È vero che negli allevamenti si somministrano farmaci e antibiotici ai maiali per farli crescere più in fretta? È una domanda ricorrente, che però non trova riscontro nella realtà. L’utilizzo di farmaci per prevenire le malattie o come promotori della crescita è stato bandito da quasi due decenni. Oggi è possibile somministrare medicinali agli animali solo nell’ambito di una terapia, cioè per la cura di una patologia.
Antibiotici negli allevamenti?
“La somministrazione di farmaci – precisa una nota di Assosuini – è prevista solo quando necessario e serve per curare gli animali. Come avviene per le persone gli animali vengono vaccinati e curati quando si ammalano. È una questione di salute e di benessere. La prescrizione dei farmaci avviene solo tramite il veterinario responsabile dell’allevamento, che emette le ricette mediche sia per i farmaci che per i mangimi medicati”.
Ci sono altri due aspetti da rimarcare. A differenza di ciò che avviene in altri Paesi (anche europei), il veterinario che prescrive un farmaco non può anche venderlo e dal 2019 deve usare solo ricette elettroniche. Si tratta di un sistema che garantisce il tracciamento incrociato, permettendo agli enti di controllo una sorveglianza su tutto il territorio e la rilevazione in tempo reale di eventuali anomalie in ciascun allevamento.
I risultati dei monitoraggi
Nel 2021, nell’ambito del Piano Nazionale Residui, su 30.263 accertamenti con analisi che riguardano più di 466mila sostanze ad attività farmacologica e inquinanti ambientali, i campioni irregolari per la presenza di residui sono stati lo 0,4 per mille del totale.
“Grazie alla ricetta elettronica – continua Assosuini – è possibile stabilire la quantità di farmaco somministrata. E proprio dall’analisi dei dati emerge che la maggior parte di antibiotici per animali sono prescritti per gli animali da compagnia e non di allevamento (degli oltre 7 milioni di ricette veterinarie del 2021, l’85% riguarda i nostri amici a quattro zampe che sono 8 volte più numerosi degli animali da reddito). Grazie al ricorso alle vaccinazioni oggi la riduzione dell’impiego di antibiotici in zootecnia è del 53% a livello generale e del 62% nel caso dell’Italia”.
Il Rapporto della Regione Piemonte sul monitoraggio del piano nazionale italiano di contrasto all’antibiotico resistenza diffuso a fine aprile, a proposito dell’uso di farmaci in ambito veterinario riconosce “una buona attività di sorveglianza dell’antibiotico resistenza sugli animali da allevamento, ma mancante sugli animali da compagnia”.
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza in test comparativi. Come free lance si è sempre occupato di tematiche alimentari.
d’accordo, ma ciò non toglie che negli allevamenti intensivi restino irrisolti la questione benessere animale e gli inquinamenti di suolo, acque e aria. dunque, continuano ad essere un grosso problema.
Sei sicuro?Se fosse come tu credi gli allevatori fallirebbero.Negli allevamenti “protetti” la morbilità e mortalità è bassissima rispetto a quanto succede in natura od allo stato brado .
Le deiezioni sono gestite x minimizzare l’inquinamento ,massimizzare il loro apporto concimante e sempre più spesso fornire energia verde.In natura invece finiscono tutte in atmosfera. Negli allevamenti protetti l’ottimizzazione nutrizionale permette di risparmiare oltre il 50% di alimenti. Quanto al benessere( VERO, non quello ispirato dai cartoni animati )è interesse dell’imprenditore ottimizzarlo: il mancato benessere provoca stress e eccesso di cortisolo endogeno che deprime la crescita e favorisce le malattie…Forse al consumatore farebbe bene potersi informare.
Diciamo che questo è il comportamento ideale. Se però si usano degli animali selezionati per essere vere macchine da carne, che non deambulano bene, che pesano un’esagerazione e che presentano nel 50% dei casi miopatie e ustioni alle zampe ecc. allora la situazione cambia.
