Dopo la proposta di Svezia e Paesi Bassi in sede europea, di togliere l’indicazione del Termine Minimo di Conservazione (TMC) riportata su alcuni alimenti per ridurre lo spreco, si è scatenata una polemica che ha coinvolto diversi soggetti (leggi articolo). Sui giornali si è parlato dei problemi correlati a cibi con una lunga “vita” commerciale come: riso, pasta e caffè e spesso c’è stata una certa confusione.
Il Fatto Alimentare ha chiesto ad alcune aziende come deve essere interpretato il Termine Minimo di Conservazione. La prima risposta è arrivata da Riso Scotti.
La nostra azienda stabilisce in 26 mesi la shelf life del “riso” quando confezionato sottovuoto, 18 mesi se in atmosfera controllata (tipo le buste dei risotti dry) e un anno nei sacchi di rafia (prodotto sfuso). Dunque, a seconda dell’imballaggio cambia la data di scadenza: questo perché packaging diversi dal sottovuoto sono più suscettibili alla luce e all’ossigeno che possono causare nel tempo un irrancidimento del riso.
Si tratta in ogni caso di un puro difetto organolettico, assolutamente non nocivo per la salute. Le date sono più restrittive per salvaguardare la freschezza (non l’integrità) del prodotto.
Cosa succede se si consuma 6 o 12 mesi dopo la data indicata?
Nel caso del riso, il prolungamento di 6-12 mesi del Termine Minimo di Conservazione (TMC) potrebbe contribuire unicamente all’irrancidimento, se non correttamente conservato in un luogo fresco ed asciutto. Riteniamo la data riportata sulla confezione un’indicazione utile per il consumatore che, non conoscendo le performances dei vari prodotti, si attiene giustamente a quanto scritto sull’etichetta. Non si corrono rischi di alcun tipo quando si consuma il prodotto oltre la data (anche perché il riso viene cotto e in nessun caso può comportare intossicazioni alimentari).
Detto questo, come per tutti i prodotti della natura, anche per il riso, 100% naturale, la freschezza si può facilmente rilevare nel gusto!
© Riproduzione riservata
Foto: Thinkstockphotos.it
Giornalista, redattrice de Il Fatto Alimentare, con un master in Storia e Cultura dell’Alimentazione
Mi sembra invece necessario il ‘Termine Massimo di Conservazione’.