
L’Associazione ADI coglie questo momento come l’occasione per accendere un proficuo dibattito attorno al tema e non far cadere il tutto in una polemica sterile e fine a stessa. Come già ribadito in altre occasioni dall’ADI, l’informazione e la comunicazione scientifica, diventerebbe maggiormente affidabile, se venisse fatta da esperti che parlano a nome delle società scientifiche e non a titolo personale. Auspichiamo, infatti, che le società scientifiche vengano considerate dai media garanti della “sana e corretta” informazione.
Non a caso l’Associazione ha promosso proprio di recente in occasione di EXPO 2015 nel “Manifesto delle criticità in nutrizione clinica e preventiva” la proposta di realizzare una task force con il coinvolgimento ufficiale delle società scientifiche del settore, che vigili sui media per un controllo ulteriore dei messaggi scorretti e fuorvianti sulle informazioni commerciali e sulla comunicazione nutrizionale in difesa della salute.
Nell’ottica della trasparenza, ADI intende precisare, inoltre, che così come all’inizio di ogni relazione in sede congressuale viene fatto obbligo ai relatori di dichiarare di essere o meno in presenza di conflitto d’interessi e di specificare gli eventuali rapporti con soggetti portatori di interessi commerciali in campo sanitario, anche durante un’intervista o un’uscita mediatica dovrebbe essere fatto lo stesso, così che il lettore o il pubblico possa rendersi conto della possibile parzialità del relatore.
E’ auspicabile infine, conclude ADI, che il problema venga regolamentato dal mondo delle istituzioni in quanto è nell’interesse della salute pubblica ricevere dei messaggi riconosciuti ufficialmente e soprattutto di valenza scientifica.
giornalista redazione Il Fatto Alimentare