Carne di cavallo, basta con le storielle di Coldiretti sull’etichetta di origine. Lo scandalo è una truffa commerciale. Lo dice anche il commissario UE Tonio Borg
Carne di cavallo, basta con le storielle di Coldiretti sull’etichetta di origine. Lo scandalo è una truffa commerciale. Lo dice anche il commissario UE Tonio Borg
Roberto La Pira 1 Marzo 2013La vicenda delle lasagne, dei tortellini e delle polpette Ikea contenenti carne di cavallo anziché carne bovina ha coinvolto 24 paesi europei e i prodotti ritirati dal mercato sono quasi 200. Sui giornali sono apparsi centinaia di articoli molti dei quali richiamo la tesi di Coldiretti sull’importanza dell’etichetta di origine per la carne di cavallo, lasciando intendere che con questa indicazione gli scandali alimentari sarebbero di meno, perché il consumatore potrebbe distinguere il prodotto made in Italy considerato sempre il migliore.
Il 28 febbraio nella trasmissione Codice a barre di Rai 3 si è discusso di carne di cavallo. Il Commissario Europeo alla salute dei consumatori, il maltese Tonio Borg, ha bocciato la teoria di Coldiretti sulla mancanza dell’etichetta di origine della carne di cavallo, come elemento che non permette di identificare i colpevoli. Lo scandalo non è dovuto alla carenza di tracciabilità come sostiene Coldiretti, ma alle malefatte di chi ha trasformato la carne di cavallo in carne bovina.
Il commissario ha precisato che dopo la scoperta della frode proprio grazie alla tracciabilità obbligatoria adottata nell’UE in poche ore si è risaliti all’origine.
Purtroppo la cattiva informazione promossa sullo scandalo ha prodotto come al solito errate convinzioni. Ecco le più diffuse.
– I cavalli “cattivi” sono quelli romeni e polacchi (non è vero, non conosciamo la situazione in Italia dove si macella il maggior numero di cavalli in Europa – iniziano in questi giorni i controlli nei macelli sul fenilbutazone.
– Gran parte dei prodotti ritirati riguarda l’estero perchè si fanno molte triangolazioni commerciali (non è vero i ritiri sono iniziati anche in Italia quando il Ministero ha cominciato a fare le analisi sul Dna).
– I cavalli macellati in modo fraudolento e provenienti da circuito delle gare sono stranieri (non è vero un’indagine del Corpo forestale italiano nel 2010 ha scoperto un giro di 700 passaporti falsi e un commercio di circa 20 milioni di euro di carne di cavalli illegale)
– La carne di cavallo a fine carriera costa meno di quella bovina (non è vero, il confronto va fatto con la carne di vacca utilizzata per fare i ripieni di lasagne e tortellini e questa carne in Italia non si vende al dettaglio tanto è di qualità mediocre e costa pochissimo).
Il problema reale di questa storia è l’assenza di controlli preventivi. In Europa praticamente nessuna azienda e nessuna istituzione faceva analisi sulla specie equina. La scoperta della frode in Irlanda è stata del casuale. Anche a Torino quando due anni fa l’Istituto zooprofilattico sperimentale Piemonte ha scoperto una frode contraria (utilizzo di carne bovina venduta come carne di cavallo) si è trattato di un evento del tutto casuale e non di un intervento programmato.
Siamo d’accordo con Coldiretti quando si consiglia di consumare made in Italy e di privilegiare i prodotti a filiera corta ma fare discorsi astratti sulla qualità superiore dei prodotti italiani non ha senso. Ogni anno le frodi dei prodotti italiani esportati in altri Paesi segnalate dal Sistema di allerta europeo sono decine e quelli rilevati dai controlli istituzionali centinaia.
Sull’indicazione obbligatoria dell’origine degli ingredienti come elemento utile per i consumatori possiamo essere d’accordo, ma solo per gli ingredienti principali (è la medesima filosofia dell’Unione europea tanto che già lo si fa per una decina di categorie).
