Una volta i finti articoli pubblicati sui giornali per promuovere i prodotti degli inserzionisti venivano definiti dai giornalisti ‘marchette’. Si tratta di una parola dal significato molto chiaro, che indicava l’ambiguo rapporto commerciale stipulato fra editore e azienda per la pubblicazione di questi finti articoli. A volte l’inserimento veniva concordato nel contratto pubblicitario, altre volte si trattava di un accordo verbale. I signori del marketing, quando invitavano i direttori dei giornali a pubblicare questi falsi articoli, non utilizzavano la parola ‘marchette’, ma preferivano parlare di ‘publiredazionali’ per questa forma di pubblicità mascherata.
Poi il settore si è evoluto e i falsi articoli hanno occupato intere pagine di giornale. Queste pagine ci sono ancora e si dovrebbero distinguere dalle altre per il carattere tipografico diverso e perché in alto a destra o a sinistra compare in un piccolo riquadro la scritta: “A cura della …. pubblicità”, oppure la frase più ambigua “A cura della ….media“.
Nell’era di internet le forme di pubblicità mascherata si sono moltiplicate e distinguere fra articoli e marchette risulta più difficile. In genere il lettore dovrebbe riconoscere il testo pubblicitario dalla sigla ‘AD’ (abbreviazione della parola ‘Advertising’) , posizionata in un piccolo riquadro in alto a destra o sinistra della foto di apertura. C’è però chi correttamente preferisce riportare la parola italiana ‘Sponsorizzazione’ oppure la scritta ‘Publiredazionale in collaborazione con …‘. Un’altra furberia consiste nell’inserire a fianco del testo nel piccolo riquadro posizionato in alto la scritta ‘Guest post’ (terminologia inglese che indica un articolo personalizzato redatto appositamente per il sito o per il blog). L’ultima novità la trovo in un sito di notizie dichino e agricoltura dove si dice che il testo può contenereNative Advertising, ovvero una forma di comunicazione pubblicitaria online che assume le caratteristiche grafiche del sito ma propone contenuti di tipo pubblicitario. Ma al peggio non c’è mai fine. Adesso diversi editori concordano con l’inserzionista ‘publiredazionali’ senza riportare indicazioni o avvertenze. Si pubblica per intero il testo scritto dall’azienda con le relative foto. Il contributo della redazione consiste nell’aggiungere un titolo accattivante e una firma di fantasia.
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza in test comparativi. Come free lance si è sempre occupato di tematiche alimentari.