Lo zucchero che assumiamo quando siamo nel ventre materno può influenzare la nostra salute da adulti. I primi mesi di vita sono fondamentali, anche dal punto di vista dell’alimentazione, e definiscono almeno in parte il rischio di sviluppare, da adulti, malattie croniche quali diabete e ipertensione. Si parte addirittura prima della nascita, consigliando alle donne incinte di prestare attenzione a ciò che mangiano e al peso, di allattare al seno per almeno i primi sei mesi e di vita e poi di non dare ai bambini alimenti lavorati e ad alto tenore di zuccheri, sale o grassi. La fondatezza di questo tipo di consigli esce ora rafforzata da uno studio pubblicato su Science che si basa sull’elaborazione di dati che coprono doversi decenni, e numeri che sarebbe difficile mettere in discussione.
Dal dopoguerra a oggi
I ricercatori dell’Università della California del sud di Los Angeles sono partiti da una circostanza storica molto particolare: il razionamento dello zucchero stabilito durante la seconda guerra mondiale nel Regno Unito, e protratto, solo per lo zucchero, fino al 1953. Ciò significa che l’esposizione allo zucchero dei bambini nati entro quell’anno è stata bassissima in utero, e anche nei primi mesi di vita, a differenza di quanto accaduto negli anni immediatamente successivi alla fine dell’embargo. Proprio per reazione ad anni di privazioni, in quel periodo i consumi di zuccheri hanno toccato livelli altissimi, e tra i bambini ancora più che tra gli adulti.
Partendo da questa vicenda, e dai dati contenuti nel grande archivio UK Biobank, che ospita i campioni biomedici e le informazioni di oltre 500.000 cittadini inglesi di tutte le età, i ricercatori hanno verificato l’incidenza di diabete e ipertensione in due popolazioni distinte di persone: quelle concepite tra il 1951 e il 1954, e quelle concepite dopo il 1954 e fino al 1956, cioè in anni nei quali il consumo di zucchero era tornato ai livelli prebellici.
Zucchero si o no?
La differenza tra i due campioni è stata evidente: i concepiti entro il 1954 hanno avuto un rischio di diabete inferiore del 35% e uno di ipertensione minore del 20% rispetto ai secondi, e anche un ritardo nell’esordio delle due malattie rispettivamente di due e quattro anni, sempre rispetto a chi era nato dopo il 1954. Un terzo della riduzione del rischio, inoltre, era dovuto all’assunzione di zuccheri durante la gestazione.
Gli autori hanno commentato questi dati ribadendo che non significano affatto che una donna incinta o un bambino, con l’inizio dell’alimentazione complementare, debbano escludere del tutto lo zucchero. È una questione di proporzioni, ed è necessario non esagerare come accade, per esempio, negli Stati Uniti dove, in media, durante la gravidanza, le donne assumono quantitativi di zuccheri tripli rispetto a quelli consigliati, e poi si tende a somministrare alimenti per l’infanzia pieni di zuccheri.
Il punto è sapere che, nei primi mille giorni dal concepimento, ciò che si mangia ha una grande importanza per la salute della vita adulta, e regolarsi di conseguenza.
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Giornalista scientifica