I prezzi sugli scaffali restano gli stessi ma i prodotti costano di più: è la cosiddetta shrinkflation: una strategia ingannevole ma legale usata dalle aziende per camuffare l’inflazione e messa in pratica contando su un consumatore frettoloso o disattento. L’attività, definita in italiano con il termine sgrammatura, consiste nel mantenere invariato il prezzo della confezione riducendone però il contenuto. Il fenomeno, iniziato anni fa nei Paesi anglosassoni, è ormai anche da noi, procede di pari passo con il rincaro di carburanti e materie prime e dipende dalla necessità delle aziende di aumentare i margini di profitto, senza spaventare i consumatori.
A lanciare l’allarme, nel 2017, sono stati i tecnici e gli economisti dell’Office for National Statistics, l’Istituto di statistica britannico. Secondo le loro rilevazioni, riportate dal quotidiano Indipendent, nei cinque anni precedenti (dunque prima che il referendum sulla Brexit causasse la svalutazione della sterlina e si verificasse l’aumento dei costi delle materie prime), oltre 2.500 prodotti nel Regno Unito erano stati interessati da una riduzione di peso o di dimensioni, nonostante il prezzo fosse rimasto invariato. Un analogo fenomeno è avvenuto anche in Italia dove, in riferimento al medesimo intervallo temporale, l’Istat ha individuato 7.306 prodotti di 11 categorie merceologiche interessati dalla shrinkflation. Ovviamente il fenomeno non si è ridotto nel tempo, anzi.
I più colpiti sono stati i beni di largo consumo, quelli che si acquistano comunemente al supermercato, spesso in modo automatico, sulla scorta dell’abitudine e dell’illusione rassicurante creata dal ‘solito’ packaging. Così è possibile trovare pacchi di pasta da 400 grammi invece del canonico mezzo chilo, tubetti di dentifricio che scendono da 100 a 75 ml, buste di patatine con 5-10 chips in meno, bevande in bottiglie da 1,35 piuttosto che da 1,5 litri, pacchetti con nove fazzolettini di carta anziché 10, rotoli di carta igienica con 200 strappi al posto di 220, barrette di cioccolato più piccole e, addirittura, meno tè nelle bustine.
Per capire come difendersi abbiamo chiesto chiarimenti a Massimiliano Dona, presidente dell’Unione nazionale consumatori. “Questa strategia – spiega Dona – funziona perché il consumatore è attento al prezzo al dettaglio di ciò che compra, ma difficilmente si sofferma su un prodotto già noto per verificare se il peso netto o il costo al kg sono variati nel tempo. Per questo motivo è più facile, per le aziende, decurtare il contenuto di flaconi e scatole piuttosto che aumentare il prezzo della confezione, creando così l’illusione che nulla sia cambiato, quando in realtà il carrello è meno pieno”. Per quest’ultimo motivo in particolare il fenomeno della shrinkflation è stato ribattezzato anche ‘trucchetto svuota-carrello’.
In Italia l’Istat e le associazioni dei consumatori hanno da tempo puntato il dito contro il dilagare della sgrammatura, denunciandone l’escalation agli organi di giustizia amministrativa locali e nazionali e chiedendo all’Autorità garante della concorrenza e del mercato di mobilitarsi per arginare il fenomeno e limitare le ripercussioni sulla capacità di acquisto delle famiglie. “L’Unione nazionale consumatori ha proposto da tempo di stabilire un sistema di controlli periodici sui prodotti dei grandi marchi – riferisce Dona –, per verificare le variazioni del rapporto peso-prezzo e segnalarle al consumatore, ma finora non se n’è fatto nulla”.
Il conflitto in Ucraina ha ridato impulso a questa strategia di marketing, per far fronte alla crescente difficoltà di reperimento di materie prime e all’aumento dei costi di trasporto. “Non mancano poi i casi – spiega Dona – in cui l’adozione della sgrammatura non è dettata dalla necessità di far quadrare i bilanci a fronte di un rincaro a monte, ma piuttosto dalla volontà di incrementare i guadagni, speculando su una fase storica di crisi che sembra legittimare l’aumento dei prezzi. Per questo, durante una recente audizione al Senato sul Ddl Concorrenza, abbiamo chiesto l’istituzione di una Commissione parlamentare d’inchiesta a tutela dei diritti dei consumatori”.
