La ruggine del caffè, malattia data dal fungo Hemileia vastatrix, sta devastando le colture del Centro e del Sud America, con danni incalcolabili per le popolazioni locali e ripercussioni su tutto il mercato mondiale, dal momento che il caffè proveniente da quelle zone rappresenta il 14% di tutto quello prodotto al mondo.
L’epidemia è iniziata mesi fa, senza apparenti cause scatenanti, ma un ricercatore dell’Università del Michigan John Vandermeer, che da 15 anni lavora con gli agricoltori del Centro America e del Chiapas, forse ha trovato una causa, che lui stesso sintetizza così: «aver trattato il caffè come se fosse mais, per massimizzare i raccolti».
Lo studioso si occupa dell’ecosistema delle piantagioni e nel tempo ha elaborato schemi piuttosto dettagliati che comprendono, oltre alle piante, i funghi, gli insetti, gli uccelli e i pipistrelli. Nell’ultimo anno, si è concentrato sulla devastazione indotta dalla ruggine nelle piantagioni di riferimento, trovando che almeno il 60% delle piante ha perso l’80% delle foglie, morte in seguito a un attacco della ruggine, che impedisce loro di fare la fotosintesi, che il 30% delle piante non ha più neppure una foglia e che circa il 10% è morto. Lo stesso fenomeno, sempre secondo Vandermeer, è accaduto in Colombia, Costa Rica, El Salvador, Guatemala, Nicaragua e Messico, come hanno riferito gli agricoltori con cui il ricercatore è in contatto, commentando disperati che si tratta della peggiore epidemia mai vista da quelle parti.
Analizzando quindi la situazione nel suo complesso, il ricercatore ritiene di aver trovato almeno una delle cause del disastro: il graduale ma inesorabile passaggio dalle piantagioni tradizionali, in ombra, a quelle più redditizie (all’apparenza), al sole.
Per secoli la coltivazione del caffè è stata fatta crescendo gli arbusti sotto una coltre di alberi, e quindi all’ombra, ma qualche anno fa si è pensato che una coltura in un terreno soleggiato avrebbe potuto assicurare una crescita più rapida e una gestione più semplice. In realtà l’esposizione delle piante al sole ha sconvolto l’ecosistema su cui si basa la crescita della pianta, facendo diminuire in modo drastico il numero di insetti, uccelli e funghi benefici. Tra questi ultimi, in particolare, c’è quello cosiddetto dell’alone bianco, che combatte efficacemente gli insetti nocivi e la ruggine ma che ha bisogno di ombra per svilupparsi, e che non a caso è quasi del tutto sparito dalle coltivazioni al sole. Il mutamento climatico e l’impoverimento progressivo dei terreni hanno fatto il resto.
Secondo Vandermeer «questo è ciò che accade quando si tratta il caffè come se fosse mais. Il delicato equilibrio che sostiene le piantagioni si è lentamente alterato fino ad arrivare a un punto di rottura, nel quale la ruggine – detta anche la roya – ha preso il sopravvento. Può darsi che la roya si autolimiti e che, dopo l’esplosione di quest’anno, torni a livelli normali, ma può anche accadere che resti una piaga endemica di questa regione, con gravissime conseguenze per i coltivatori, almeno fino a quando non sarà invertita la tendenza a privilegiare le coltivazioni al sole».
La ruggine del caffè è stata segnalata per la prima volta in Africa, vicino al lago Vittoria, nel 1861 e successivamente in Sri Lanka, nel 1867. Da lì si è diffusa in Asia e nella fascia centro-meridionale dell’Africa; nell’emisfero occidentale è arrivata nel 1970, anno in cui è stata segnalata a Bahia, in Brasile. Oggi è presente in tutti i paesi coltivatori di caffè, ma finora non aveva mai causato crisi così gravi. L’infezione colpisce principalmente le foglie, ma anche i frutti giovani e i germogli; le spore si diffondono per via aerea, ed è quindi quasi impossibile contenerne la diffusione.
Agnese Codignola
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Giornalista scientifica