Da qualche anno i cinesi hanno imparato ad apprezzare il salmone. E questo ha avuto, e tuttora ha, ripercussioni a catena su tutto il mercato mondiale, visto il numero dei consumatori. A dedicare un dettagliato articolo al tema, su The Conversation, sono Dave Little e Mausam Budhathoki, due ricercatori dall’Università di Stirling, nel Regno Unito, che hanno ricevuto un finanziamento europeo del programma di Horizon 2020 chiamato EATFISH, grazie al quale hanno studiato la situazione e pubblicato diversi approfondimenti.
L’esplosione della domanda
Il primo dato che ricordano è assai eloquente: nel 2023, in Cina la domanda di salmone allevato è aumentata del 46%, rispetto all’anno precedente, e le importazioni di salmone sia fresco che surgelato sono cresciute del 63%, arrivando a 190.000 tonnellate, pagate 1,2 miliardi di dollari. Una richiesta così elevata ha provocato, ovviamente, la corsa alle forniture da parte di tutti i principali paesi produttori, e cioè Norvegia, Cile, Australia, Canada, Islanda, Scozia e Isole Faroe ma, al tempo stesso, ha causato un’enorme pressione sulle acquacolture domestiche.
Una spinta talmente imponente da convincere il governo, nel 2018, a una mossa del tutto inedita, che ha avuto e sta avendo conseguenze altrettanto rilevanti: l’autorizzazione a chiamare “Salmone” (domestico) anche la trota iridea, cioè a considerare “salmone” un termine generico, che racchiude diverse specie di pesci, tutti con caratteristiche nutrizionali e organolettiche simili, con carni rosate, sovrapponibili per quanto riguarda la preparazione. Lo scopo era incentivare il consumo di trote allevate in Cina, e di rallentare l’importazione.
I consumatori
Una delle domande che si sono posti i due ricercatori è: che cosa ne pensano, però, i consumatori cinesi, che secondo molti osservatori sono stati posti in condizione di non sapere che cosa mangiano? La risposta è che in realtà non mostrano differenze nell’apprezzamento, perché non riescono a distinguere un tipo dall’altro, nei test di assaggio in cieco.
Nella loro ricerca, pubblicata su Food Frontiers a fine 2024, i 110 volontari coinvolti hanno modificato le loro valutazioni solo quando, in una seconda serie di test, hanno avuto a disposizione salmoni con etichette che specificavano la provenienza. In quel caso, hanno mostrato una netta preferenza per il salmone importato da Norvegia e Cile, e lo stesso si è visto analizzando la predisposizione a spendere. Nei test in cieco non era emersa alcuna differenza, ma in quelli con l’origine del pesce i partecipanti erano molto più propensi a spendere per il salmone importato rispetto alla trota cinese. Infine, anche l’impatto ambientale ha avuto un suo effetto specifico. Quando i partecipanti hanno avuto a disposizione alcune informazioni, riassunte un marchio di sostenibilità, hanno preferito il pesce con impatto minore.
L’impatto del mercato globale
Quest’ultimo riscontro non stupisce, perché anche in Cina sta aumentando la sensibilità ambientale, e la sostenibilità del salmone importato e quella della trota domestica sono molto diverse. Trasportare salmone allevato in Norvegia o in Cile fino in Cina comporta infatti una logistica complessa e altamente energivora, e se a questo si uniscono l’elevato costo ambientale delle acquacolture, la grande preferenza dei cinesi per i prodotti freschi e la disponibilità di numerose piattaforme di e-commerce, si arriva a valori allarmanti sia per la CO2 che per il consumo di acqua e così via.
Come specificato sempre a fine 2024 da Little e Budhathoki in un altro articolo, pubblicato sul Journal of Agricolture and Food Research, quest’ultimo è un fattore fondamentale. Il salmone è considerato un pesce pregiato ma per fortuna, a differenza di altre specie, che nella tradizione culinaria cinese devono essere vendute vive, può essere acquistato anche morto, fresco o congelato. Gode quindi di una reputazione privilegiata per la vendita in internet, che gli ha fatto guadagnare velocemente posizioni nella classifica dei pesci più acquistati tramite canali online, e dato vita una sofisticata catena del freddo, necessaria per assicurare la disponibilità di salmoni sia freschi che surgelati. Ovviamente, tutto ciò ha enormi costi ambientali, sottolineano i due ricercatori, e in Cina le filiere commerciali certificate sono ancora poco diffuse.
Salmone sostenibile
D’altro canto, la trota cinese non ha ancora il successo sperato: nel 2022 le acquacolture hanno prodotto solo 37.000 tonnellate, un valore decisamente inferiore al pesce allevato da più tempo, la carpa, o al salmone importato. Il rallentamento è stato causato da una serie di difficoltà logistiche, la principale delle quali è la necessità di allevare le trote in acque fredde, disponibili sono in alcune zone del paese.
Presto tutto ciò potrebbe cambiare. O, almeno, questo è ciò che spera il governo che sta enfatizzando gli aspetti ambientali, le pratiche più innovative (per esempio sui mangimi e sul riutilizzo degli scarti e dei rifiuti), i vantaggi della sostenibilità di un prodotto domestico, la sicurezza e la maggiore freschezza.
Se la trota iridea diventerà il salmone cinese i rivenditori degli altri paesi non ne saranno contenti, e dovranno riorganizzare i propri mercato. Ma la Cina e tutto il pianeta ne trarranno grandi benefici.
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Giornalista scientifica