Il laboratorio di chimica e tossicologia dell’ambiente dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano ha individuato una ventina di composti che potrebbero essere utilizzati in sostituzione dei famigerati Pfas, gli acidi perfluroroalchilici che stanno causando un numero crescente di problemi all’ambiente e alla salute umana. La scoperta è arrivata nell’ambito di uno studio condotto con il ministero dell’Ambiente.
Al di là del dettaglio tecnico, il lavoro ha il pregio di dimostrare che, quando ci sono la volontà e il sostegno economico necessario, è possibile sviluppare composti chimici con caratteristiche analoghe a quelle di altre sostanze potenzialmente pericolose.
Cosa sono gli Pfas
Gli Pfas sono presenti in una quantità incredibile di prodotti perché sono acidi molto forti e quindi particolarmente resistenti ai diversi tipi di degradazione. Sono molto stabili agli agenti chimici e termici, e impermeabili ad acqua e grassi. Si trovano:
- negli oggetti domestici: nelle pentole come antiaderenti, nei detersivi come emulsionanti, tensioattivi o umettanti, in scarpe e abiti come pellicole invisibili idrorepellenti, e sempre come strati esterni in tappeti e rivestimenti di vario tipo; nei materiali da costruzione;
- negli articoli medicali: la loro natura inerte li rende utilissimi per le protesi e per tutta una serie di dispositivi sia monouso che permanenti usati in ogni settore della medicina, compresi i camici;
- nella lavorazione dei metalli, dei minerali e dei petroli;
- nella carta e negli imballaggi repellenti a olio e acqua;
- nell’aviazione e nel settore aerospaziale; nelle auto;
- nei cavi, nei cablaggi e nei materiali elettronici;
- nei prodotti antincendio.
La contaminazione da Pfas in Italia
La loro diffusione ha provocato vere e proprie crisi, perché se non gestiti adeguatamente possono filtrare nelle acque, accumularsi nelle piante ed entrare nella catena alimentare, con conseguenze sulla salute. Sono considerati interferenti endocrini, e anche se gli effetti sono ancora in via di definizione, si ritiene che l’assunzione vada evitata il più possibile. In Italia c’è stato il caso del Veneto, dove dal 2013 è stata segnalata la presenza di Pfas in acque sotterranee delle province di Padova e Verona. Nell’area colpita è stato necessario applicare con urgenza filtri al carbone per l’acqua potabile e, contestualmente, compiere analisi dettagliate e definire limiti della concentrazione accettabile, nonché avviare studio ancora in corso sulle conseguenze a lungo termine. La crisi ha provocato danni che ammontano almeno a 137 milioni di euro.
Nel frattempo paesi come la Danimarca stanno ragionando sul bando ai Pfas negli imballaggi alimentari, e l’Efsa, nel 2018, ha abbassato notevolmente i valori soglia, a riprova della grande preoccupazione attorno a queste sostanze.
Lo studio del Negri dimostra che i Pfas non sono insostituibili e che esistono almeno una ventina di sostanze che potrebbero prenderne il posto. Si legge nel comunicato: “A partire da questa lista il ministero ha l’obbiettivo di fornire degli orientamenti precisi alle aziende che ne fanno maggiore uso.” Si spera che lo faccia al più presto, e che le aziende lo ascoltino.
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Giornalista scientifica