persona uomo mangiare snack patatine junk food Depositphotos_843477510_XL

Quella di chi oggi ha tra i 50 e i 60 anni, e quindi appartiene alla cosiddetta generazione X, è la prima generazione di persone nate e cresciute in un mondo plasmato dal cosiddetto junk food. Per questo costituisce anche un osservatorio speciale nel quale analizzare gli effetti a lungo termine del cibo industriale sulle abitudini alimentari, e verificare se, come è stato sostenuto in numerosi studi degli ultimi anni, quel tipo di prodotti abbiano o meno dato vita a forme di vera e propria dipendenza.

Per capire se sia stato così, un team di ricercatori dell’Università del Michigan ha analizzato le risposte di circa duemila persone a domande relative a 13 voci che, nel loro insieme, definiscono una dipendenza, e ha poi riferito quanto osservato sulla rivista Addiction.

La dipendenza da junk food

Per scandagliare le conseguenze di una vita trascorsa in un mondo in cui il cibo industriale ha via via occupato uno spazio sempre più ampio, i ricercatori hanno selezionato persone di età compresa tra i 50 e gli 80 anni, metà circa delle quali nella fascia tra i 50 e i 64 anni e metà in quella 65-80 anni, al fine di confrontare i dati della prima generazione da fast food con quelli di quella precedente, non esposta in modo così pervasivo al cibo ultra processato. Tra le domande dei 13 argomenti ve n’erano alcune sul desiderio, altre sui tentativi fatti per smettere di consumare quel tipo di prodotti, altre sulle rinunce alla socialità decise per cercare di evitarli, e alcune sui sintomi da astinenza.

Le risposte hanno confermato che il junk food induce un tipo di dipendenza non diverso da quella scatenata dall’alcol o dal tabacco, che colpisce il 21% delle donne e il 10% degli uomini della generazione X. Si tratta di un numero decisamente più elevato rispetto a quelli corrispondenti della generazione precedente, pari, rispettivamente, al 12 e al 4%, e anche rispetto a quelli che caratterizzano le dipendenze da alcol e tabacco nelle stesse fasce di età. Queste ultime, infatti, si attenuano, mentre quella da ultra processati sembra essere particolarmente tenace.

Alcuni alimenti da fast food visti dall'alto su una superficie gialla: panini con hamburger, pollo fritto, anelli di cipolla, patatine , bibita zuccherata e salse; concept: junk food, ultra processati
Chi diventa dipendente oggi, magari in tenera età, potrebbe dover fare i conti per tutta la vita con quel tipo di desiderio

Uomini e donne

La differenza tra i generi, emersa abbastanza a sorpresa, secondo gli autori, ha una causa specifica: l’arrivo dei prodotti “diet” nei primi anni Ottanta. Il marketing di cibi e bevande a basso tenore calorico, molto aggressivo, era infatti indirizzato in modo preponderante alle donne. Ma quei prodotti, anche se contenevano dolcificanti o erano a basso tenore di grassi, erano spesso sbilanciati, a seconda dei casi, sugli stessi grassi o sugli zuccheri, e avevano molti additivi. Inoltre erano formulati già allora per creare dipendenza, e potrebbero aver contribuito non poco alla costruzione della dipendenza da prodotti ultra processati, prima tra le donne e solo anni dopo tra gli uomini.

L’instaurarsi della dipendenza si è visto anche nella percezione di sé e del proprio peso, altro aspetto esplorato dai ricercatori. Infatti, le donne tra i 50 e gli 80 anni che pensavano di essere in sovrappeso avevano una probabilità di corrispondere ai criteri della dipendenza che era 11 volte quella delle donne che non si consideravano tali, e per gli uomini il rapporto era addirittura di 19 volte.

Socialità, condizioni fisiche e mentali

A prescindere dall’età, poi, un terzo delle donne che si definiva in sovrappeso rispondeva ai criteri della dipendenza, mentre tra coloro che pensavano di essere solo di poco oltre il peso ideale la percentuale delle “dipendenti” era del 13%. Tra gli uomini, il 17% di chi pensava di essere in sovrappeso presentava le caratteristiche della dipendenza.

Un’altra associazione è stata quella con le condizioni mentali: le donne che dichiaravano di avere difficoltà erano quattro volte più dipendenti, gli uomini tre.

L’analogo parametro riferito alle condizioni prettamente fisiche, invece, ha fatto emergere lo stesso rapporto di tre a uno per gli uomini, e un tasso inferiore per le donne: erano dipendenti in una percentuale doppia rispetto a chi era in condizioni fisiche buone.

Infine, sia tra gli uomini che tra le donne che riferivano un isolamento sociale, il tasso di dipendenti era circa triplo rispetto a quello che si trovava tra coloro che non pensavano di avere questo tipo di difficoltà.

I commenti e l’ultimo studio

Ciò che risulta è quindi un cambiamento avviato negli anni in cui gli alimenti e le bevande ultra processati hanno iniziato a comparire, e i cui effetti sono ben visibili ancora oggi. Questo spiega la condizione attuale di molti 50-60enni, ma è anche un monito per i più giovani, a cominciare dai bambini. Chi diventa dipendente oggi, magari in tenera età, potrebbe dover fare i conti per tutta la vita con quel tipo di desiderio. E con le malattie e le varie conseguenze negative associate a un eccesso di ultra processati, in parte note e in parte ancora da scoprire e comprendere. Per questo gli autori chiedono strategie simili a quelle messe in campo contro il fumo e l’alcol, per salvaguardare oggi la salute di coloro che saranno adulti domani.

Il cibo che annebbia la memoria

Intanto la ricerca va avanti, e negli stessi giorni in cui venivano resi noti i dati sulla dipendenza è stato pubblicato anche uno studio molto diverso che, però, mette in luce la potenza degli effetti del junk food sulla memoria. Stando a quanto osservato su modelli animali, e pubblicato su Neuron, infatti, dopo soli quattro giorni di una dieta a elevato tenore di grassi, simile pasti con pollo e patatine fritte, si vede una sorta di cortocircuito nell’ippocampo, la parte di cervello più coinvolta nella memoria: i suoi neuroni diventano iperattivi.

Presto, le nomali reazioni associate alla formazione e immagazzinamento dei ricordi appaiono disorganizzate e ridotte. La buona notizia, hanno sottolineato gli autori, ricercatori dell’Università della Carolina del Nord di Chapell Hill, è che si tratta di uno stato reversibile. Con il ritorno a una dieta più equilibrata i meccanismi fisiologici sono ripristinati. Ma se si vogliono evitare guai anche di questo tipo, la scelta migliore resta quella di preferire sempre un cibo più sano, che oltretutto non induce dipendenza.

© Riproduzione riservata Foto: AdobeStock- Depositphotos

Giallone 03.07.2025 dona ora

pulsante donazione libera 2025

5 1 vota
Vota
Iscriviti
Notificami
guest

0 Commenti
Feedbacks
Vedi tutti i commenti
0
Ci piacerebbe sapere che ne pensi, lascia un commento.x