Ho un quesito sul nuovo regolamento (UE) n. 1169/11 sulle etichette alimentari che impone di indicare nell’elenco ingredienti i componenti fonte di allergeni (come da allegato specifico), non soltanto menzionandoli a fine elenco ma evidenziando appunto l’ingrediente stesso, ad esempio: “… pasta d’acciughe, formaggio Grana Padano (latte, conservante lizosima da uovo), noci, fibra di frumento, ecc…”. Fino a qui mi sembra tutto abbastanza semplice (anche se non è chiarissimo se scrivere frumento, parola che non figura nell’allegato, sia corretto o invece si debba specificare glutine o ad esempio grano, analogamente se potrebbe bastare formaggio o invece si debba specificare latte…).
Il mio dubbio più grosso riguarda i solfiti. Facciamo l’esempio di un prodotto alimentare sott’olio, realizzato a partire da più semilavorati vegetali che contengono già in partenza anidride solforosa (E220) e metabisolfito di sodio (E223) che portano a stimare un contenuto residuo finale di solfiti nel prodotto superiore ai 10 ppm. In questo caso sarà necessario specificare la presenza dei solfiti, ma in quale forma? Per ognuno degli ingredienti che li contengono (es. cipolle (solfiti), peperoni (solfiti), eccetera) oppure sarà opportuno indicare in fondo all’elenco degli ingredienti un più generico “antiossidante E223 (solfiti)”? Il buon senso suggerirebbe la seconda ipotesi, anche perché i solfiti non fanno parte delle cipolle o dei peperoni, ma ovviamente derivano da un additivo… Oppure, nel caso in cui i vegetali vengano lavati e conciati al fine di ridurre il contenuto residuo in solfiti ma non sia possibile avere la sicurezza di un contenuto finale <10 ppm nel prodotto finito, la soluzione migliore sarebbe indicare alla fine semplicemente “può contenere tracce di solfiti”?
Mi scuso per essermi un po’ dilungato, ma l’argomento è piuttosto spinoso e il termine ultimo per l’aggiornamento delle etichette ormai imminente…
Lorenzo
Ho seguito con attenzione i dibattiti su questo argomento, ma secondo me, il testo attuale del regolamento (UE) n. 1169/11 non lascia alcuno spazio al buon senso. Viene infatti prescritto di ripetere la presenza di ingredienti allergenici, pur già segnalati, in relazione a ogni loro specifica fonte: ingredienti, additivi, coadiuvanti, ed eventuali loro “carry over” (residuo).
Di conseguenza – fino a quando le rappresentanze degli Stati membri, in accordo con la Commissione Europea, non pervengano a una diversa interpretazione ufficiale di buon senso, che tenga pur conto delle esigenze di informazione dei consumatori affetti da allergie o intolleranze alimentari – vige l’obbligo di fornire indicazione specifica della presenza di allergeni a margine di ciascun ingrediente o diversa sua fonte.
Il regolamento, del resto, non lascia spazio a pur ragionevoli ipotesi semplificative quali il ricorso ad asterischi.
“Dura lex, sed lex”!
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E vogliamo parlare della confusione riguardo a quei prodotti in cui non è necessario indicare l’ingredientistica in etichetta? Il regolamento chiarisce che è obbligatorio in questi casi aggiungere la dicitura “contiene” seguito dall’allergene, ma dice anche che tale dicitura non è necessaria nel caso in cui la denominazione dell’alimento fa chiaramente riferimento alla sostanza o al prodotto in questione.
Ecco appunto chiaramente; se il prodotto ha come sua denominazione es. yogurt, panna, burro, formaggio e non vi è esplicito riferimento al latte?
A rigor di logica ma anche secondo il parere della Comissione Europea nelle sue Linee Guida per l’applicazione della direttiva allergeni (dir.EU 2000/13 abrogata però dal nuovo reg. EU 1169/2011, non bisogna precisare l’allergene (e. latte) quando la denominazione del prodotto è associata dal consumatore medio all’allergene in questione. Eppure molte ditte chiedono di aggiungere la dicitura “contiene latte” in quanto il prodotto lattiero caseario nella sua denominazione di vendita non contiene esplicitamente la parola latte.
Ma l’allergene è sia il latte che i prodotti a base di latte(incluso il lattosio), dunque già scrivere yogurt, panna, burro ecc. dovrebbe bastare o si può “incappare” in sanzioni?
Sembra una questione di poco conto ma il fatto che ci sia spazio all’interpretazione sta creando una grande confusione e il 13 dicembre 2014 è alle porte!
Siamo fornitori di latte a marchio della Grande Distribuzione e il cliente in questione ha preteso che nella etichetta di un latte non vaccino UHT A LUNGA CONSERVAZIONE la parola “latte” all’interno dell’elenco ingredienti (elenco necessario perché presente anche uno stabilizzante) fosse in grassetto e sottolineata!!! E’ assurdo: nella denominazione legale di vendita la parola “latte” è scritta a caratteri cubitali!! A mio parere questo vale per tutti i prodotti lattiero caseari (latte, formaggi, burro, yogurt) perché lo sanno pure i muri che la materia prima di origine è il latte!!! La Commissione UE si rende conto o no che il consumatore medio non è e non va trattato come un ignorante????????
