È ormai bufera in Europa sulla frase “da consumarsi preferibilmente entro…” presente sulle etichette di molti prodotti alimentari, e che forse scomparirà. Il dibattito si è acceso dopo che le delegazioni di Svezia e Paesi Bassi, con il supporto di Austria, Danimarca, Lussemburgo e Germania, hanno presentato al Consiglio dei ministri dell’agricoltura dell’Ue una proposta per arginare lo spreco alimentare. Il documento proponeva tre punti, ma l’attenzione si è focalizzata sul primo, creando schieramenti opposti. La frase della discordia recita: “un nutrito elenco di prodotti, che hanno una lunga durata (shelf life) e conservano la loro qualità per molto tempo, potrebbe essere esentato dall’obbligo di scrivere in etichetta la frase “da consumarsi preferibilmente entro…” (best before)”. Stiamo parlando della data presente sulla confezione di alimenti come pasta, tonno in scatola, caffè, riso… che non indica la scadenza ma il termine minimo di conservazione (TMC).
Contrariamente a quanto ha riportato la maggior parte dei giornali e dei siti, non si sta parlando della “scadenza”, ma del Termine Minimo di Conservazione (TMC). La differenza è importante perché la modifica riguarderebbe il periodo stabilito da ogni azienda trascorso il quale l’alimento, anche se ancora commestibile, comincia un lento e progressivo decadimento nutrizionale e organolettico. Questa indicazione varia in funzione della qualità delle materie prime, del tipo di alimento, del trattamento industriale e del sistema di confezionamento. I consumatori però tendono a cestinare i prodotti che hanno superato la data indicata sulla confezione e questo determina uno spreco che si vorrebbe evitare.
Il Fatto Alimentare ha più volte trattato l’argomento, sottolineando come il consumo di un cibo oltre il TMC non comporti rischi per la salute (come si vede nella tabella).
Pur non esistendoci problemi sanitari, la scelta di togliere il TMC dall’etichetta vuol dire privare il consumatore di un’informazione importante, perché si tratta di un riferimento utile per valutare il prodotto, e infatti molte organizzazioni si sono opposte alla proposta.
Le delegazioni della Svezia e dei Paesi Bassi hanno anche chiesto di:
• esaminare, insieme agli Stati membri, le possibili azioni da intraprendere per stimolare una migliore comprensione da parte dei consumatori delle informazioni sulla durata;
• riesaminare la legislazione esistente per individuare barriere giuridiche che possono favorire sprechi alimentari.
La vicenda va affrontata, perché è vero che molti consumatori non distinguono tra Termine Minimo di Conservazione e data di scadenza, ma è altrettanto vero che togliere dalle etichette un’informazione così importante è sbagliato. Piuttosto è auspicabile che dal confronto tra le parti emergano soluzioni valide e utili per i consumatori e i produttori, volte a tutelare la salute e a ridurre lo spreco lungo tutta la filiera.
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Giornalista, redattrice de Il Fatto Alimentare, con un master in Storia e Cultura dell’Alimentazione
Secondo me è un fatto grave perché togliere quella data (ed è previsto anche per i formaggi duri ed altro); danneggia il consumatore che non avrebbe modo di sapere se si trova davanti a un prodotto di 1 o 15 anni e la qualità cambia molto.
Per quanto mi riguarda imporrei come regola per questi prodotti di indicare la data di produzione e poi ognuno si regola.
Concordo con Sergio per la data di produzione e la libera scelta da parte del consumatore sul TMC. Oggi sino al TMC il produttore risponde delle caratteristiche del prodotto alimentare, poi sempre se correttamente conservato ne risponde il venditore! Ora che convenienza ha il produttore a non mettere il TMC? Risponderebbe delle caratteristiche del prodotto per sempre!! Mi pare strano che i Paesi indicati propongano una soluzione che aumenta le responsabilità dei produttori in un termine senza fine.
E’ grave. E bisogna capirne la portata: in un momento storico caratterizzato da tensioni di filiera e lotte accese sui prezzi tra retail, industria e produzione primaria (vi dice nulla la parolina “sotto costo”? o ancora, “Mister Prezzi”?…giusto per capire l’epoca in cui viviamo…) togliere ogni riferimento al TMC equivale a dare un arbitraggio onnipotente ai soggetti a valle, liberi di acquistare quando i prezzi sono bassi e vendere quando sono alti. Inoltre, liberi di spacchettare e re-impacchettare a piacimento (vi ricordate quella cosa che è successa ad una industria del prosciutto cotto…? bene, diventerebbe legale, se passa il principio di cui sopra anche ad altri prodotti).
Guarda a caso, son ancora una volta i paesi del Nord Europa forti distributori, ad avere avuto questa idea geniale. Se l’avessero proposta gli italiani, ci sarebbe stato il solito fronte di liberazione nazionale interno, la solita guerra civile tra signorie medievali (l’una contro l’altra armate) e infine una sonora pernacchia dall’Europa (al grido semmai di “italiani sporcaccioni”…)
Sul caffè, non mi sentirei di escludere rischi (quella cosina che si chiama ocratossina A e che si forma e accumula lungo tutta la vita del prodotto, e che Efsa nientemeno ha chiesto di diminuire in un parere di qualche anno fa?)
Provo a razionalizzare il problema per punti:
– ridurre gli sprechi, togliendo quella che comunque il consumatore interpreta come data per il consumo ed il produttore garantisce come limite di qualità organolettica, non è una soluzione.
– l’indicazione della data di produzione è vantaggiosissima per il consumatore, molto problematica per tutta la distribuzione e non risolve il problema degli sprechi, ma lo aggrava.
– occorre mantenere un’indicazione temporale, ma indicante una progressione deteriorante del prodotto e non una scadenza.
– separare a priori qualità organolettiche e conservazione massima con problemi alla sicurezza dell’alimento, se ingerito.
– indicare date comunicando un valore e non un disvalore come una scadenza (es: prodotto fresco fino al—, consumabile fino al—),rendendo disponibili scorte di magazzino per le offerte promozionali, evitandone la distruzione diretta in fase distributiva e gli sprechi del consumatore finale.
Corrado, io aggiungerei che la proposta viene da zone geografiche dove la temperatura media di conservazione in magazzinaggio e distribuzione dei prodotti con TMC è largamente inferiore al sud Europa, CON EVIDENTE AUMENTO DELLA SHELF-LIFE . Ma secondo me , visto che il TMC è a discrezione, e responsabilità del produttore, il problema dello spreco non si pone, mentre il TMC è un importantissimo strumento anche di tracciabilità temporale e gestione in distribuzione e sul punto vendita. Semmai si promuova una ulteriore campagna di gestione del TMC, magari nel senso indicato dall’ultima nota di Ezio, presso i consumatori, peraltro attualmente un po’ troppo stressati da certi media e opinionisti consumeristi, fra cui non ultima Coldiretti , sull’interpretazione restrittiva della shelf-life in generale. ESAGERARE E’ SEMPRE DELETERIO E DANNOSO NEI CONFRONTI DELLA FIDUCIA DEI CONSUMATORI !!