Con i suoi 10mila metri quadrati, il nuovo stabilimento appena inaugurato nel Regno Unito dall’azienda tedesca Infarm (tra le prime a puntare sulle vertical farm nel Vecchio Continente) ha sottratto il titolo di più grande impianto di produzione idroponica in Europa all’italiana Planet Farms, che nel 2019 ne aveva aperto uno su un’area di 9mila metri quadrati, a Cavenago, in provincia di Monza-Brianza. Insieme, le due realtà rappresentano una prova tangibile del successo crescente di questo tipo di coltivazione, che offre numerosi vantaggi rispetto a quella tradizionale, e che sta ormai assumendo le dimensioni di scala attese da anni, grazie alla discesa dei prezzi dei LED e all’ottimizzazione dei circuiti di intelligenza artificiale su cui si basa.
Dell’impianto tedesco sul suolo inglese parla FoodNavigator, illustrando l’ultima evoluzione di una realtà che è ormai diffusa in dieci paesi di Nord America, Asia ed Europa, e che si candida a ulteriori espansioni (in altri dieci paesi), via via che crescono anche le partnership con le GDO tra i quali i supermercati tedeschi Metro ed Edeka e nel Regno Unito con i grandi magazzini Marks & Spencer e Fortnum & Mason, i supermercati Wholefoods e Partridges, la catena di negozi biologici Mum’s e il servizio di consegna a domicilio Getir, oltre ad alcuni ristoranti.
Lo stabilimento di Bedford, che contiene 40 unità produttive alte 10 metri l’una, si presenta come ipertecnologico, con miliardi di dati raccolti in ogni momento, 24 ore al giorno 7 giorni su 7, da migliaia di sensori collegati a un unico supercomputer centrale che convoglia dati da tutti gli stabilimenti Infarm. Il controllo capillare assicura l’ottimizzazione delle risorse ed elimina la necessità di fitofarmaci, assicurando una produzione iniziale – queste le stime – di 500mila piante all’anno, che dovrebbe aumentare fino a 20 milioni.
La coltivazione praticata da Infarm, così come quella di Planet Farms, tra gli altri, è 400 volte più efficiente di quella tradizionale al suolo, utilizza il 95% in meno di terreno (che nelle colture idroponiche non serve quasi, essendo il suo ruolo limitato a un supporto meccanico circoscritto), il 95% in meno di acqua (che viene distribuita capillarmente in base alle necessità del momento), il 75% in meno di fertilizzanti e zero pesticidi (le serre sono di fatto camere sterili). Inoltre, lo stabilimento inglese ha un sistema di raccolta dell’acqua piovana che gli consente di catturare non meno di 2,5 milioni di litri all’anno: un utilizzo prezioso, vista la siccità crescente anche nel Regno Unito.
Ma i benefici non finiscono qui. Oltre ai vantaggi sulla produzione, ci sono infatti quelli sul trasporto, e sulla resilienza delle popolazioni locali e a quelli sui posti di lavoro qualificati creati. C’è infatti un risparmio del 95% delle miglia percorse dalle verdure, che tradizionalmente sono importate da altri paesi. Al contrario, i prodotti della vertical farm, le cui caratteristiche organolettiche e nutrizionali sono continuamente studiate e perfezionate grazie ai dati forniti all’intelligenza artificiale, possono raggiungere il 90% della popolazione del paese in quattro ore, con un grande beneficio per l’ambiente sia in termini di miglia evitate, sia in termini di energia impiegata per la conservazione. E naturalmente a tutto ciò si aggiunge il fatto che la verdura, consegnata a così poco tempo dalla raccolta, è più fresca e più buona. E lo spreco è quasi annullato.
La ministra dell’Agricoltura Jo Churchill, presente all’inaugurazione dello stabilimento di Bedford, ha sottolineato come iniziative di questo genere, anche se private, vadano realmente incontro alla politica del governo britannico e ha anche ricordato che il paese si sta avviando velocemente verso una legislazione molto più permissiva nei confronti dell’editing genetico dei vegetali: impianti come quello di Infarm, già indifferenti alle condizioni esterne, sono ottimali anche per la sperimentazione di nuove varietà più adatte ai cambiamenti climatici (e politici) cui l’umanità sta andando incontro.
© Riproduzione riservata Foto: Infarm
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Giornalista scientifica