L’obesità continua ad aumentare in tutto il mondo: dal 1975 a oggi è triplicata, e ormai le persone obese sono più numerose di quelle sottopeso, grazie a due miliardi di adulti e 40 milioni di bambini in sovrappeso o, appunto, obesi. Ma è tutta colpa di abitudini alimentario scorrette e, in ultima analisi, del fatto che si mangia troppo e ci si muove troppo poco? Secondo una parte non piccola della comunità scientifica questa spiegazione, ancora oggi mainstream, non è più sufficiente, e per sconfiggere davvero la piaga dell’obesità bisognerebbe iniziare a vedere la situazione anche da un altro punto di vista: quello degli obesogeni (termine coniato nel 2006), ossia dell’enorme numero di sostanze chimiche in cui siamo ormai immersi, molte delle quali sono state associate più o meno direttamente ad alterazioni del metabolismo che possono spiegare almeno in parte l’aumento di peso.
Per intervenire nel dibattito con una forza statistica mai messa in campo prima, un team di ricercatori internazionali, principalmente statunitensi e francesi, ha pubblicato su Biochemical Pharmacology una serie di tre review di oltre 1.400 studi condotti negli ultimi anni che confermano il legame tra circa 50 sostanze chimiche di vario tipo e obesità.
Va premesso che si tratta sempre di studi osservazionali ed epidemiologici perché, ovviamente, è eticamente impossibile condurre sperimentazioni randomizzate (cioè con un gruppo cui viene data una sostanza e un altro di controllo in maniera casuale) per verificare un effetto dannoso. Questo spiega perché, finora, le conclusioni siano state considerate con interesse, ma non abbiano modificato l’idea stessa della genesi dell’obesità, che attribuisce la quasi totalità della ‘colpa’ alle scelte personali. Al contrario, secondo gli autori, ormai la forza dei numeri e il fatto che i risultati siano molto uniformi nelle conclusioni, dimostra che qualcosa deve cambiare. La vera domanda sarebbe insomma: perché si mangia di più, se tutti gli esseri viventi hanno il senso di sazietà e smettono di mangiare quando si sono nutriti a sufficienza?
In particolare, il primo studio analizza i dettagli biologici e molecolari dell’obesità, mentre il secondo spiega i possibili meccanismi attraverso cui le sostanze incriminate porterebbero ad accumulare peso: principalmente, agirebbero sul cosiddetto termostato metabolico, il delicato equilibrio che regola il senso di fame e sazietà e l’immagazzinamento dei diversi tipi di grasso tra pancreas, intestino, fegato e cervello, alterandolo profondamente. Inoltre, provocherebbero squilibri nel microbiota, nel funzionamento della tiroide, nel numero di adipociti e nei circuiti nervosi della ricompensa. Almeno in buona parte, la responsabilità non sarebbe dunque personale, ma degli effetti di sostanze non solo assunte con il cibo, ma anche respirate, o passate per contatto.
Quanto alle sostanze stesse, le principali sono una cinquantina. Vi figurano, in primo luogo, gli ftalati, il bisfenolo A (Bpa), i Pfas e numerosi fitofarmaci, compresi alcuni vietati da decenni come il Ddt, capaci di modificare in modo permanente l’espressione del genoma: è provata infatti l’influenza del Ddt sulle nipoti delle donne che sono state esposte a esso, anche se le prime non lo sono mai state. Tutte molecole che si trovano ovunque, nell’acqua, nell’aria, nel terreno e in ciò che si mangia, ma anche nei cosmetici, nei farmaci, nei rivestimenti di auto e case, nei dispositivi elettronici, nel packaging e in quasi tutto ciò con cui gli esseri umani entrano in contatto ogni giorno, e che agiscono in modo marcato sugli organismi in crescita, dal concepimento in poi, ma non cessano di fare danni anche in quelli adulti.
Il terzo studio è una riflessione sul significato e sui limiti di questo genere di ricerche. Limiti che, tuttavia, non tolgono credibilità al concetto di fondo, e cioè che l’universo obesogeno in cui siamo immersi sia una delle cause dell’obesità: a esso sarebbe da attribuire almeno il 20% della responsabilità. Inoltre, anche lo stesso cibo cui viene di solito attribuita la colpa per l’eccesso di calorie, in realtà è parte integrante dell’universo obesogeno, essendo pieno di composti chimici dagli effetti spesso ignoti, soprattutto quando presenti insieme ad altre sostanze. Un esempio? Il fruttosio “causerebbe l’obesità anche se non avesse calorie”, spiega uno degli autori degli studi.
