Nonostante gli impegni e le dichiarazioni di alcuni governi dei primi mesi di pandemia, sui wet market non si segnalano novità di rilievo. Sono ancora tutti operativi, con le stesse norme di prima, cioè quasi senza regole. In decine di paesi continua la vendita di animali delle specie più varie, spesso selvatici, a volte macellati sul posto, tenuti in promiscuità con altre specie e con le persone, e non di rado a rischio estinzione, nonostante i divieti.
Per contrastare più efficacemente il fenomeno, almeno per quanto riguarda il pesce (ma, potenzialmente, per qualunque animale o pianta), i ricercatori del laboratorio di conservazione forense dell’Università di Hong Kong hanno messo a punto un metodo che, sfruttando le tecnologie più innovative nell’ambito del sequenziamento genetico, riesce a identificare decine di specie diverse con un singolo campionamento, e a dimostrare così, in tempi molto rapidi, l’eventuale presenza di specie protette. Come illustrato su Methods in Ecology and Evolution, ciò è possibile grazie al DNA ambientale o eDNA (da ‘environment’), ottenuto prelevando campioni in cinque giorni diversi, appunto, nell’ambiente, in questo caso dalle acque di scolo di tre mercati di Hong Kong. La tecnologia oggi permette di ottenere sequenze complete anche da piccole quantità di materiale di base, e di identificare contemporaneamente decine o centinaia di entità singole, grazie alla metagenomica.
Nello studio sono stati utilizzati due sistemi per prelevare i campioni. Nel primo è stato filtrato un litro di acqua e sono state poi analizzate le sequenze dei materiali rimasti nel filtro. Nel secondo si è fatto ricorso alla precipitazione, e sono bastati meno di 50 ml di acqua, lasciati decantare affinché tutto ciò che era rimasto potesse essere analizzato. I due metodi sono risultati equivalenti, ed è stato così possibile individuare oltre cento specie di pesci, molluschi e crostacei, di alcuni dei quali era vietata la vendita, essendo tra quelle a rischio estinzione. Così, per esempio, sono state trovate una cernia (Epinephelus fuscoguttatus), tre anguille (Anguilla japonica, Anguilla rostrata, e Anguilla Anguilla ), alcune orate e altri pesci presenti negli elenchi dell’Iucn (Unione internazionale per la conservazione della natura) o nella Cites (Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione). Anche se nessuna tecnica può identificare il 100% delle specie presenti in luoghi del genere, l’analisi genetica è molto più efficiente e precisa di quella affidata all’occhio umano.
Finora, spiegano gli autori, questo genere di controlli si basava essenzialmente su analisi visive, fatte da tassonomisti ittici che, una volta vinta la ritrosia dei commercianti, riconoscevano le specie in base alle loro caratteristiche morfologiche: un metodo dispendioso, che richiede l’intervento di personale la cui formazione dura anni, soggetto a errori nel caso di specie molto simili o già macellate, e che non riesce comunque a identificare quelle vendute di nascosto in giorni diversi da quelli del campionamento, magari in singoli esemplari. Ora tutto questo potrebbe finire, anche perché il metabarcoding (questo il nome della tecnica) dell’eDNA richiede poche ore di formazione da parte di personale non necessariamente molto qualificato (è sufficiente l’addestramento base per lavorare in un laboratorio di biologia molecolare), e tutta l’operazione dura al massimo qualche ora o giorno, mentre le ispezioni visive si possono prolungare, nelle diverse fasi, anche per settimane.
In attesa di provvedimenti che regolino più severamente i wet market, avere a disposizione un metodo facile da utilizzare, standardizzato e in grado di fornire risposte rapide potrebbe contribuire non poco a scoraggiare il commercio illegale di specie a rischio.
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Giornalista scientifica