Se però, come sostiene Coldiretti, dovesse diventare obbligatorio indicare l’origine di tutti gli ingredienti, in un prodotto come le lasagne, l’etichetta sarebbe molto complessa.
Si inizierebbe con la Cina per il pomodoro, poi c’è la Malesia per l’olio di palma, la Spagna per l’aglio, l’Italia per la carne di mucca, la Francia per la farina, la Germania per il latte, l’Irlanda per il burro, l’Australia per l’olio di girasole…
Adesso vi proponiamo un gioco sull’indicazione obbligatoria dell’origine prendendo come esempio la pasta Barilla che da domani potrebbe scrivere nell’elenco degli ingredienti la frase “Grano proveniente dalla Sicilia e dagli Stati Uniti”. Cosa verrebbe in mente? Che Barilla non vuole usare grano italiano? Che Barilla compra grano americano perché costa meno? Che Barilla ha intenzione di ampliare le vendite sul mercato USA? Che compra il grano Usa perché in Italia non basta? Che il grano Usa ha una qualità del tutto simile a quello italiano? Le ultime due risposte sono quelle giuste, ma difficilmente il consumatore dopo il lavaggio del cervello fatto sulla qualità del made in Italy, accetterebbe questa realtà in modo sereno.
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
Ancora una volta, bravo Roberto.
Alfredo
E se una persona allergica alla carne equina, avesse fatto una bella scorpacciata di lasagne…tanto poteva stare sicuro di mangiare carne di manzo….che sarebbe successo?
Forse lo avremmo letto sui giornali come un caso di intossicazioni alimentare e sarebbe scoppiato il caso anche da noi
Comunque se a me i cavalli fanno pena e non voglio mangiarli oppure se ritengo che i cavalli siano pieni di sostanze tossiche ho il diritto din non mangiarli e nessuno mi deve impedire questa mia scelta truffando le etichette.
Bell’articolo! Molto interessante.
Finalmente, bravo Roberto, vedo che assimili i nostri commenti e li riassumi adeguatamente: è ora che Coldiretti la smetta di fare falsa, cattiva e fuorviante informazione nei confronti dei consumatori: non ha senso fissarsi sull’origine delle materie prime, ma sulla loro qualità intrinseca, che spesso ,purtroppo, è migliore per materie prime non italiane. Coldiretti si sforzi onestamente di promuovere in altro modo l’italianità, senza usare falsa denigrazione(copiando la politica), e pretendendo invece adeguati controlli e audit ufficiali, e verifiche effettive sugli autocontrolli obbligatori dei produttori, compresi quelli delle materie prime (mulini, frantoi, macelli, etc).Cominciamo ad essere delle persone serie!!
Condivido bell’articolo soprattutto pragmatico e realistico. Grazie.
Caro Roberto,
provo a dare un frame al tema, con tesi-antitesi e una mia risposta, al netto di semplificazioni tv che mi rendo conto non aiutano a capire bene la portata del problema.
Tesi “negazionisti origine”
-“Non è un problema di origine ma di frode e quindi, di controlli inadeguati su requisiti che già oggi dovrebbero essere rispettati”
– “La violazione di norme non si risolve con maggiori norme (ovvero più burocrazia) ma semmai con maggiori controlli” (vedasi bel pezzo di Alberto Alemannohttp://albertoalemanno.eu/articles/horsemeat-scandal-turns-into-a-food-safety-crisis)
(credo che siano i due aspetti più qualificanti emersi)
Antitesi “ragionata” (e non da semplice “mantra” politico)
– La desiderabilità dell’origine nell’ambito della praticabilità (siamo d’accordo, in caso di prodotti con numero ingredienti superiore a 5-6 (?) diventa problematico indicarla) non afferisce a superiorità presunta o reale del prodotto italiano, ma ad una buona prassi di trasparenza e non ingannevolezza verso i consumatori. Se il prodotto italiano fa schifo, lo si saprà, e la cosa finirà per correggere la produzione italiana.Quindi il ruolo positivo c’è e implica un metterci la faccia (in bene ed in male).
