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Dire banalità attribuendo loro una venatura di indipendenza e di originalità, e se possibile farlo dalle pagine di una rivista scientifica. Si potrebbe riassumere così la strategia che alcune aziende mettono in campo per spostare l’attenzione dell’opinione pubblica dal cuore di un problema, da ciò che ha più importanza, verso la sua periferia, cioè verso qualcosa che di solito è vero o verosimile, ma che non cambia la questione principale. Lo si è visto spesso con le aziende che producono bevande zuccherate, che da anni cercano di negare il nesso tra i loro prodotti e l’aumento di obesità e diabete, sforzandosi di sottolineare il ruolo dell’attività fisica e finanziando studi finalizzati a mettere in luce tale legame a scapito del resto.

Muoversi con regolarità, a tutte le età, è fondamentale, e ogni ricerca lo conferma. Ma ciò non toglie che bere spesso bevande dolci o dolcificate provochi un aumento di peso e una serie di conseguenze negative per la salute (ne avevamo recentemente parlato qui).

Negli scorsi giorni questo stesso approccio si è concretizzato in due pubblicazioni finanziate entrambe da produttori e utilizzatori, e incentrate su un altro dei temi che hanno catalizzato l’attenzione negli ultimi anni: quello dell’olio di palma e dei suoi effetti tanto sulla salute quanto sull’ambiente.

Il soft power di Ferrero

Nel primo, finanziato da Ferrero e pubblicato su una rivista che gode di una buona credibilità, Cell Reports Sustainability del gruppo Cell, Erik Meijaard, dell’Università del Kent e dell’associazione Borneo Futures, con sede nel Sultanato del Brunei, ha scritto una Opinione nella quale sostiene che tutto è relativo. Tutti gli oli vegetali, da quello di soia a quello d’oliva, da quello di sesamo a quello di cocco, in alcune situazioni presentano criticità rispetto alla biodiversità e ai diritti dei lavoratori, oltreché per la salute: tutto dipende da chi gestisce la coltivazione e le filiere. Le sementi non distruggono le foreste: l’uomo lo fa, scrive l’autore. Il quadro è quindi più sfumato di come lo si dipinge di solito, e i consumatori lo devono sapere e devono tenerne conto.

Tutto e niente

Per quanto riguarda l’olio di palma, Meijaard sottolinea che anche altre colture hanno devastato zone molto ampie di foreste e natura selvatica, come è accaduto e accade con la soia in Sud America, che comporta anche un utilizzo massiccio di pesticidi. Analogamente, in alcuni paesi la raccolta delle olive danneggia gli uccelli migratori e non, mentre i ricercatori hanno associato quella del sesamo a violazioni dei diritti umani in Sud Sudan e in Etiopia.

palme da olio malesia olio di palma
Le coltivazioni di palme da olio sono responsabili di una delle più grandi catastrofi ambientali degli ultimi decenni

D’altro canto, per i coltivatori africani delle palme da olio, che rappresentano il 18% del totale, quelle attività sono spesso l’unica fonte di reddito, e le coltivazioni seguono i metodi tradizionali, ma questo non viene quasi mai citato quando si parla di palme. Inoltre, negli ultimi anni, la pressione crescente sulle stesse le ha rese – almeno una parte di esse, ammette il ricercatore – molto più controllate. Ciò che si deve fare, scrive ancora, è aumentare la trasparenza per i consumatori, magari con strumenti come i QR code, in modo che possano scegliere più consapevolmente. E magari farlo sfruttando gli influencer, cioè affidando a persone che di solito non hanno alcuna formazione la trasmissione di messaggi così delicati e importanti.

Olio di palma e ovvietà

A parte quest’ultima raccomandazione, pessima e probabilmente non casuale, visto che gli influencer sono spesso sponsorizzati e dicono ciò che vuole lo sponsor, sul resto: come non essere d’accordo? Non esistono, ovviamente, coltivazioni solo positive o solo negative, e ogni situazione deve essere inserita in un contesto locale.

Tuttavia, questo non modifica il fatto che le coltivazioni di palme da olio, e non quelle di sesamo, siano responsabili di una delle più grandi catastrofi ambientali degli ultimi decenni, della deforestazione di interi paesi, dell’avvelenamento di popolazioni che non hanno altri mezzi di sussistenza e del rischio di estinzione di animali come gli oranghi.

Il fatto che anche la soia per gli allevamenti di animali da carne sia altrettanto colpevole, o che il cocco contenga grassi saturi non benefici per l’organismo, non attenua neppure in minima parte le colpe delle coltivazioni di palme da olio, non giustifica il mantenimento dello status quo né, tantomeno, comporta una minore attenzione su altre pratiche negative.