Il problema è che, per quanto scorretta, la shrinkflation è una pratica difficile da individuare. “Il consumatore viene ‘beffato’ ma non propriamente ‘truffato’ – prosegue l’esperto –. La variazione del rapporto tra quantità e prezzo non viene nascosta, ma semplicemente taciuta all’acquirente, la cui attenzione è deviata strategicamente da un involucro nuovo, talvolta giustificato dall’intento di una maggiore sostenibilità. Viceversa, in alcuni casi la confezione è mantenuta identica alla precedente, anche nelle dimensioni, nonostante il contenuto ridotto”. Un altro aspetto della shrinkflation, spesso poco considerato ma rilevante, riguarda l’impatto ambientale di questa pratica. Ridurre il contenuto della singola confezione di un prodotto mantenendone inalterate le dimensioni esteriori significa aumentare la quantità di imballaggio e rendere meno ecologico il processo di confezionamento, lo stoccaggio e la mobilitazione della merce. Due confezioni di dimensioni ridotte sono più inquinanti di una sola confezione a grandezza standard perché a fronte di una minore grammatura di prodotto, si utilizza la stessa quantità di energia per il packaging, si produce più scarto di plastica, carta e altri involucri e si occupa spazio inutile nei container e nei camion utilizzati per il trasporto.
Nell’attesa che gli organi di competenza mettano in campo le misure necessarie per fissare una precisa regolamentazione della shrinkflation, i consumatori possono comunque tutelarsi mettendo in pratica alcune semplici strategie ogni volta che vanno al supermercato. “Una buona abitudine – suggerisce Dona – è quella di controllare in maniera scrupolosa le confezioni, imparare a considerare il prezzo al chilo o al litro, mettendo a confronto marchi differenti e aprendosi a considerare prodotti locali e marche diverse da quelle abituali o note, in modo da valutare chi offre un prezzo minore e risparmiare senza rinunciare alla quantità. Inoltre, è meglio optare il più possibile per i prodotti freschi e sfusi e non lasciarsi tentare dalle offerte di maxi confezioni o da un 3×2 senza prima averne valutato la reale convenienza”.
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Dona ora
Ma quanti ci cascano nella tecnica della “sgrammatura”?
Davvero non si accorgono che la confezione è più piccola?!?
Tra l’altro avevo letto che non era un tentativo di ingannare il produttore da parte delle case produttrici quanto ad un venire incontro alla nuova realtà di consumatori: famiglie sempre più piccole e aumento dei single per cui era preferibile confezioni più piccole per evitare sprechi di prodotto.
Se la sgrammatura è di pochi grammi non è certo pensata per la spesa dei single.
Io, personalmente, è da molto tempo cbe mi sono accorta di questo fenomeno… Le brioches, per esempio, di diverse marche distribuite nei supermercati sono diventate più piccole con il prezzo tuttavia invariato se non aumentato in molti casi… È vergognoso sapere che ancora ad oggi non sia stato fatto granché da parte degli organi competenti a tutela, come sempre, del povero cittadino!!
Gentile Dottor La Pira,
certo leggere quest’articolo con il claim di Barilla al bronzo è della serie “anche il Fatto Alimentare” tiene famiglia.
Significativa una trattazione di un tale argomento come questo senza un solo esempio o non richiamare la responsabilità diretta di produttori e distributori. Ci sono catene che OFFRONO frutta e verdura confezionata venduta al pezzo con peso fisso da 350 a 400 gr in promiscuità con quella sfusa.
Gentile Paolo, nell’articolo, scritto come tutti i nostri articoli in maniera indipendente, sono citati esempi di sgrammatura, ma nessun nome di azienda, quindi non avrebbe senso citare esclusivamente quello di Barilla. Inoltre, tenga presente che non ci siamo fatti problemi a citare, come esempio di sgrammatura, proprio il caso della pasta e questo esempio non sarebbe stato fatto se fossimo stati davvero condizionati dall’inserzionista.
Per i consumatori che comprano nei supermercati basta controllare il cartellino del prezzo praticato dal negozio stesso che riporta sempre il costo dell’unità al Kg., al lt., al pezzo, ecc.
ma infatti, dicono bene Dona e qui sopra Dionigi: guardare e memorizzare il prezzo al Kg. o al l..