Buongiorno,
per dare seguito alle considerazione di Erika a proposito di formaggi e similari, è vero che tali ingredienti sono (molto spesso) immediatamente associati al latte dai consumatori, ma se non sbaglio il regolamento stabilisce di evidenziare il componente menzionato nell’allegato specifico… per cui a rigor di legge, a mio parere, è più prudente citare proprio “latte”.
Per quanto riguarda la lettera iniziale (da me inviata alla redazione) e il relativo commento da parte dell’Avv. Dongo, avrei ancora un piccolo dubbio: è vero che il 1169 impone di evidenziare l’ingrediente allergenico ogni qualvolta compaia, ma nell’esempio specifico (la miscela di verdure ognuna delle quali si trascini dietro un residuo di solfiti) tale regola sembrerebbe applicabile nel caso in cui si considerasse ogni verdura alla stregua di un ingrediente composto: da qui “cipolle (E223-solfiti), cetrioli (E223-solfiti), ecc…”; se invece si dichiarasse, cosa lecita, l’elenco ingredienti “esploso” in ordine ponderale, non avrei la facoltà di menzionare, in fondo alla lista, E223 (solfiti)una volta per tutta, rispettando comunque il 1169/11?
Per essere ineccepibili io scriverei anche “pasta d’acciughe (PESCE)…
Lorenzo, quesiti per nulla scontati, perché proprio l’altro giorno, in una discussione su facebook con alcuni celiaci, mi chiedevano se l’industria è ‘obbligata’ a segnalare le tracce…
Ora, mi scuso sin d’ora se sarò prolissa, ma provo a condividere le informazioni (e le fonti) di cui io sono al corrente.
Quindi:
1) cominciamo col dire che esiste una nomenclatura precisa degli allergeni, stabilita per Legge, ossia occorre fare riferimento al Decreto Legislativo 8 febbraio 2006, n. 114 (modificato dalla DIRETTIVA 2007/68/CE DELLA COMMISSIONE del 27 novembre 2007 ):
Crostacei e prodotti derivati; Uova e prodotti derivati; Pesce e prodotti derivati; Arachidi e prodotti derivati; Soia e prodotti derivati; Latte e prodotti derivati (compreso il lattosio); Frutta a guscio cioe’ mandorle (Amigdalus communis L.), nocciole (Corylus avellana), noci comuni (Juglans regia), noci di acagiù (Anacardium occidentale), noci pecan (Carya illinoiesis (Wangenh) K. Koch), noci del Brasile (Bertholletia excelsa), pistacchi (Pistacia vera), noci del Queensland (Macadamia ternifolia) e prodotti derivati;Sedano e prodotti derivati; Senape e prodotti derivati; Semi di sesamo e prodotti derivati; Anidride solforosa e solfiti in concentrazioni superiori a 10 mg/kg o 10 mg/l espressi come SO2.”
2) Il problema non è banale, soprattutto in caso di allergie molto gravi, laddove anche solo una traccia (sebbene non sia ancora stata stabilita una soglia universale capace di scatenare reazioni…), tant’è che i nuovi prodotti da forno e mix di farine per celiaci contenenti “frumento/grano deglutinato…” costituiscono un interrogativo per chi è gravemente allergico a tutte le proteine del grano, non solo al glutine, e qui… dipende dal grado di “purezza” del prodotto… non so se mi spiego, non è facile.
A questo proposito forse potrebbe interessarti sapere che, stando ad un Documento ufficiale: “l’amido di grano e il lattosio sono ingredienti provenienti da fonti allergeniche, ma non sembra esservi un reale rischio per il consumatore. Non vi sono però sufficienti studi condotti in sottogruppi di pazienti con elevata sensibilizzazione che confermino la non nocività.” tratto da “Allergie alimentari e sicurezza del consumatore. Documento di indirizzo e stato dell’arte.” (p. 30).
Si tratta di un documento pubblicato di recente nel sito del Ministero della Salute: http://www.salute.gov.it/…/C_17_pubblicazioni_2134…. Lì si può anche leggere altro da p. 29 a p. 32, nella la sezione dedicata agli allergeni in etichetta, per esempio:
“Le domande chiave a cui bisogna ancora dare risposta per garantire la sicurezza alimentare sono:
• esiste una dose soglia di scatenamento per l’alimento allergenico o per gli ingredienti da esso derivati? • l’esposizione a “basse dosi”, all’alimento o alle proteine allergeniche da esso derivate, può provocare una reazione allergica?
• tutti gli ingredienti provenienti da quell’alimento rappresentano un rischio per la vita di ndividui sensibilizzati?
• ci sono altre fonti nascoste di allergeni? I livelli soglia non sono stati ancora determinati per la maggior parte degli allergeni alimentari, e quelli conosciuti, uovo, arachide e latte, possono variare, da individuo ad individuo, da pochi milligrammi a qualche grammo.
