Una persona riempie un bicchiere con acqua del rubinetto; concept: acqua potabile

La contaminazione da PFAS nelle acque potabili è un problema ormai noto anche in Italia, in particolare nelle regioni Veneto e Piemonte, dove da anni si registrano livelli preoccupanti. Utilitalia, la federazione che rappresenta oltre 400 gestori pubblici dei servizi idrici e ambientali, ha pubblicato un documento dettagliato con analisi, dati e proposte normative per affrontare il tema in modo strutturale e sostenibile.

PFAS, cosa sono e perché preoccupano

Le sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) sono un gruppo di circa 15mila composti chimici utilizzati in numerosi prodotti per la loro resistenza a calore, olio, acqua e grassi. La loro struttura molecolare le rende estremamente persistenti nell’ambiente e potenzialmente bioaccumulabili. Secondo l’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare), alcune molecole come PFOA, PFOS, PFNA e PFHxS possono accumularsi nei tessuti animali e umani, aumentando i rischi per la salute. L’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) ha classificato il PFOA come cancerogeno per l’uomo.

L’Unione Europea ha fissato limiti molto stringenti per la presenza di PFAS nelle acque potabili:

  • 0,5 μg/L per il totale degli PFAS;
  • 0,1 μg/L per la somma di 20 PFAS (in Italia aumentati a 30);
  • 0,02 μg/L per la somma dei quattro PFAS più pericolosi (EFSA).

L’Italia ha recepito queste soglie nel 2023 con il D.lgs. 18/2023, ma i gestori, in particolare nelle aree già colpite, segnalano difficoltà tecniche e tempi troppo stretti per adeguare gli impianti entro il termine europeo del 2026. Per questo Utilitalia ha chiesto una proroga fino al 2027.

Una persona con guanto blu sulla mano tiene una provetta di acqua prelevata da un fiume o un laghetto; concept: inquinamento delle acque, PFAS, analisi
I gestori dei servizi idrici segnalano difficoltà tecniche e tempi troppo stretti per adeguare gli impianti ai nuovi limiti per gli PFAS

I costi per rimuovere gli PFAS

Il trattamento dell’acqua per rimuovere gli PFAS comporta costi molto elevati. Secondo i dati raccolti da Utilitalia, il trattamento con carboni attivi può costare da 0,06 a 0,13 €/mc, mentre con l’osmosi inversa, si arriva a 1 €/mc, con un consumo energetico fino a 1 kWh/mc. Solo in Veneto si stima un costo di decine di milioni di euro per impianto.
Il rischio concreto, come già denunciato da Il Fatto Alimentare in articoli precedenti, è che a pagare siano consumatori e consumatrici attraverso le bollette, mentre le aziende responsabili dell’inquinamento rimangono impunite.

In un approfondimento del 7  febbraio 2025 su PFAS nell’acqua di rubinetto e in quella minerale, abbiamo illustrato come Greenpeace avesse rilevato PFAS nel 79% dei campioni di rete. Solo nel 2024, Altroconsumo aveva invece promosso la qualità dell’acqua di rete. Nel frattempo, sono emersi anche i rischi legati al metabolita TFA (acido trifluoroacetico), derivato dalla degradazione degli PFAS, che è stato rilevato in numerosi campioni e spesso ignorato dalle normative correnti

Le proposte di Utilitalia

Nel documento, l’associazione propone cinque azioni chiave:

  • Eliminazione graduale dei PFAS con catalogazione degli usi e delle alternative;
  • Prevenzione e finanziamenti pubblici per sostenere i gestori idrici;
  • Applicazione del principio “chi inquina paga” a livello europeo;
  • Sviluppo e finanziamento di nuove tecnologie per la rimozione degli PFAS;
  • Sostegno alla transizione industriale per ridurre la dipendenza da queste sostanze.

Una battaglia di sistema

Utilitalia sottolinea che servono regole chiare, omogenee e condivise a livello europeo. Le normative devono tenere conto dei tempi tecnici necessari agli adeguamenti, per evitare che il peso della transizione ricada su cittadini e cittadine e non sui soggetti responsabili dell’inquinamento. Secondo il documento, la lotta agli PFAS deve rientrare in una strategia complessiva dell’UE contro tutte le sostanze persistenti, mobili e tossiche.

Utilitalia sollecita un percorso strutturato: regole europee solide, strumenti finanziari adeguati e tempi tecnici realistici, affinché la transizione sia efficace senza pesare sui consumatori. 
Il Fatto Alimentare continuerà a monitorare l’attuazione di queste misure, ricordando sempre che l’emergenza PFAS è una priorità che non può più aspettare.

© Riproduzione riservata Foto: Depositphotos

Giallone 03.07.2025 dona ora

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matteo
matteo
18 Luglio 2025 08:40

segnalo per completezza che è stato è uscito il DECRETO LEGISLATIVO 19 giugno 2025 che introduce parametri più stringenti per contaminanti emergenti come PFAS e TFA (acido trifluoroacetico).
almeno sembra che si vada nella giusta direzione, altro che rinvii al 2027!

Azul98
7 Agosto 2025 12:40

Quello è il problema grave,che per i depuratori contro i PFAS, paghi il danneggiato e non il danneggiatore.

Azul98
7 Agosto 2025 15:54

Voglio vedere cosa decide la corte d’appello, altro che impunita la Miteni dopo ciò che ha combinato per decenni.