Lo sponsor dell’articolo, Ferrero, a differenza di altre grandi aziende alimentari, che vi hanno rinunciato da tempo, è da sempre contrario all’eliminazione dell’olio di palma, che utilizza in quantità in numerosi prodotti, a cominciare dalla Nutella. L’opinione di Meijaard, definito nel lancio di stampa dell’articolo ambientalista, membro anche della IUCN Oil Crops Task Force con sede a Gland, in Svizzera, sarebbe stata più credibile se avesse contenuto meno ovvietà e, soprattutto, se non fosse stata retribuita da Ferrero.

Un grasso vale l’altro

Lo stesso benaltrismo – termine con il quale si indica un approccio finalizzato a trasmettere il messaggio: il problema è ben altro, distraendo l’attenzione da quello principale e più grave – permea il secondo lavoro, uno studio il cui obbiettivo è dimostrare che i grassi dell’olio di palma non sono necessariamente dannosi per il cuore e comunque lo sono quanto quelli contenuti nelle margarine vegetali. Anche in questo caso la sede è credibile: l’American Journal of Clinical Nutrition, ma lo studio è stato sponsorizzato da uno dei principali consorzi di produttori di olio di palma, il Malaysian Palm Oil Board (la Malesia è uno dei paesi più devastati dalle coltivazioni di palme), anche se a condurlo sono stati i ricercatori delle Università di Maastricht, in Olanda, e del King’s College di Londra.

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Lo sponsor dell’articolo, Ferrero, è da sempre contrario all’eliminazione dell’olio di palma

La ricerca è viziata fino dalla sua impostazione: la sperimentazione si è fatta su un numero esiguo di persone, meno di cinquanta, che hanno assunto uno tra due tipi di grassi, acido palmitico, dell’olio di palma, o quello stearico, vegetale, anche con muffin e creme spalmabili per un mese e mezzo. I ricercatori hanno analizzato i risultati  dopo un altro mese. In teoria lo studio dimostra l’uguaglianza dei due acidi grassi perché i parametri cardiometabolici quali il colesterolo, i trigliceridi, l’insulina, il grasso epatico, il livello di infiammazione e la funzionalità dei vasi non sono risultati molto diversi nei due gruppi. E conferma che i due grassi sono sicuri, perché i parametri non si discostano significativamente da quelli considerati normali.

Dall’olio di palma agli studi: i dubbi

Tuttavia, per valutare il rischio cardiovascolare non bastano né una ventina di persone né poche settimane di “dieta”, a prescindere dal fatto che alcuni indicatori possano risultare alterati o meno. Ecco quindi un altro tipo di strumentalizzazione di risultati scientifici, attuata allo scopo di dimostrare che non è necessario cercare di ridurre il consumo di grassi industriali, di cui i due in esame sono tra i principali. Anzi, gli autori parlano di demonizzazione eccessiva e sottolineano che il rischio a breve termine non aumenta, e che non bisogna temere gli alimenti industriali, se assunti in quantità normali.

Di nuovo: ovvietà sulle quali non si può che essere d’accordo, ma che spostano l’attenzione sulla preponderanza degli alimenti lavorati e sui tanti problemi che questo comporta, e sulle tante responsabilità associate alle coltivazioni di palme da olio.

Come regolarsi in questi casi? Quando possibile, chiedendo a chi ha gli strumenti per valutare uno studio scientifico, e comunque dubitando di conclusioni che sembrano andare contro tante altre ricerche giunte tutte agli stessi risultati, e controllando sempre, quando possibile, se c’è stato o meno un finanziamento privato, e da chi è arrivato.

© Riproduzione riservata. Foto: Depositphotos.com

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luigiR
luigiR
22 Ottobre 2025 15:13

Ferrero e multinazionali simili si possono permettere di spendere tanti soldi per autopromuoversi e difendere il loro operato. sta a chi ha un buon senso critico crederci o no ai dati e risultati che loro vorrebbero dimostrare.

Dario
Dario
4 Novembre 2025 09:50

Come si controllano da dove arrivano in finanziamenti? Dove si possono verificare ? Cè qualche obbligo ? Grazie

Valeria Nardi
Reply to  Dario
6 Novembre 2025 11:29

In teoria nella parte della dichiarazione dei conflitti di interesse dovrebbero essere inseriti i vari finanziamenti. Spesso però quelli indiretti (non allo studio ma magari ai ricercatori) non vengono dichiarati. Non è un obbligo ma dichiararlo ne supporta l’autorevolezza.