Proprio per questa variabilità, al momento non è possibile basare su questo parametro le regole di etichettatura. Soltanto per l’anidride solforosa e i solfiti è indicato dalle disposizioni vigenti il limite di 10 mg/kg o 10 mg/l espressi come SO2, il cui superamento implica l’obbligo di segnalazione in etichetta. Il livello di rischio posto da ingredienti derivati da fonti allergeniche è legato alla quantità di proteine 29 allergeniche presenti nell’ingrediente stesso, alla natura della proteina ed al livello di uso dell’ingrediente nella formulazione dell’alimento. Gli oli altamente raffinati, anche se provenienti da fonti allergeniche come soia ed arachide, non rappresentano un rischio per la maggioranza dei soggetti allergici a soia ed arachide, in quanto contengono minimi livelli residui di proteina.”
La sezione si conclude con questa frase: “L’EFSA (European Food Safety Authority) e altri organizzazioni scientifiche (ILSI Europe) stanno valutando i dati riportati in letteratura per arrivare a proporre soluzioni adeguate in merito alla dose minima o sul livello soglia in grado di scatenare una reazione negli individui più sensibili.”
Mi permetto di aggiungere un altro link ufficiale al Rapporto Eufic sugli allergeni alimentari (10/2013), dove, per esempio, si accenna anche alle soglie:
“Soglia di sicurezza degli allergeni. Esse possono essere definite a due livelli, ossia soglie individuali e soglie per popolazione. Una soglia individuale è la quantità massima di allergene che può essere tollerata da un soggetto allergico. Una soglia per popolazione, invece, è la quantità massima di allergene che può essere tollerata da un’intera popolazione (o da un sottogruppo rappresentativo) di soggetti con allergia alimentare.” Link: http://www.eufic.org/…/Rapporto_EUFIC_sugli_allergeni…/
In caso di allergie non è facile stabilire una soglia perché quelle individuali variano da caso a caso. E le eventuali, contaminazioni possono essere pericolose per alcuni e non per altri.
E comprendo di conseguenza la difficoltà dell’Industria nel trattare le tracce accidentali, tant’è che una volta, un imprenditore mi confidò: “Io faccio tutto il possibile per pulire la macchina, ma ho solo quella, con cui produco altro che contine, e non posso entrarci… e se ci rimanesse una traccia? Non solo… come faccio a essere sicuro al 100% che la materia prima del mio fornitore non è contaminata? Io la dicitura “Può contenere…” devo metterla, perché non posso garantire l’assenza di contaminazioni”.
Il tema, capisci bene… sembra essere complesso. Spero di non essere stata eccessivamente prolissa e spero di aver fornito spunti utili…
@ Dario Dongo
Vorrei tanto che fosse come dice Lei, ma… l’Industria mi sembra talvolta un po’ confusa, mi spiego meglio.
Proprio prima di Pasqua (ho pensato proprio a Lei) mi sono imbattuta in una etichetta di un uovo di Pasqua in cui veniva, erroneamente, evidenziata ( in neretto come vuole il nuovo Regolamento) la parola “burro” di cacao (che non è evidentemente un derivato del latte vaccino o altro mammifero), anziché la parola “burro anidro” (che, invece, è un derivato del latte). Non solo. La dicitura precauzionale… recitava: Può contenere nocciole, mandorle, latte. In realtà CONTIENE proteine del latte, sebbene il burro anidro sia per lo più composto da grassi, porta con sé delle proteine, oppure no?!?!
Ora, cosa suggerirebbe Lei di fare in questo caso? Io so chi è il produttore, ma non ricordo il nome del prodotto specifico e mi pento di non averlo segnato, NON per fare una guerra crociata contro l’azienda, ma per capire cosa non funziona in questi casi.
Grazie per il prezioso contributo di sempre.
@Lorenzo:
Nel documento: Etichettatura degli allergeni, Linee Guida di Federalimentare, Rev. n° 2, 6 novembre 2009, a p. 12, nella sezione 2. dal titolo ‘Sostanze allergeniche’, è indicato l’elenco “tassativo” con qualche commento in corsivo, magari ti interessa.
Qui il link: http://www.federalimentare.it/Documenti/LineeGuida/Allergeni_rev2_6nov09.pdf
Questo tema mi sta molto a cuore… si vede? [ 😉 ]
Io non sono un’addetta ai lavori, sono solo una mamma che deve gestire le allergie della figlia a casa, fuori casa, sul territorio nazionale, all’estero… Un gran lavoro, ti assicuro, quindi ogni giorno mi domando come si potrebbe fare… per in-formare, comunicare, spiegare… e la complessità delle normative non sempre agevola il lavoro degli operatori, me ne rendo conto…
Quindi buon lavoro!
Ciao, una domanda: se sulla confezione metto mix di frutta secca, nell’elenco ingredienti la parola “nocciole” dovrei metterla con un carattere distinto?!
grazie mille
Abbiamo pubblicato il 25 giugno una nota su questo problema