Le inchieste giornalistiche parlano chiaro e denunciano situazioni aberranti per il benessere animale e di gravi inquinamenti ambientali, per non parlare delle questioni odorigene. certo, è possibile che esistano allevamenti intensivi che riescano a “minimizzare” gli effetti negativi di tali attività, ma far credere che tutto il sistema funzioni come un orologio svizzero, ce ne passa…
La nota focalizza l’attenzione sull’uso di antibiotici negli allevamenti e non parla d’altro. Il benessere animale è un altro capitolo che Il Fatto Alimentare porta avanti da dieci anni senza per questo mostrare polli che vengono scaraventati in aria o immagini di situazioni critiche
Bene. Sono anch’io un piccolo allevatore. Vorrei aggiungere che fatte salve le urgenze, le vaccinazioni o terapie antibiotiche possono essere prescritte solo dopo diagnosi avvalorata da esami del sangue o autopsia di animali eseguite dagli istituti zooprofilatici.
Messa così come detta da Francesco Borga sembra che negli allevamenti ci si curi addirittura della felicità animale oltre che del benessere fisico…quelli bradi dovrebbero essere felci di farsi accogliere per essere curati e fare una vita più “comoda” in un ambiente felice e protetto di un allevamento intensivo..Non prendiamoci in giro!
E cerchiamo di ricordare che se anche l antibiotico non viene usato, in ammassamenti concentrati di animali in mezzo a sporcizia ed assenza di igiene circolano virus e batteri eventualmente trasmissibili anche all uomo e sono a dire per fortuna. È il giusto prezzo da pagare per chi vuole consumare quantità eccessive di carne a basso prezzo a scapito anche della propria salute. I consumi odierni sono innegabilmente eccessivo e gli allevamenti grossi o piccoli che siano decisamente delle schifezze dove come prima cosa si bada al guadagno.
Chissà perché non mi stupisco che Assosuini dica che loro sono bravi e belli…Viene spontanea la battuta: salumiere, com’e il prosciutto? Buono signora, lo compri 🙂
Come mai su alcuni prodotti è scritto “senza l’utilzzo di antibiotici negli ultimi …mesi?”
Il periodo critico negli allevamenti sono i primi mesi di vita di un animale dove capita più spesso di dover ricorrere a farmaci veterinari. Una volta superato questo periodo è più difficile contrarre malattie che necessitando di antibiotici per essere curate. Per questo motivo sulle etichette è riportata la frase da lei indicata.
Attualmente la carne e le uova etichettate come antibiotic free, provengono da animali che non sono stati trattati con questi farmaci, per tutta la loro vita o solo per una parte. La dicitura è definita da specifici disciplinari, controllati da enti certificatori italiani che da anni seguono questi aspetti come il Ccpb e il Csqa. Il disciplinare del Csqa prevede che la scritta “allevato senza antibiotici” sia utilizzato solo quando gli animali non hanno subito trattamenti antibiotici per tutto il ciclo di vita (a partire dalla nascita). Quando nei suini e nei bovini l’assenza di trattamenti è limitata agli ultimi quattro mesi di vita, bisogna scrivere in modo chiaro sull’etichetta “allevamento senza antibiotici negli ultimi 4 mesi”. Al riguardo, è molto più probabile che il trattamento con antibiotici sia necessario nel periodo dello svezzamento rispetto all’ultimo periodo di vita prima della macellazione. I polli invece, anche per il fatto che hanno una vita più breve, possono essere allevati senza antibiotici anche per l’intero ciclo produttivo. https://ilfattoalimentare.it/benessere-animale-antibiotici.html
Basta! E’ ora di finirla, con docufilm e sempre le solite immagini ormai diventate di repertorio. Ci sono delle leggi che regolano tutto: benessere e uso di farmaci, è ovvio che in ogni categorie, compresi gli allevatori, c’è sempre una piccolissima percentuale che lavora fuori dalle regole e assumono comportamenti indifendibili e ingiustificati. Ancora una volta vorrei ricordare che la “cacca” ha sempre puzzato, compresa quella dei mammiferi umani! Tutti bravi a parlare con la pancia piena! Con questo anche noi allevatori dobbiamo fare sicuramente la nostra parte. Venite, andate nelle aziende invece di rimanere su una tastiera. Grazie
Ci sono alimenti che vengono venduti con la dicitura “animale allevato senza antibiotici negli ultimi 4 mesi” questa precisazione per dire che nei mesi precedenti era previsto l’uso di antibiotici, ma ci sono animali che vengono inviati al macello a circa 4 mesi, per cui questa dicitura è una presa in giro. L’antibiotico serve anche come preventivo quando gli animali vengono allevati in posti sporchi a contatto con feci ed urine e in condizioni di affollamento inaccettabile, sarebbe come dire che 18 persone che vivono in un monolocale tutte insieme, possono vivere in una condizione di salute. A me non pare possibile.