– Insieme a maggiori controlli, aumenta la trasparenza complessiva del sistema, permettendo incroci di informazioni (cavalli da Cipro: se comunemente si sa che a Cipro ci sono pochi cavalli o addirittura sono assenti grandi allevamenti, ci si domanderà se la partita di carne di cavallo è di Cipro o se invece è da qui semplicemente transitata). Questo aumenta quella trasparenza generale che da sola è in grado di prevenire abusi e frodi o “sviste” da parte di partner commerciali compiacenti o invece ingannati. Chi vuole mentire potrà continuare a farlo, ma l’onere della prova -in caso di menzogne multiple-, è decisamente più pesante e si spera, più dissuasivo.
– Se i controlli sono falliti, è evidente- soprattutto in periodo di austerity e spending review- che non potranno essere aumentati. Serve invece un maggiore scrutinio diffuso da parte dei consumatori e delle autorità nell’esercizio dei controlli anche a livello di retail (es, se NAS si trovano in supermarket, possono cominciare a investigare sulla base di elementi fattuali in mano, cioè etichette, per poi effettuare i controlli appropriati in tutte le sedi).
– La discussione sull’origine delle carni è già ben radicata nell’attuale regolamento 1169/2011, si tratta di portare alle sue logiche conseguenze un apparato normativo e concettuale già presente. E’ ovvio che luogo di origine e di provenienza andranno definiti sulla base delle correnti attese dei consumatori.
– La lunghezza delle filiere ed il numero di passaggi hanno mostrato come i consumatori e più in genere l’opinione pubblica siano rimasti sconcertati dai passaggi trasformativi necessari per arrivare al prodotto finale. E’ anche questo un dato di fatto.
– I consumatori la vogliono e vi ripongono fiducia (non lo dice Coldiretti, ma ricerche in vari stati UE,come quella di BEUC- consumatori UE-http://www.italiaoggi.it/news/dettaglio_news.asp?id=201301291245111847&chkAgenzie=OGGIEUROPA&sez=newsPP&titolo=Alimenti:%20i%20consumatori%20vogliono%20conoscere%20l’origine con diversi pubblici nazionali di riferimento). I consumatori sono controllori di ultima istanza e in ogni caso, gli unici a decretare la gravità di una frode: possono decidere se fare crollare il mercato o meno.
– Un blocco di paesi UE (Francia, Germania, Austria, Portogallo, Regno Unito, Italia si stanno muovendo in tal senso, sulla scorta di richieste di qualcosa come almeno la metà della popolazione UE. Derubricare tale richiesta come semplice superstizione è un po’ troppo. Forse ci si sta rendendo conto che l’Europa può essere unita solo se prima si riconosce simbolicamente anche le identità nazionali di riferimento (origine dei prodotti). Ciò vale sia a livello economico (v. patto di stabilità e sovranità nazionali ) che più in generale sociale e civile (e afferisce all’idea del “chi siamo”, dove per arrivare al “noi” europei serve partire dal “noi” italiani, inglesi, spagnoli, etc).
– INFINE: sul fatto che il cibo non possa essere considerato come una commodity globale generica, credo che poi siamo tutti d’accordo: e sapere chi vi ha lavorato, che faccia abbia, in che condizioni sia stato fatto il prodotto,se vi è land grabbing dietro, o violazione dei diritti fondamentali della persona, beh sono tutti aspetti di una qualche importanza, credo, per tutti noi
Bello. Coldiretti a volte dimentica che l’origine può al massimo essere un valore qualitativo, una possibilità di scelta, non un valore aggiunto di sicurezza.