Altri esempi sono i pesticidi e i ritardanti di fiamma: il Ddt e la tributiltina, oggi vietati, erano obesogeni assunti in gran parte col cibo di cui si vedono le eredità ancora oggi, così come quelle delle diossine e i Pcb. Un altro caso è quello del Bpa, solo in parte eliminato dal packaging alimentare, ma anch’esso obesogeno, come ha confermato una metanalisi del 2020 di 15 studi. Lo stesso vale per i Pfas: anche dopo una dieta, chi ne ha di più nel sangue ingrassa maggiormente rispetto a chi ne ha di meno. Ciò spiegherebbe, tra l’altro, perché molti obesi, pur sottoponendosi a restrizioni severissime, non riescono a dimagrire.
La notizia peggiore, sottolinea il Guardian in un lungo articolo dedicato, è che non sembra esserci una vera soluzione, perché le sostanze chimiche utilizzate, molte delle quali sono obesogene, sono circa 350mila, ed è quindi di fatto impossibile studiarle tutte e controllare le reciproche interazioni e gli effetti sul corpo umano. L’unica azione efficace è quella preventiva, che passa attraverso il divieto di utilizzo delle molecole peggiori, che l’Europa sta cercando di eliminare. Ma, soprattutto, attraverso i comportamenti personali, a cominciare da quelli di chi ha in mente di concepire un figlio. Si dovrebbe infatti iniziare già prima della gravidanza a cercare di abbassare la quantità di obesogeni nell’organismo, mangiando cibi non industriali e, possibilmente, cucinati in casa a partire da materie prime fresche e poco trattate, perché è dimostrato che gli effetti sul feto hanno conseguenze sul metabolismo che durano tutta la vita. E lo stesso si dovrebbe fare per tutta la vita.
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Giornalista scientifica
Nel “pacco” delle sostanze obesogene troviamo tra l’altro la plastica classica (bottiglie, piatti e bicchieri o posate, ma anche la pellicola per alimenti), alcuni coloranti, additivi alimentari, molte sostanze chimiche presenti sia negli alimenti che ovviamente nei farmaci e negli integratori, ma anche nei trucchi, nelle lacche, nei cosmetici e nei prodotti per l’igiene personale, e infine molte sostanze “esterne”, cioè inquinanti che ci portiamo a casa quando torniamo dal lavoro.
Dunque……oggi il nutrizionista meglio qualificato per titoli accademici, coscienza e psicologia positiva dovrebbe allertare il paziente relativamente a questo pacco oppure no, dato che le famose ( e problematiche ) linee guida non sono ancora mature per accettare l’evidenza di questa nuvola grigia?
Ho sentito dire che questo campo è competenza delle autorità di controllo sanitario e non può entrare nelle etichette e nelle competenze degli operatori della nutrizione, affermando che è tutto sotto controllo salvo reati.
In realtà le cose stanno molto diversamente, l’iniziativa industriale sforna un nuovo prodotto chimico ogni circa 1,5 secondi, il numero totale supera già diverse centinaia di migliaia, poco studiate sia singolarmente che in cocktail che formano una immensa terra di nessuno……e la Chemicals Restriction EU si propone di vietarne una manciata di migliaia entro il 2030, le più pericolose senz’altro ( forse ) ma una tartaruga sembrerà un fulmine al confronto.
E pensare che siamo i più sensibili al mondo in questo campo, poi ci pensa il commercio mondiale globale a fare da livella.
Alla luce di queste evidenze e considerando che molti obesogeni ci toccano per forza essendo entrati a far parte stabile della biosfera è così sbagliato cercare di evitare almeno alcune di queste schifezze nel cibo? L’ostinazione e la coerenza sono diventati peccato?
A proposito del fruttosio, avevate proposto poco tempo fa un interessante articolo sulle differenze tra quello ospitato nella frutta naturale e quello estratto e aggiunto industrialmente, e questa è una ulteriore reale complicazione nella comprensione di come funziona la salute, ben al di la di quello che vogliamo dimostrare.
Condivido le sue considerazioni Sig. Gianni. Grazie