L’uso preventivo di antibiotici in Italia è vietato per legge. Attualmente la carne e le uova etichettate come antibiotic free, provengono da animali che non sono stati trattati con questi farmaci, per tutta la loro vita o solo per una parte. La dicitura è definita da specifici disciplinari, controllati da enti certificatori italiani che da anni seguono questi aspetti come il Ccpb e il Csqa. Il disciplinare del Csqa prevede che la scritta “allevato senza antibiotici” sia utilizzato solo quando gli animali non hanno subito trattamenti antibiotici per tutto il ciclo di vita (a partire dalla nascita). Quando nei suini e nei bovini l’assenza di trattamenti è limitata agli ultimi quattro mesi di vita, bisogna scrivere in modo chiaro sull’etichetta “allevamento senza antibiotici negli ultimi 4 mesi”. Al riguardo, è molto più probabile che il trattamento con antibiotici sia necessario nel periodo dello svezzamento rispetto all’ultimo periodo di vita prima della macellazione. I polli invece, anche per il fatto che hanno una vita più breve, possono essere allevati senza antibiotici anche per l’intero ciclo produttivo. https://ilfattoalimentare.it/benessere-animale-antibiotici.html
Mi permetto di essere dubbiosa verso i controlli, non sono nella possibilità di conoscere specificamente questo settore, ma in altri in cui si spendono tante parole sui controlli so come vengono effettuati e conosco il comportamento di tanti controllori, spero che effettivamente almeno questo settore venga controllato con serietà, competenza e professionalità.
Gli antibiotici combattono le infezioni. Non sono vaccini e non possono prevenire un bel niente. E attualmente non si possono usare antibiotici se non per curare infezioni BATTERICHE conclamate e verificate dal veterinario (come quelli umani possono essere usati solo dietro prescrizione medica, e il medico può prescriverli solo per curare infezioni batteriche dimostrate). Non servono per l’influenza aviaria, ad es., visto che è un’infezione virale.
BTW, l’unico modo per evitare l’influenza aviaria è isolare gli uccelli da cortile dall’esterno, dove possono entrare in contatto con uccelli selvatici, e chiuderli nei famigerati capannoni.
Sono contento di sapere che l’uso degli antibiotici a scopo profilattico è proibito, e che possono essere impiegati solo per curare una patologia. Ma allora che cosa significa la dicitura “allevato senza l’uso di antibiotici” che si trova su tante confezioni di carni di pollame?
I polli, per il fatto che hanno una vita più breve, possono essere allevati senza antibiotici anche per l’intero ciclo produttivo. https://ilfattoalimentare.it/benessere-animale-antibiotici.html
Ma proprio nell’articolo a cui rimanda il link di Valeria si dice che non di rado “è prassi effettuare trattamenti di massa”, nel senso che “quando in un allevamento alcuni animali si ammalano, spesso vengono trattati tutti gli animali presenti e non solo a quelli colpiti (si parla di metafilassi)”. Quindi anche agli animali sani vengono somministrati gli antibiotici.
Vista la densità dei polli per metro quadro (dai 17 ai 22 animali!) non si può pensare di trattare solo un animale.
Ma cosa c’entra, mica li mangiamo gli animali da compagnia!