All’inizio del Ventesimo secolo, ondate di immigrati dall’Italia meridionale si stabiliscono negli Stati Uniti favorendo l’importazione di formaggi italiani, che negli anni Venti raggiungono circa i 18 milioni per anno. Si tratta di formaggi in grado di sopportare il trasporto via mare, quindi duri e semiduri, quindi non la mozzarella, il formaggio morbido a pasta filata prodotto nel Sud Italia e di breve durata di conservazione. In limitate quantità, però, è prodotta nei caseifici fondati da immigrati italiani, che riproducono versioni copiate per sfidare i formaggi importati dall’Italia. Fino alla Seconda Guerra Mondiale, in America la pizza è un alimento raramente gustato al di fuori delle comunità etniche italiane delle aree metropolitane. Dopo la guerra il Paese diventa molto più prospero, con un’economia che si espande a un ritmo senza precedenti e in questo quadro la Little Italy delle aree metropolitane si allarga alle periferie circostanti e, imboccando le autostrade, si diffonde su tutto il territorio degli Stati Uniti.
Nella situazione ora sommariamente tracciata, per la mozzarella il punto di svolta è quindi la diffusione americana della pizza, della quale è un ingrediente per eccellenza. A partire dagli anni ’60 la produzione e il consumo di mozzarella iniziano a crescere costantemente. Nel 1970, il consumo pro capite negli Stati Uniti è di 0,54 chilogrammi e nel decennio successivo quasi triplica arrivando a 1,37 chilogrammi. Gli acquirenti della mozzarella nella quasi totalità sono grandi imprese industriali, per le quali le aziende che riforniscono le catene di franchising devono produrre il formaggio in quantitativi prestabiliti e con caratteristiche di forma, consistenza e fusione che devono rispondere a specifiche precise. I grandi acquirenti esercitano il loro potere sui fornitori trattando sul prezzo, i produttori sono obbligati a massimizzare la resa del formaggio e a ottimizzare l’economia: il risultato è una mozzarella industriale americana, di solo latte vaccino, con una qualità e un prezzo determinato dall’industria che produce pizze nelle catene di pizzerie o le vende surgelate, e non più da un consumatore avveduto capace come quello italiano di apprezzare la mozzarella come prodotto gastronomico.
L’industrializzazione della mozzarella in America porta allo sviluppo di un ‘formaggio per pizza’, a pasta filata e bassa umidità, con un corpo più sodo e di lunga durata che solo in parte condivide punti in comune con il prodotto tradizionale. Per questo nel 1966 negli Stati Uniti vi è uno standard federale di identità che differenzia la mozzarella tradizionale a più alta umidità dalla versione a bassa umidità del Pizza Cheese o Mozzarella LM. La mozzarella a bassa umidità (LM, low moisture) in America rapidamente soppianta quella tradizionale come ingrediente principale della pizza, per cui i consumatori imparano a conoscere la mozzarella industriale a bassa umidità e non quella italiana. La mozzarella LM è un’invenzione dei ricercatori della Cornell University di Ithaca, nello stato di New York, guidati dal Professor David M. Barbano, di origini italiane. All’inizio degli anni ’90 il suo gruppo di ricercatori, che collabora con colleghi italiani, arriva a innovazioni nella tecnologia di produzione del formaggio nei metodi di salatura, preacidificazione e strategie per migliorare la funzionalità della mozzarella a basso contenuto di grassi che rivoluzionano l’industria in tutto il mondo, come dimostra Paul S. Kindstedt (*).
In Italia ogni anno si mangiano 240 milioni di pizze surgelate che costituiscono il 12% dei consumi totali di surgelati. Circa 50 sono i tipi di pizza surgelata in commercio, 110 milioni sono le pizze Margherita dove è presente la mozzarella. Ma quale mozzarella? Di bufala o di mucca? Mozzarella tradizionale italiana o mozzarella a bassa umidità di tipo americano? Su gran parte delle pizze non si fa preciso riferimento sulla qualità della mozzarella usata e al più si dice che sono preparate con latte (senza specificare di quale animale), sale, caglio, fermenti lattici. Anche nel Disciplinare internazionale per l’ottenimento del marchio collettivo “verace pizza napoletana” – (vera pizza napoletana) per la Pizza Margherita il disciplinare specifica soltanto: mozzarella di bufala campana Dop, mozzarella Stg, Fior di latte dell’appennino meridionale Dop o altro fiordilatte prodotto con tecniche tradizionali.
Sottile ma sostanziale è la differenza tra mozzarella e fiordilatte, e dipende dal latte e dalla lavorazione. Il fiordilatte o mozzarella di latte vaccino è un formaggio fresco, o latticino, di latte intero vaccino a pasta filata, ricavato con una tecnica simile a quella della mozzarella di bufala campana, con la quale non deve essere confusa e che nel 1996 ottiene la certificazione Specialità tradizionale garantita (Stg). Il fiordilatte ha una forma sferoide o cuboide con una resa del 14-15%, si consuma freschissimo, non oltre tre giorni dalla produzione, e sono definite due tipologie: da tavola e da pizza. Quest’ultimo contiene meno acqua e meno grasso rispetto a quello tradizionale (il 15-20%, contro il 20-25%) e per questo motivo è assimilabile al Pizza Cheese o alla mozzarella LM americana. Una volta compresa la differenza tra fiordilatte da pizza e da tavola, diviene comprensibile come anche in Italia nella pizza napoletana Margherita industriale, fresca o surgelata, si preferisce usare il fiordilatte da pizza… come in America, divenendo una nuova tradizione.
(*) Kindstedt P. S. – Symposium review: The Mozzarella/pasta filata years: A tribute to David M. Barbano – J. Dairy Sci. 102:10670–10676, 2019
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Professore Emerito dell’Università degli Studi di Parma e docente nella Facoltà di Medicina Veterinaria dal 1953 al 2002