A partire dagli anni ’80, l’Europa è stata la prima area al mondo a regolamentare gli standard di produzione biologica, seguita da Usa, America Latina e Asia. Dal 2012 ha inoltre reso obbligatorio l’utilizzo del marchio che identifica la produzione bio. Da allora questo settore dell’agricoltura biologica europea è in costante crescita: aumenta il fatturato (+18% rispetto al 2018, pari a 37,4 miliardi di euro) e crescono i terreni coltivati. Su quest’ultimo aspetto, il Vecchio Continente è il secondo dopo l’Oceania, con il 23% di superficie agricola bio. Appare quindi realistico l’obiettivo della strategia Farm to fork che si pone l’obiettivo di raggiungere una superficie del 25% entro il 2030. Per quanto riguarda i singoli paesi, la classifica interna vede al primo posto, in termini assoluti, la Spagna, seguita dalla Francia, mentre l’Italia occupa la terza posizione.

La situazione è diversa sul fronte dei consumi, dove il paese con i cittadini che comprano più prodotti bio è la Danimarca. Per quanto riguarda l’Italia, i dati presentati alla fiera FruitLogistica di Berlino lo scorso aprile mostrano che, rispetto a frutta e verdura, il biologico consumato nel 2021 è stato pari a 340 mila tonnellate, corrispondenti a un incremento delle vendite del 10% tra il 2017 e il 2021. Sul podio dei vegetali freschi preferiti dagli italiani ci sono le arance, con 43 mila tonnellate, seguite dalle banane, con 40 mila e dalle mele, con 39. Sul fronte produttivo, invece, i frutti più coltivati sono limoni, ciliegie, albicocche e mandarini. La crescita del consumo di frutta e verdura bio continua anche nel nostro paese, ma si tratta di un incremento in tono minore, se confrontato con quello di altre nazioni come la Germania. Nel periodo tra il 2017 e il 2021 i tedeschi hanno raddoppiato i consumi, raggiungendo un giro d’affari del valore triplo rispetto al nostro.

donna con carrello davanti al banco della frutta, tiene in mano un pomodoro, concept: bio
Tra gli aspetti che rallentano la crescita del biologico c’è, da sempre, la differenza di prezzo, che porta a considerarlo una scelta di nicchia

Tra gli aspetti che rallentano la crescita dei consumi bio c’è, da sempre, la differenza di prezzo, che porta una buona parte di persone a considerare il biologico come una nicchia, rivolta a privilegiati. L’ultima elaborazione del Monitor Ortofrutta di Agroter per Italiafruit News mostra come, nel 2021, nonostante la distanza si sia mediamente ridotta, resta comunque una differenza importante. La riduzione più netta riguarda la frutta, dove il differenziale si è praticamente dimezzato, dall’80% circa del 2016, all’attuale 40%. Rimane molto più vistoso il divario per la verdura, pur ridottosi negli ultimi quattro anni dal 120% al 90%.

Scendendo nel dettaglio, vediamo che, se per gli agrumi, come limoni e arance, la differenza è meno significativa, passata in quattro anni da poco più del 30% circa al 27% per i limoni, mentre per le arance è aumentata da poco più del 40% a quasi il 60%. Per tutti gli altri frutti, come mele, kiwi, pere, fragole e banane, abbiamo assistito a una riduzione vertiginosa (nel 2016 il prezzo di mele e pere bio andavano oltre il 160% in più rispetto a quello delle convenzionali e oggi sono rispettivamente intorno al 60% le prime e al 120% le seconde). Aumenta invece, in controtendenza, la differenza di prezzo di avocado e ciliegie, raggiungendo l’80%.

Quattro arance poggiate su superficie scura, concept: bio
Le arance sono il frutto bio più consumato in Italia, la differenza di prezzo con i prodotti convenzionali è ‘solo’ del 60%, aumentata rispetto al 40% del 2016

Per quanto riguarda infine la verdura, il salto più alto tra bio e convenzionale lo fanno carote e finocchi, che costano solitamente più del doppio (tra il 100 e il 150%), mentre le zucchine sono quelle che vantano il prezzo più simile (con una differenza intorno al 25%). Per gran parte della verdura, comunque, come per la frutta, si può notare una riduzione del differenziale negli ultimi quattro anni. Fanno eccezione asparagi, cetrioli e fagiolini, questi ultimi, però, costano nella versione bio più del doppio rispetto ai convenzionali, mentre gli asparagi registrano nel 2021 una differenza media del 50%. L’ipotesi degli esperti è che la differenza sia dimuita laddove vi sono consumi maggiori (patate, cipolle e pomodori), per una questione principalmente legata alle economie di scala. Le dinamiche sono in realtà complesse e dipendono da tanti fattori, molto legati alla singola produzione, come dimostra il fatto che, per quanto riguarda le arance, nonostante siano il frutto bio più consumato in italia, si è invece registrato una aumento della differenza di prezzo.

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