Gli Pfas (sostanze perfluoroalchiliche) sono composti chimici presenti in quasi tutti i beni di largo consumo. Si trovano in detergenti e vernici, prodotti elettronici e protesi mediche, padelle antiaderenti e imballaggi per alimenti. Il loro successo è iniziato negli anni Quaranta, contestualmente alla scoperta di alcune specifiche caratteristiche. Queste sostanze, infatti, sono repellenti all’acqua e all’olio, ma allo stesso tempo, traspiranti e resistenti alle alte temperature, nonché in grado di resistere a diversi processi di degradazione.
Pfas negli imballaggi per il pet food
Da diversi anni gli Pfas sono oggetto dell’attenzione pubblica e di normative internazionali in costante aggiornamento per la loro capacità di impattare in modo significativo sull’ambiente e sulla salute umana. Secondo diverse ricerche scientifiche l’accumulo nell’organismo può provocare effetti nocivi. Tra questi i ricercatori hanno osservato: aumento del colesterolo, ipertensione, alterazioni del funzionamento del fegato, della tiroide e del sistema immunitario, rischio di infertilità e maggiore probabilità di sviluppare tumori come il cancro al seno o ai reni. Oggi la ricerca studia anche il potenziale effetto sugli animali domestici di queste sostanze mobili, persistenti e potenzialmente tossiche (circa 4mila). Cani e gatti possono infatti entrare in contatto con gli Pfas attraverso il cibo, oltre che vivendo a stretto contatto con le persone e con i loro oggetti di uso quotidiano.
Gli Pfas sono ideali per l’imballaggio del pet food industriale, che contiene alti livelli di grasso e umidità. Inoltre, il cibo per animali spesso viene venduto anche al dettaglio in confezioni molto grandi (fino a 20 kg), che devono essere resistenti al peso e in grado di sopportare le condizioni atmosferiche a cui possono essere sottoposte in caso di stoccaggio all’aperto. Nel novembre 2022 l’Environmental Working Group ha pubblicato un rapporto con il quale ha attirato l’attenzione sulla preoccupante presenza di queste sostanze nelle confezioni di alimenti per animali domestici. Questi ultimi, insieme ai bambini, rientrano tra le ‘fasce di popolazione’ più esposte ai rischi degli Pfas.
Alternative agli Pfas: la ricerca si muove
Tra i risultati di questi nuovi studi c’è stata la messa al bando negli Usa degli imballaggi alimentari che contengono Pfas, aggiunti intenzionalmente o meno, in quantità variabile da 0 a 100 ppm. Tuttavia hanno anche dato impulso a una nuova era di ricerca scientifica, che sta facendo grandi passi avanti nell’individuazione di possibili soluzioni alternative alle confezioni. Un importante contributo in questo senso è fornito dall’Istituto Mario Negri che, insieme alla piattaforma internazionale, aperta e gratuita Vegahub, ha individuato 20 sostanze. Queste, in maniera più o meno efficace, possono sostituire gli Pfas e ridurne gli effetti a lungo termine sull’ambientale e sulla salute umana e animale.
Da parte loro, sono sempre di più le aziende che puntano a questa nuova forma di sostenibilità, sviluppando prodotti che soddisfino i requisiti delle normative dell’Unione Europea e della Food and Drug Administration degli Stati Uniti. Tra queste c’è Ahlstrom che produce imballaggi per marchi leader di alimenti secchi per animali domestici. L’azienda realizza packaging resistenti ai grassi, robusti e stampabili, che in più mantengono una filosofia ‘fluoro-free’ e vantano il certificato di compostabilità e assenza di Pfas del Biodegradable Products Institute (BPI).
La situazione in Italia
In Italia, tra le aziende che hanno messo al bando gli Pfas per puntare su soluzioni più sicure e sostenibili c’è Fiorini Packaging. Si tratta di un produttore specializzato di sacchi di carta industriali che propone un sacco a base di fibre dalla composizione unica (doppio strato di carta all’interno, supportato da un ulteriore strato di carta barriera all’esterno per la resistenza all’unto), adatto agli alimenti per animali domestici, con capienza fino a 20 kg, impermeabile e riciclabile.
Insomma, se come prevedibile, l’ambito del pet food seguirà le tendenze già in atto nel panorama dell’alimentazione per esseri umani in fatto di utilizzo di Pfas nelle confezioni, è inevitabile che le aziende del settore si premuniscano e guidino il cambiamento con soluzioni alternative efficaci. Ovviamente con il supporto della ricerca scientifica.
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Lodevole intento, ma definire dei limiti per i mangimi destinati agli animali produttori di alimenti, visto che i PFAS bioaccumulano?
Il parere EFSA del 2020, che ha tanti meriti, ha però trascurato tale aspetto, forse per mancanza di dati