Ricordate i casi di mozzarella blu degli anni scorsi (leggi articolo)? Si sapeva già chi era il colpevole, vale a dire batteri del gruppo Pseudomonas fluorescens, ma ora alcuni ricercatori dell’Università di Padova hanno messo a punto un nuovo metodo che permette di identificare in modo preciso il ceppo batterico, facilitando la tracciabilità nell’ipotesi di una futura eventuale contaminazione.
Pseudomonas fluorescens è un batterio ubiquitario presente dappertutto. Purtroppo ne esistono moltissimi ceppi diversi e non tutti sono in grado di produrre il pigmento che può causare la sgradevole colorazione blu non solo, nelle mozzarelle ma anche in altri formaggi e alcuni tipi di carne e pesce crudo. Per un’azienda alimentare è importante sapere se le superfici di lavorazione sono contaminate con uno di questi ceppi e – nel caso in cui si verifichino episodi di colorazione – capire da dove proviene la contaminazione.
Per farlo, Barbara Cardazzo e i colleghi del Dipartimento di biomedicina comparata e alimentazione dell’Università di Padova, hanno impiegato un nuovo metodo molecolare, basato sul sequenziamento di particolari tratti del DNA del genoma batterico, e lo hanno testato su 118 campioni (mozzarelle e altri formaggi, carni di diversi tipi, sushi), compresi una ventina di prodotti di colore blu (per lo più mozzarelle, ma anche carne). Il lavoro è descritto in dettaglio sulla rivista Food Microbiology. «Il metodo – commenta la ricercatrice – ci ha permesso di caratterizzare in modo rapido ed efficiente il ceppo batterico presente e quindi di dare un nome e un cognome preciso al ceppo». Confrontando le varie sequenze, gli studiosi si sono accorti che i ceppi presenti nei campioni blu – e dunque capaci di produrre il pigmento – sono molto simili tra loro. «In pratica, appartengono a una sorta di sottogruppo omogeneo di Pseudomonas fluorescens».
Per facilitare ulteriormente il lavoro di caratterizzazione batterica e di tracciabilità, i ricercatori hanno sviluppato un database pubblico con tutte le informazioni utili sulle sequenze ottenute. Chiunque produca altri dati sui diversi ceppi batterici di P. fluorescens potrà a sua volta depositarli in questo database, condividendoli con tutta la comunità scientifica. In questo modo sarà più facile, in caso di nuovi episodi di cibi blu, verificare se il ceppo responsabile è già stato descritto e quali sono le sue caratteristiche.
Il metodo per il momento è abbastanza sofisticato e richiede un laboratorio di analisi attrezzato, ma Cardazzo e collaboratori stanno mettendo a punto anche un sistema più semplice, da utilizzare direttamente sul luogo in cui serve. «Inoltre stiamo cercando di capire meglio la natura chimica del pigmento blu, che è ancora sconosciuta», precisa la studiosa.
Una cosa però è certa, questi ceppi batterici non sono per nulla patogeni: certo alterano gli alimenti, ma non provocano malattie. Anche se si consuma un formaggio che dopo pochi giorni diventa blu, non succede niente. L’altro elemento certo è che nel breve periodo il fenomeno della mozzarella blu è destinato a ripetersi. Probabilmente a causa dell’allungamento dei tempi di conservazione per mozzarelle e altri formaggi freschi: P. fluorescens, infatti, vive bene alle basse temperatura presenti nei frigoriferi. In altre parole più tempo restano in frigorifero le mozzarelle maggiori sono le probabilità che il batterio (quando presente) possa raggiungere una concentrazione sufficiente a provocare l’anomala colorazione.
Valentina Murelli
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Giornalista, redattrice de Il Fatto Alimentare, con un master in Storia e Cultura dell’Alimentazione
Interessante poter individuare rapidamente ni ceppi cromogeni. Più difficile individuarli sul prodotto appena prodotto in tempo reale, dato l’ipotizzabile bassisimo livello inquinante (che poi aumenta anche in condizioni refrigerate), o meglio ancora sulle superfici a contatto con la cagliata , nell’acqua di raffreddamento delle mozzarelle e nel liquido di governo, in modo da riuscire a fare vera prevenzione individuando l’origine del reinquinamento.