Il packaging alternativo alla plastica a base di carta in alcuni casi potrebbe rappresentare un rischio per la salute. Può infatti contenere Pfas che possono migrare nel cibo e nell’ambiente. Le sostanze poli- e perfluoroalchiliche o, appunto, Pfas, sono circa 9mila e vengono utilizzate per gli impieghi più diversi, compresa l’impermeabilizzazione di carte e stoviglie alimentari biodegradabili o compostabili, sempre più diffuse via via che aumentano i divieti relativi alla plastica monouso. Tuttavia, poche indagini hanno chiarito se gli Pfas migrino nel cibo e ancora meno si sono soffermate su singole molecole. Ora però due studi, entrambi pubblicati su Environmental Science and Technology Letters, confermano i sospetti e invitano a una maggiore prudenza sui materiali autorizzati per uso alimentare.
Nel primo, coordinato dai ricercatori delle università di Toronto, in Canada, sono stati analizzati 42 tipi di involucri e contenitori compostabili in carta e fibra vegetale impermeabilizzata, utilizzate in fast food e ristoranti canadesi, alla ricerca di fluoruri, considerati prove indirette della presenza di Pfas. Quindi, sugli otto campioni a maggior contenuto di fluoruri, sono state effettuate indagini più specifiche e a quel punto si è visto che la concentrazione di Pfas in alcune scodelle compostabili era da tre a dieci volte quella degli involucri utilizzati per ciambelle e altri dolci. Il più rappresentato è risultato essere uno degli Pfas noti per la loro tossicità, il 6:2 Ftoh (6:2 fluorotelomer alcol), un composto che, oltretutto, aumenta nel tempo perché altri Pfas, degradandosi, danno origine proprio a questa sostanza.
In totale, sono stati identificati 22 Pfas di sei gruppi chimici differenti, in alcuni casi derivanti dalla degradazione di altre molecole (come accade appunto con il 6:2 Ftoh). Inoltre, è stato osservato un fenomeno preoccupante: nelle stoviglie lasciate a temperatura ambiente per due anni, la concentrazione di Pfas è calata anche dell’85%. Ciò significa che, nel tempo, si disperdono anche nell’aria, e che, una volta entrati in contatto con il cibo, possono trasferirsi in quantità, soprattutto se stimolati dal calore. Inoltre – fanno notare gli autori – anche qualora non migrassero verso il cibo, gli Pfas della carta e delle stoviglie compostabili sono destinati a disperdersi nell’ambiente, contaminando aria, acqua e terreni e, in questo modo, tornando agli esseri viventi attraverso la catena alimentare. Anche se 11 stati degli USA hanno già bandito l’utilizzo degli Pfas per la maggior parte del packaging alimentare e due tra le principali catene di fast food intendono vietarli entro il 2025, molto resta da fare, e non solo negli USA, evidentemente.
Anche perché il secondo studio dimostra, molto chiaramente, che gli Pfas sono rilasciati dai materiali plastici teoricamente resistenti, compresi quelli per uso alimentare. Gli stessi ricercatori americani dell’Università di Notre-Dame presenti nel primo studio, in questo caso hanno concentrato la loro attenzione su un tipo di plastica non molto impiegata per il cibo ma, piuttosto, per i cosmetici, i pesticidi, i detersivi e altri prodotti: il polietilene ad alta densità (Hdpe) fluorurato. Non solo questo polimero contiene Pfas in concentrazioni superiori ai 60 nanogrammi per grammo di plastica ma, sottoposto a vari trattamenti per verificare la dispersione (per esempio, al contatto con acqua, metanolo o acetone per una settimana), ne rilascia quantità comprese tra 0,99 e 66,9 ng/g di plastica. Per quanto riguarda gli alimenti, la quantità che migra da questi contenitore è inferiore e compresa tra 2,6 e 7,2 ng/g, ma schizza a concentrazioni superiori di quasi mille volte in caso di riscaldamento a 50°C. Anche se l’Hdpe è poco utilizzato negli alimenti, non ci sono leggi che ne vietino l’impiego, e in ogni caso, secondo gli autori, materiali che disperdono così facilmente elevate quantità di Pfas dovrebbero essere soggetti a restrizioni e controlli, anche per limitare le contaminazioni ambientali.
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Giornalista scientifica
Ci fano riciclare nella carta imballaggi alimentari fatti di carta e alluminio o di carta e plastica, per forza poi la carta riciclata non è più solo carta e noi ci ammaliamo. almeno diteci come curarci per prevenire malattie terribili.
La carta viene separata da alluminio e plastica nei centri apppositi prima di venire riciclata, per questo soltanto i comuni consorziati con chi non è attrezzato per farlo richiedono che i contenitori tipo i tetrapack vengano messi nell’indifferenziato.
Qui si parla di un problema DIFFERENTE, che è il rilascio di pfas AGGIUNTI APPOSITAMENTE per impermeabilizzare i contenitori per i cibi, oltre alle stramaledette stoviglie monouso che andrebbero vietate e basta… ma usate piatti normali e lavateli, di cosa avete paura, che vi caschino le dita?
Corretto, ma al super se prendi un po’ di ricotta te la mettono in uno di quelli … prendi una zuppa pronta, o dei bocconcini di carne imbustati, e te li ritrovi di nuovo … una conoscente quando arriva a casa travasa tutto i “frigoverre” ma è impegnativo (e perde il sottovuoto, favorendo l’ossidazione).
Ma infatti la soluzione PER I CONTENITORI è di eliminare gli pfas all’origine, e non c’entra col mio post, nel quale non me ne occupo: in ogni caso basta non fare scorte da collegio se si è in tre in famiglia, per poi conservarle per tempi lunghissimi con mezzi casalinghi inadeguati.
Però servirà a poco se si continua a usare stoviglie usaegetta cambiando solo il materiale con cui sono fatte, siamo passati dalla plastica al bambù alla carta impermeabilizzata con gli pfas… scoprendo ogni volta che ci era sfuggita una magagna differente, mentre la soluzione è di ELIMINARE PER SEMPRE LE STOVIGLIE MONOUSO.
interessantissimo !!!
Ma i Pfas sono proprio indispensabili?In Italia, dopo aver inquinato mezzo Veneto, sapendo che sono altamente dannosi per la salute e l’ambiente, perché continuiamo ad usarli? A produrli? Perché non lanciare una petizione contro Mr. Pfas?
Ma cosa costa eliminare questo pfas? Torniamo alla carta oleata (se non fa male pure quella)