La peste suina africana è arrivata a Roma: il primo esemplare contagiato è un cinghiale individuato nei pressi del parco dell’Insugherata, zona nord-ovest della Capitale. L’allarme è scattato subito perché gli animali nella regione sono migliaia. A questo punto i casi di peste suina accertati dall’inizio dell’anno, contando anche Liguria e in Piemonte, salgono da 114 a 115 e le regioni diventano tre. La situazione non è certo ottimale, perché molti speravano di avere localizzato e arginato il problema nelle due regioni del nord colpite ma non è andata così. L’unica cosa rassicurante è che la peste suina africana (Psa) non rappresenta un pericolo per l’uomo. Almeno, non dal punto di vista sanitario, perché si tratta di un virus che colpisce solo maiali e cinghiali. Stiamo parlando di un virus piuttosto contagioso e difficile da eradicare, che viene trasmesso dagli animali malati o da materiale contaminato, per esempio scarti di alimenti dispersi nell’ambiente che possono essere mangiati dai cinghiali.
Resta il fatto che si tratta di una malattia estremamente letale, e dato che non esistono vaccini né cure, la comparsa del virus in un allevamento costringe ad abbattere migliaia di animali. Per questo la peste suina, pur non essendo pericolosa per gli umani, può avere effetti devastanti dal punto di vista economico e sociale. Per far fronte all’emergenza è stata creata una struttura commissariale con un duplice obiettivo: “Innanzitutto contenere la malattia, e in seguito eradicarla evitando che passi dai cinghiali selvatici agli allevamenti di suini. Bisogna considerare che la diffusione dell’epidemia porterebbe al blocco delle esportazioni di carne suina.
La Peste suina africana (Psa), approdata in Liguria e Piemonte alla fine di dicembre 2021, dopo cinque mesi arriva nel Lazio ed è difficile prevedere i prossimi sviluppi. In Europa la Peste suina africana è arrivata nel 2007 con le navi che approdavano nei porti della Georgia sul Mare Nero. Da lì si è diffuso prima in Armenia e Azerbaijan, poi in Russia, per approdare in Cina e nel Sud-est asiatico. Siamo di fronte a una diffusione globale causata per lo più dagli uomini che trasportano la Psa in giro per il mondo, viaggiando su navi, aerei e autotrasporti a lungo raggio. Le ipotesi su come il virus sia arrivato prima in Liguria e ora nel Lazio sono varie. C’è chi punta il dito contro qualche mercantile attraccato nel porto di Genova che ha scaricato rifiuti, contenenti residui di carne di maiale contaminata, in discariche all’aperto, visitate poi da animali in cerca di cibo. Non è da escludere l’ipotesi di persone provenienti da zone in cui la Peste suina africana è presente, che hanno gettato rifiuti di salumi o di carne di maiale contaminata in contenitori accessibili ai cinghiali.
La Peste suina africana è comunque molto temuta perché i maiali e i cinghiali ammalati muoiono quasi tutti dopo pochi giorni a causa di emorragie interne. Per fortuna non si trasmette ad altre specie e anche l’uomo è indenne. Purtroppo il contagio tra animali in libertà è invece frequente perché il virus viene eliminato attraverso saliva, urine e feci o con il contatto diretto. L’altro elemento da considerare è la resistenza del virus. Nella carne fresca refrigerata sopravvive alcune settimane, mentre si trova ancora dopo mesi in quella congelata. Può annidiarsi anche negli insaccati freschi o nei salumi poco stagionati come pure negli scarti di cucina. In questi casi il problema sussiste se i rifiuti urbani finiscono in discariche non controllate frequentate da cinghiali. Il problema che ora si pone è quello di adottare provvedimenti per evitare contatti tra cinghiali selvatici e allevamenti.
Il problema riguarda soprattutto i piccoli allevamenti familiari e quelli estensivi – come quelli utilizzati con particolari razze come la cinta senese – in cui le possibilità di contatto con gli animali selvatici è più elevata. Negli allevamenti intensivi i contatti degli animali con l’esterno sono minimi. I problemi possono sorgere se le norme di biosicurezza non sono rispettate, e sono gli umani a portare l’infezione attraverso gli indumenti o alimenti contaminati. Per questo è fondamentale che gli allevamenti aumentino la biosicurezza facendo attenzione al lavaggio dei camion, all’igiene degli abiti e delle calzature degli operatori e alle reti di contenimento per evitare contatti con l’esterno. A questo si aggiungono i problemi legati alla sovrappopolazione di cinghiali, perché questi animali, in particolare nelle aree urbane, si nutrono di rifiuti e possono entrare in contatto con alimenti contaminati, contribuendo a diffondere l’infezione.
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giornalista redazione Il Fatto Alimentare