Resta il fatto che il consumatore ha l’assoluto diritto di sapere ciò che mangia, anche se gli ingredienti sono tanti. se occorre si utilizzerà un bugiardino come nei medicinali…..oggi l’industria alimentare ha raggiunto dei livelli di sofisticazione che la stessa non può più sopportare….ripeto che resta il fatto che noi dobbiamo sapere cosa mangiamo, anche se presente in tracce
Giusi
Caro Corrado, libero di dire tutto quello che vuoi, non in un bugiardino inutile assurdo e illeggibile come quello auspicato da Giusi(nemmeno da considerare), ma al massimo in poche righe, altrimenti non ti legge e capisce nessuno.Pensa che il consumatore usa 10-20 secondi per decidere un acquisto, quindi ha solo bisogno di FIDUCIA, che non può essere data altro che dal rispetto di regole chiare come definito dai Regolamenti UE (autocontrollo, tracciabilità, controllo ufficiale, mercato unico,sicurezza alimentare…), che dagli interventi non sembrano essere ben noti a molti. Neppure a chi spaccia le proprie idee distorte per “lo vogliono i consumatori”, e DICE di rappresentarli : 17, dico 17, cosiddette associazioni, mentre ne basta una, che sono sovente al servizio di qualche ideologia, e tutte “senza scopo di lucro”.. ,che cercando visibilità fanno a chi è più bravo creando spesso confusione sui media e nella testa dei consumatori. Rileggiti i Regolamenti, dove è scritto a chiarissime lettere cosa è la FIDUCIA e la SICUREZZA ALIMENTARE, non certo rappresentata dal valore soltanto etico dell’origine, ma dalla serietà dell’operare e dalla EFFICACIA dei controlli. Per essere capiti dal pubblico dei consumatori bisogna: -smettere di contargli balle -essere chiari e concisi – Dimostrare onestà concettuale.
Cara Giusi, purtroppo il tuo commento evidenzia un approccio ideologico ed ancora purtroppo una scarsa conoscenza dell’industria alimentare, vista da te come “sede di nefandezze e sofisticazioni ad alto livello”. Non sembra tu ci abbia mai lavorato, o hai avuto esperienze di qualche disonesto produttore autolesionista(tipo mortadelle alla segatura e quant’altro) che non ha cognizione del proprio operato e del suo contesto.Ti consiglio di procedere ad una ponderata ,e non distratta , lettura dei Regolamenti UE relativi alla Sicurezza alimentare, alla Gestione del rischio, al ruolo di EFSA , al ruolo responsabile dell’Operatore del comparto alimentare, ed anche alla posizione del CONSUMATORE al centro di tutto questo.
Caro Costante, considerami una semplice consumatrice (se ti dicessi che sono un chimico industriale cambierebbe qualcosa?) se da semplice consumatrice devo avere il tempo e la voglia di studiare regolamenti europei relativi alla sicurezza alimentare e quanto altro tu indichi , perché non dovrei trovare il tempo di leggere un bugiardino del prodotto acquistato.
Il bugiardino, se ben fatto, potrebbe essere indicativo della cura nella scelta delle materie prime, del rispetto delle regole e dei regolamenti cui tu fai riferimento, così da infondere nel consumatore la FIDUCIA di cui parli
Non vedo niente di più pragmatico e poco ideologico ( anche se nella ideologia non rilevo il negativo che ti lasci passare) di porre il consumatore al centro della SICUREZZA ALIMENTARE.
Giusi
Da “chimico puro” di vecchia data con diverse decine d’anni di Industria Alimentare, di UNI,AICQ alimentare, “digestione” di Norme, Direttive e Regolamenti, di progettazione/valutazione di etichette, di bufere tecniche e mediatiche, a “Chimica Industriale”-Consumatrice: sono daccordo che il consumatore non ha da leggere i regolamenti, ma ,al centro del sistema(vedi i “considerando”) deve poter cogliere elementi di fiducia prima di tutto da prodotti di buona qualità intrinseca, da comportamenti Aziendali corretti,corretta pubblicità, e, insisto, da un’etichettatura semplice, concisa e facilmente comprensibile da non addetto ai lavori. Tutto il resto sta nel rispetto delle leggi, nell’autocontrollo vero più che in certificazioni di carta, ed in un serio , EFFICACE controllo ufficiale.
Con simpatia
Costante