Approvata nello scorso mese di febbraio nella sua ultima versione, la Politica agricola comune (PAC) dell’Unione Europea o Common Agricultural Policy (CAP) per il periodo compreso tra il 2023 e il 2027 è improntata allo sforzo di ridurre la quantità di terra sottoposta a pratiche intensive. Se fosse applicata nei tempi e nei modi previsti, potrebbe apportare benefici significativi ed estesi a tutti gli agricoltori e coltivatori, nonché a tutti i cittadini. Lo sostiene il rapporto appena pubblicato dal Consorzio Lamasus, un insieme di 17 partner di otto paesi finanziato dal progetto Horizon Europe, nel quale sono state sintetizzate alcune delle cifre più rilevanti ottenute applicando i nuovi parametri, e sono stati valutati i guadagni in termini di migliore gestione delle risorse, riduzione delle emissioni e del consumo di suolo, e aumento di biodiversità.
PAC e qualità
Si tratta di un documento che assume particolare importanza in queste settimane, nelle quali l’amministrazione di Donald Trump, sostenuta dai trumpiani europei, sta cercando di far abbassare gli standard qualitativi dell’Unione Europea in tema di cibo e di produzione di alimenti e, in generale, di far archiviare tutto il programma del Green Deal. Eccone i punti principali:
- Meno 7%. Il piano prevede un graduale abbassamento della quota di terra adibita a pratiche intensive del 7%. Ciò ridurrebbe le emissioni legate al settore agricolo del 4,9%, cioè di 12 milioni di CO2 equivalenti all’anno. Questo equivarrebbe a circa il 3,9% dell’obbiettivo di mitigazione previsto per il 2030 per l’agricoltura, la silvicoltura e gli altri utilizzi del suolo, a fronte di una diminuzione annua del 2% della produzione agricola. Le cifre mostrano che la strategia potrebbe permettere di raggiungere i target climatici senza compromettere in misura rilevante la produzione agricola.
Biodiversità
- Dal punto di vista della biodiversità, si stima che un investimento di 350 euro per ettaro porterebbe a un incremento dell’1% della varietà e dell’abbondanza delle specie autoctone. Può sembrare un guadagno di modesta entità, ma rispetto a quanto fatto finora si tratterebbe, in realtà, di un beneficio significativo. Basti pensare che un miglioramento simile, dell’1,1%, si è avuto in 18 anni, tra il 2000 e il 2018 e che, in realtà, si è trattato soltanto di un modestissimo recupero. È stato infatti calcolato che, dal 1970 a oggi, la perdita di biodiversità sia stata del 3,4%, e che in ogni decennio, da allora, si sia perso circa l’1%.

Le scelte restano comunque in capo ai singoli stati, che devono valutare le priorità nazionali
Le differenze
- Non tutti i paesi, comunque, sono uguali: alcuni hanno una strada più lunga da percorrere, perché sono coltivati in misura assai più estesa e intensiva della media degli altri. I tre principali sono Polonia, Austria e Slovenia che paradossalmente, pur avendo più aree intensive, hanno anche pianificato meno degli altri strategie che portino a una de-intensificazione. Polonia e Austria hanno più del 50% delle loro terre classificate come intensive e, per questi paesi, applicare i criteri della PAC al 10% del terreno (e quindi più che al 7% comunitario) sarebbe una strategia win-win, con benefici a tutti i livelli per ogni singolo euro investito. Per i tre paesi potrebbe essere efficace sostenere economicamente gli allevatori e coltivatori che abbandonino le pratiche intensive. Tra l’altro, questo è uno dei punti critici del programma, perché oggi alcune zone che hanno meno necessità ricevono quantitativi di denaro molto rilevanti, mentre altre, che devono impegnarsi di più, non hanno fondi sufficienti: occorre riequilibrare, secondo gli esperti di Lamasus. Tra l’altro, fermo restando il principio di uguaglianza che regola le questioni europee, un sostegno maggiore ai paesi che più ne hanno bisogno renderebbe più della media e sarebbe quindi vincente. Oltretutto, le scelte restano comunque in capo ai singoli stati, che devono valutare le priorità nazionali, i contesti e le specificità, al fine di trovare accordi adeguati con gli agricoltori e gli allevatori.
Competitività
- Infine, gli autori mostrano la loro preoccupazione rispetto a quanto detto da alcuni esponenti della Commissione, ovvero alle revisioni da apportare al PAC in base alla competitività, criterio molto diverso da quelli che hanno animato il Green Deal. Secondo Lamasus, gli aggiustamenti potrebbero essere a danno degli aspetti ambientali, e questo non deve avvenire.
Al contrario di quello che pensano il presidente statunitense e i suoi adepti presenti anche nelle istituzioni europee, il lavoro di Lamasus dimostra che la scienza, senza omettere le criticità, e anzi mettendole in luce affinché vengano superate, fornisce gli elementi in base ai quali prendere le decisioni migliori. Se c’è la volontà politica di farlo.
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Giornalista scientifica



il sottomettersi agli accordi con Trump, come nel caso dei dazi e delle obbligazioni agli scambi commerciali conseguenti, tende a demolire il significato del già rabberciato “green deal” ed anche della PAC europei, poiché i complottisti non seguono la scienza.
Basta con l’ingerenza USA in Europa.
Già negli anni ’70 abbiamo importato i metodi industriali di produzione delle carni bovine e latte (silomais ecc.) e del pollame con scadimento della qualità a vantaggio della quantità.
Passi il gas, ma l’arretramento negli standard qualitativi ci esporrà a maggiori importazioni dall’estero con conseguenti problemi sanitari ed economici.
Grazie