L’alimentazione cambia e anche le produzioni: cosa ne sarà dei lavoratori? Nei prossimi anni l’adozione di una dieta migliore, con più proteine vegetali e meno animali, prevista in molti paesi avrà un impatto profondo sul mercato del lavoro relativo alla produzione. Si perderanno milioni di posti nell’ambito della zootecnia, ma se ne acquisteranno altri in quello dell’agricoltura sia tradizionale che innovativa (per esempio l’idroponica). I decisori politici dovrebbero tenerne conto, e avviare prima possibile un’adeguata programmazione e formazione, perché il lavoro di domai non sarà identico a quello di oggi.
È una visione a tutto campo quella proposta dai ricercatori dell’Environmental Change Institute (ECI) dell’Università di Oxford, in Gran Bretagna, che hanno pubblicato su Lancet Planetary Health il risultato delle stime fatte su ben 179 paesi, e risponde indirettamente a una ricerca uscita negli stessi giorni, che riguarda una situazione che avrà una profonda influenza sulla programmazione dei prossimi anni: la guerra in Ucraina.
Lo studio sui posti di lavoro
Per valutare adeguatamente i prossimi cambiamenti generali, i ricercatori guidati da Marco Springmann, volto noto anche ai media britannici, hanno analizzato i dati in base a schemi di alimentazione quali il vegetarianesimo, il pescetarianesimo, il veganesimo e il flexitarianesimo, applicando a ciascuno le stime dei posti di lavoro in entrata e in uscita a seconda della diffusione di venti tipi di alimenti. Proiettando i numeri al 2030, un cambiamento verso diete più salutari porterebbe a una perdita di posti di lavoro compresa tra il 5% (per un’alimentazione ancora flexitariana ma con più vegetali, oppure pescetariana) e il 22-28% per regimi vegetariani o vegani, pari a un numero assoluto compreso tra 18 e 106 milioni di lavoratori non più necessari.
La riduzione toccherebbe più da vicino i paesi che attualmente basano la propria produzione alimentare sull’allevamento, settore che, a parità di proteine prodotto, ovviamente richiede molta più mano d’opera rispetto a quello della produzione meramente agricola. In termini economici, ciò significherebbe una perdita di Prodotto Interno Lordo globale compreso tra lo 0,2 e lo 0,6%, cioè 290-995 miliardi di dollari americani.

Le nuove tecnologie
Fin qui le cifre relative ai cambiamenti nel settore zootecnico. Ai quali, però, fanno da contraltare quelli di segno opposto dell’ambito agricolo. I paesi che fondano la propria economia sulle produzioni di vegetali avranno infatti bisogno, sempre entro il 2030, di un numero di nuovi lavoratori compreso tra i 18 e i 56 milioni, da avviare principalmente alle coltivazioni di frutti a guscio, legumi, frutta e verdura in generale. E saranno i paesi più poveri ad avere maggiori necessità: circa un quarto di quelli vocati a questo tipo di produzioni hanno già oggi carenze di personale, e ne avranno sempre di più.
Oltretutto, accanto ai lavoratori tradizionali, dovranno essercene sempre di più capaci di destreggiarsi con le nuove tecnologie e metodi di coltivazione, resi indispensabili dai cambiamenti climatici e dagli eventi geopolitici, come mostra l’analisi della situazione ucraina pubblicata negli stessi giorni sulla rivista del gruppo Nature Communications Earth & Environment.
Il suolo ucraino si impoverisce
Fino a prima della guerra iniziata nel 2022 l’Ucraina è stata il granaio d’Europa; la sua importanza era tale che sono stati fatti sforzi significativi per mantenere la produzione nonostante il conflitto. La situazione si è fatta tuttavia sempre più precaria, perché azoto, potassio e fosforo sono rimossi dal suolo più velocemente di quanto non siano rimpiazzati, a causa della scarsità di fertilizzanti disponibili, della degradazione della catena di produzione, di stoccaggio e delle tecnologie causata dal conflitto. La conseguenza è che presto il paese potrebbe avere enormi difficoltà a sostenere le proprie colture, con ripercussioni in tutto il mondo. Per questo, anche in questo caso focalizzandosi sul 2030, è necessario intervenire oggi.
I ricercatori di Regno Unito, Ucraina e Paesi Bassi hanno analizzato i dati degli ultimi quarant’anni sui fertilizzanti e sulle produzioni di mais, girasole e grano, descrivendo un impiego di fertilizzanti altalenante: eccessivo ai tempi dell’Unione Sovietica, poi crollato, quindi tornato massiccio fino a essere, nel 2021, tra i più intensivi del mondo, e oggi nuovamente deficitario.
Le misure urgenti
Tra i provvedimenti più urgenti per ripristinare la fertilità dei suoli ucraini ci sono un maggior ricorso al letame come fertilizzante. Oggi viene infatti sprecato al 90%, pari a 2,2 miliardi di dollari di fertilizzanti sintetici, ma basterebbe sistematizzare la raccolta e la distribuzione e avere un database delle disponibilità per renderne una buona quantità subito disponibile. Inoltre bisognerebbe ricorrere maggiormente alla rotazione delle coltivazioni con introduzione di più leguminose e di piante di copertura che aiutino a fissare l’azoto nei terreni depauperati. Anche in questo caso, è necessaria un’azione educativa, che renda gli agricoltori più consapevoli e aiuti a formare le generazioni più giovani sui benefici di sistemi di produzione più eterogenei, sostenibili e integrati.
Le nuove necessità (e relative soluzioni) sono quindi in linea con quanto affermato da Springmann e dai suoi collaboratori: è indispensabile cambiare, ottimizzare e tenere conto della situazione attuale, molto diversa da quella degli anni scorsi.
Per quanto riguarda l’Ucraina, bisogna che la comunità internazionale sostenga il cambiamento con finanziamenti dedicati, perché il crollo delle rese avrebbe conseguenze in tutto il mondo, a cominciare dai paesi più poveri che basano parte del loro sostentamento sui cereali ucraini, per finire nel rincaro generalizzato degli alimenti.
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Giornalista scientifica



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