Ferdinando
Ferdinando
15 Novembre 2025 11:35

Lo studio sui diversi grassi vegetali somministrati a un microgruppo per i mesi è veramente un insulto alla buona pratica sperimentale clinica. Purtroppo questo accade quando il definanziamento pubblico porta gli istituti universitari a dipendere dai finanziamenti privati: la scienza viene asservita all interesse del marketing di turno. Bravi a smascherare questi sistemi!

Azul98
15 Novembre 2025 19:41

Mi ricordo ancora una foto di un uomo appoggiato ad un’unica palma in Pakistan, intorno a lui la desertificazione, tutto raso al suolo, per fare posto alle coltivazioni di olio di palma.

Marco Piroli
Marco Piroli
16 Novembre 2025 12:30

Ci sono tutti i presupposti per avere le peggiori conclusion, nessuno escluso. Mi chiedo come riviste autorevoli possano accettare e pubblicare studi così impostati su parametri (tempo esiguo di osservazione, popolazione numericamente insufficiente) sfacciatamente inadeguati. A proposito, è stato calcolato l’indice di significatività di questi studi? Sicuramente se ne sono ben guardati dal farlo…. Uno studio così, riguardante un farmaco da immettere sul mercato, verrebbe bocciato con disonore e cestinato senza remora alcuna. A questo punto ci chiediamo quali confini hanno varcato i “finanziamenti” di Ferrero e multinazionali … Pensare male è cosa cattiva ma spesso ci si azzecca.

Gianfranco Formicola
Gianfranco Formicola
16 Novembre 2025 18:25

Tutte bufale ! L’olio di palma fa benissimo e la coltivazione delle palme da olio non distrugge e devasta un bel niente. Così come non devasta la coltivazione del grano, della soia o dell’ulivo.
L’unico problema è che dà reddito ed espansione economica a paesi del terzo mondo che , per definizione atavica e razzista del “nostro” mondo, devono rimanere ai margini della indipendenza economica.
Altra grave colpa dell’olio di palma è che è giustamente largamente usato dalla Ferrero, odiatissima azienda orgoglio di’Italia per la sua grande qualità e penetrazione commerciale ed in particolare per la Nutella , uno dei prodotti dolciari puù venduto ed invidiato del mondo.
Gianfranco Formicola – Medico Chirurgo.

Valeria Nardi
Reply to  Gianfranco Formicola
17 Novembre 2025 10:04

Gentilissimo,
non si tratta di una bufala. Le coltivazioni di olio di palma hanno portato a deforestazione, distruzione degli habitat di diversi animali e i lavoratori locali non si sono certo arricchiti, quanto piuttosto sono stati costretti a lavorare e vivere in un sistema di monocultura intensiva con l’impoverimento sociale ed economico che ciò comporta (così come accade in diverse parti dei paesi in via di sviluppo: quinoa, banane, caffè, cacao, soia). qui trova diversi articoli sull’argomento. https://ilfattoalimentare.it/?s=palme+da+olio

grazia ambrosini
grazia ambrosini
Reply to  Valeria Nardi
17 Novembre 2025 11:43

il problema di commenti come quello, nasce dal fatto che in 8 anni tra studio e specializzazione, i nostri MEDICI non fanno un esame, neppure UNO (!!!), tuttora oggi, di nutrizione umana. E così per tutta la loro professione ignorano la base della salute e della prevenzione vera, quella primaria (la prevenzione secondaria è quella di fare gli esami per vedere se c’è un tumore, quella primaria è evitare che quel tumore venga). Un SALUTO a tutti, grazie per l’informazione che fate. I consumatori hanno imparato a medicare le lacune sull’alimentazione dei loro medici curanti, informandosi da soli, e voi siete uno strumento importante da anni.

Gianfranco Formicola
Gianfranco Formicola
16 Novembre 2025 20:37

Come mai non avete pubblicato l mio commento ?

Valeria Nardi
Reply to  Gianfranco Formicola
17 Novembre 2025 10:05

Lo abbiamo appena pubblicato. Se permette anche la redazione la domenica alle 18:30 non lavora.

Piercarlo
Piercarlo
17 Novembre 2025 01:20

non si era detto anche che l’olio di palma potesse essere uno “attivatore” di cellule potenzialmente tumorali?
ecco perchè sono circa 20 anni che controllo gli ingredienti delle etichette.
complimenti per gli articoli.

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