Basta guardare gli scaffali dei supermercati per notare la diffusione progressiva di nuove varietà. Anche per il riso, come per altri alimenti, stiamo infatti assistendo a una crescente diversificazione dell’offerta, che trova riscontro negli usi in cucina e in una migliore conoscenza gastronomica da parte dei consumatori. Come per il vino, per il quale non ci si accontenta più di scegliere tra bianco o rosso, anche per il riso s’iniziano ad apprezzare le tante diversità, non solo a livello di forma e di proprietà nutrizionali, ma anche di tipo gastronomico, come quelle che riguardano l’aroma o il profumo. Il riso è il cibo più consumato nel mondo, un cereale che nutre miliardi di persone in tutti i continenti, con un consumo pro capite mondiale di circa 65 chili. In Italia è arrivato da secoli, ma solo da un centinaio d’anni è di uso comune e ora circa la metà degli italiani lo mangia regolarmente, con una media di 5,5 chili all’anno.
Il nostro Paese è un buon produttore, soprattutto in termini di qualità. Nel Registro nazionale delle varietà sono presenti oltre 180 voci, commercializzate secondo la seguente classificazione (legge 131): Tondo, Medio, Lungo A, Lungo B. Tale suddivisione uniforma l’Italia alle norme europee e consente di introdurre anche i risi lunghi e sottili, tipo Basmati, detti “indica” (oggi Lungo B), che sono entrati in coltivazione nel nostro Paese solo a partire dalla fine degli anni ’80. La legge precedente (n.325 del 1958) non prevedeva la possibilità di classificare correttamente questi risi, che erano associati al superfino, insieme a quelli da risotto (oggi Lungo A). Per essere commercializzata con una denominazione distinta, comunque, ogni varietà deve avere caratteristiche specifiche da un punto di vista agronomico, fisiologico o merceologico. Si tiene anche conto delle dimensioni del granello, dell’aroma, del tempo di gelatinizzazione e del contenuto di amilosio, della texture e della collosità dopo la cottura. Questi ultimi caratteri si correlano alla consistenza, alla masticabilità e all’adesività dei chicchi tra loro, rappresentando qualità gastronomiche.
È difficile precisare il concetto di qualità del riso, che varia nei diversi paesi e culture e cambia nel tempo. Una certa ‘collosità’ è per esempio gradita, se non necessaria, per mangiare il riso con le bacchette o per un risotto ‘all’onda’ (tipico del Veneto e non solo), ma non per altre preparazioni. Anche il riso ‘al dente’ sembra un’abitudine relativamente recente. La qualità dipende inoltre da molte, se non da tutte, le fasi di produzione, iniziando dalla varietà genetica per passare al tipo di coltivazione e lavorazione e, non ultime, dalle preferenze e competenze gastronomiche del consumatore.
Oltre alla forma del chicco, alle sue dimensioni, al colore e al comportamento in cottura, la sua aromaticità o il profumo sono tra le caratteristiche oggi all’attenzione di cuochi, gastronomi e, sempre di più, dei consumatori, divenendo un nuovo elemento di scelta. I risi profumati o aromatici, prediletti in alcune aree dell’Asia dove vi è una raffinata gastronomia, sono sempre più apprezzati anche in Europa e in Italia, dove si stanno diffondendo. Tra le più importanti e note varietà di risi aromatici internazionali vi è il Basmati proveniente da India e Pakistan (con oltre 80 sottovarietà, delle quali 18 sono tipiche), il Sandri dell’Iran e il riso Khao Dok, del Mali del nord e della Thailandia. Anche l’Italia, dove l’aroma entra tra i caratteri valutati per l’iscrizione di una varietà nel Registro nazionale,è ricca di risi aromatici. Le varietà nostrane sono Apollo, Asia, Brezza, Elettra, Febo, Fragrance, Gange, Giano, Giglio, Iarim, Ermes (rosso) e Venere (nero).
In generale, le varietà aromatiche sprigionano un profumo simile a quello dei pop corn, che si libera soprattutto durante la cottura ma, in alcuni casi, è già riscontrabile persino durante la lavorazione. L’aromaticità dei risi è stata valutata con metodi sensoriali sui risi masticati, sull’aroma sviluppato nel corso della cottura o in seguito a trattamenti chimici e, più recentemente, è stata analizzata anche con ‘nasi’ elettronici. Le ricerche per stabilire l’origine dell’aroma sono iniziate dal 1965. Questo deriva da almeno un centinaio di composti, anche se un’importanza particolare è attribuibile a poche, o a una sola, molecola. Per i risi aromatici, la molecola che ha il ruolo principale, individuata nel 1982 da Ron Buttery e collaboratori, è la 2-acetil-pirrolidina (2AP). Percepita anche in quantità molto piccole, è contenuta in quantità 15 volte superiore nei risi aromatici rispetto a quelli non aromatici e diminuisce man mano che il riso invecchia.
Per rispondere allo stile di vita sempre più veloce e diversificato dei consumatori e soddisfare le esigenze salutistiche, le aziende italiane stanno da tempo puntando su un’offerta diversificata, con prodotti che vanno dal riso integrale al parboiled, dai preparati per risotti alle gallette e comprendono anche biscotti a base di riso, pasta di riso e cereali per la prima colazione. Ora si stanno aggiungendo all’offerta anche i risi aromatici, che riscuotono crescente interesse da parte dei consumatori più evoluti. Sono usati in cucina per preparazioni esotiche, per reinterpretare sotto una nuova luce le ricette tradizionali e, soprattutto, nella cucina creativa degli chef, che li impiegano per mettere in evidenza il loro particolare aroma, sfruttando anche, per alcuni di essi come il riso Ermes e Venere, i colori rispettivamente rosso e nero. Si tratta di una strada d’indubbio interesse per l’Italia, che è ricca di varietà e che, sul piano delle produzioni alimentari, non può competere sulla quantità, ma certamente può farlo sulla qualità.
© Riproduzione riservata; Foto: AdobeStock, Chiara Manzi
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Professore Emerito dell’Università degli Studi di Parma e docente nella Facoltà di Medicina Veterinaria dal 1953 al 2002
Ma dal 2016 la classificazione del riso in Italia non è cambiata? Granì tondi, medi, lungo a, lungo b…non mi sembra ci sia più fino, super fino… magari sbaglio?
l’unico problema è il costo, veramente troppo alto per del riso…anche se particolare….
Avrei gradito dal prof. un cenno anche a uno dei problemi emergenti nella coltivazione, e cioè l’assorbimento di arsenico; che negli ultimi decenni ci ha spinto a consumarlo meno frequentemente.
Sono state anche rilevate delle differenze quantitative sulla presenza di questo elemento (assorbito dal terreno) in base alla varietà e al modo di cucinarlo. Mentre non mi risultano delle informazioni sull’assorbimento di arsenico da parte di queste varietà aromatiche.