Comunque nell’articolo si fa riferimento anche a un aspetto di emergenza sociale non più differibile, quello ambientale:
” Un altro aspetto della shrinkflation, spesso poco considerato ma rilevante, riguarda l’impatto ambientale di questa pratica. Ridurre il contenuto della singola confezione di un prodotto mantenendone inalterate le dimensioni esteriori significa aumentare la quantità di imballaggio e rendere meno ecologico il processo di confezionamento, lo stoccaggio e la mobilitazione della merce. Due confezioni di dimensioni ridotte sono più inquinanti di una sola confezione a grandezza standard perché a fronte di una minore grammatura di prodotto, si utilizza la stessa quantità di energia per il packaging, si produce più scarto di plastica, carta e altri involucri e si occupa spazio inutile nei container e nei camion utilizzati per il trasporto.”
Credo che qui potrebbero fare molto le grandi associazioni dei produttori, giocandosi un pò nel fare anche gl’interessi di una società più evoluta e più attenta ai problemi dell’inquinamento. E’ un auspicio.
a me sembra preoccupante questo punto toccato nell’articolo, specialmente oggi, nel terzo millennio iniziato da un pezzo:
“Un altro aspetto della shrinkflation, spesso poco considerato ma rilevante, riguarda l’impatto ambientale di questa pratica. Ridurre il contenuto della singola confezione di un prodotto mantenendone inalterate le dimensioni esteriori significa aumentare la quantità di imballaggio e rendere meno ecologico il processo di confezionamento, lo stoccaggio e la mobilitazione della merce. Due confezioni di dimensioni ridotte sono più inquinanti di una sola confezione a grandezza standard perché a fronte di una minore grammatura di prodotto, si utilizza la stessa quantità di energia per il packaging, si produce più scarto di plastica, carta e altri involucri e si occupa spazio inutile nei container e nei camion utilizzati per il trasporto.”
Io credo che su questo punto si potrebbero sollecitare ad agire le istituzioni; anche con una ferma sollecitazione ai produttori fatta dalle loro stesse associazioni.
Veramente di questa pratica io me ne ero accorto già almeno 20 anni fa, se non trenta, in Italia, per una nota marca leader nei saponi, P…., e non sono uno che di solito si preoccupa di verificare e confrontare sempre i prezzi di questi articoli e nemmeno degli alimenti, piuttosto guardo quasi sempre l’elenco ingredienti, ma talvolta, per vari motivi, questo stupido trucchetto è fin troppo evidente ed indispone alquanto.
Addirittura avevano cambiato la forma.
I primi erano panciuti, gonfi, a botte, insomma convessi… poi senza cambiare troppo le dimensioni, lo avevano reso più piatto, successivamente li hanno ridotti di spessore e poi scavati, fatti convessi, così nell’incarto non lo si poteva notare ad occhio.
200 g, poi 180 g, poi 160 g, poi 125 g, poi 100 g, poi 95 g…
Non acquisto più da anni quel sapone, non per ripicca, o non solo, anche perché ad un certo punto era calata anche la qualità, non avevano un odore piacevole e tra una cosa e l’altra mi ero davvero scocciato!
Ho trovati subito ottime alternative, di gran lunga migliori sul mercato austriaco e da anni sono soddisfatto della qualità e della loro piacevole leggera profumazione.
Tre tipi, tre marche.
A quanto pare nessuno si ricorda di quando le confezioni da 10 lastrine di chewingum Brooklyn erano rimasti uguali e a prezzo invariato ma le lastrine erano divenate 8… stiamo parlando degli anni ’70 quindi non c’è alcuna pratica nuova ma semplicemente l’espandrsi di una pratica abituale.
Come combatterla?
Un modo facilmente attuabile, tanto per cominciare, è la tassazione proporzionale allo “spazio vuoto” inutilmente presente nella confezione, già suggerito in passato per ragioni ecologiche (meno imballaggi da ricclare) ma che sembra non interessare ad alcuna associazione consumatori, figurarsi ai politici…
Eppure si prenderebbero due pesci con lo stesso verme, se diminuisci il peso ma lasci uguale e semivuota la confezione quello spazio vuoto lo pagherai in tasse che ti mangeranno il guadagno: e ti converrà adottare confezioni più piccole, con meno spreco di imballaggi e facilmente riconoscibili anche da parte di chi legge solo il cartellino del prezzo.