All’arrivo dall’Americhe nel XVI secolo le “sorelle” solanacee del tabacco (Nicotana tabacun): patata (Solanum tuberosum), peperone (Capsicum anuum) e pomodoro (Solanum lycopersicum) non sono bene accolte, come nel VII secolo non lo era stata la loro “cugina” asiatica melanzana (Solanum melongena). Il pomodoro è considerato velenoso perché somiglia all’erba morella e Costanzo Felici (1525 – 1585) nel 1568 scrive “Al mio gusto è più presto belle che buono”. Un secolo dopo lo svizzero Theodor Zwinger (1658 – 1724) nel suo erbario “Theatrum Botanicum” (1696) considera una stranezza che in Italia ci si nutra di pomodori, benché sia un alimento “malsano” e la cattiva fama del pomodoro continua per tutto il XVIII secolo quando Carl von Linné (1707 – 1778) nel 1753 lo denomina Solanum lycopersicum o pesca dei lupi. Inaspettatamente nel XIX secolo per il pomodoro in modo quasi improvviso tutto cambia.
Nelle campagne di Parma nella seconda metà del secolo XIX le contadine conservano i pomodori dei loro orti bollendone la polpa in bottiglie e i contadini con la polpa di pomodori essiccata al sole producono pani neri. Questa produzione familiare avrebbe indotto Carlo Rognoni (1829 – 1904) a portare il pomodoro dall’orto al campo e da qui la nascita delle sempre più numerose fabbriche che trasformano il pomodoro in altre forme di concentrato. Nello stesso periodo Francesco Cirio (1836-1900) nel 1875 costruisce in Campania il primo impianto per la lavorazione del pomodoro perché “Allorquando l’uso del pomidoro viene introdotto in una cucina qualunque, difficilmente quella famiglia s’induce a privarsene, ed è perciò che vediamo ogni dì aumentare la coltivazione di questo prezioso frutto, la di cui proprietà come condimento essendo così generalmente apprezzata, si pongono in pratica ogni sorta di mezzi per conservarne la sostanza, onde servirsene nell’inverno.”
A sua volta Pellegrino Artusi (1820 – 1911) nel ricettario “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” (1891) racconta di Don Pomodoro per indicare che i pomodori entrano da per tutto e afferma che “una buona salsa di questo frutto sarà nella cucina un aiuto pregevole.” Adesso la produzione mondiale di pomodoro supera i centottanta milioni di tonnellate e riguarda quasi ogni paese del mondo, con in testa Cina, India, Stati Uniti.
Quali sono i motivi del cambiamento del pomodoro che da cibo malsano diviene pregevole del quale è difficile privarsi, con un successo che interessa ogni cucina e gastronomia mondiale? Il pomodoro è costituito prevalentemente da acqua (94,2 %), pochissime proteine (1,2 %) e grassi (0,2 %), limitate quantità di carboidrati (2,8 %), zuccheri (2,8 %) e fibra (1 %), piccole quantità di vitamine (B1 0,03 mg, B2 0,03 mg, B3 0,7 mg, A 42 µg, C 21 mg per etto). Non ha pregi nutrizionali tali da giustificare che sia una delle specie orticole più diffuse al mondo, presente in tutte le cucine e in una infinità di piatti caldi e freddi di paste, carni, pesci, sughi, marmellate, canditi, cocktail, con un successo che precede le recenti ricerche sulle sue attività nutraceutiche. Il successo del pomodoro è da riferire alla simultanea presenza e interazione delle sue quattro virtù di essere bello, buono e doppiamente bravo.
Prima virtù del pomodoro è la bellezza rossa con un colore sufficientemente stabile con la cottura e che permette anche ai più poveri di creare salse o aggiungerlo con qualche frattaglia o poca carne per imitare i sughi ottenuti dalla rara e preziosa carne. Seconda importante virtù è l’essere buono e di traferire questa sua bontà ad altri cibi perché più di ogni altro ortaggio ha la più alta concentrazione di acido glutammico con il gusto umami e contiene il 5′-adenosin mono-fosfato (AMP) stimolatore del gusto umami (Maria-Jose Oruna-Concha e coll. – J. Agric. Food Chem., 55 (14), 5776 -5780, 2007). Questa bontà giustifica la sua presenza nelle cucine americane precolombiane e il suo straordinario successo in tutte le cucine del mondo. Terza virtù è di essere bravo nella conservazione agevolata dalla sua acidità dovuta agli acidi organici (acido citrico, malico, succinico, gluteninico e ossalico) che contiene. Quarta virtù è di essere ottimo nelle tecniche di cucina per il suo buon potere emulsionante, perché contiene pectine, cellulosa, emicellulosa e lignina dando compattezza alle salse e condimenti incorporando oli e grassi.
Il grande successo del pomodoro nelle cucine di tutto il mondo risiede quindi nell’avere contemporaneamente le quattro virtù dell’essere bello per il colore rosso che imita quello della carne, buono con il suo spiccato gusto umami potenziato dall’AMP, ottimo nella conservazione e nelle tecniche di cucina.
Articolo publicato sul sito dell’Accademia dei Georgofili
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Professore Emerito dell’Università degli Studi di Parma e docente nella Facoltà di Medicina Veterinaria dal 1953 al 2002
Il problema è che nonostante le tante varietà di pomodori, sono pochissime quelle commercializzate; a memoria ricordo i cosiddetti ramati (quelli della foto del servizio, mi pare), i cuori di bue e quelli che molti definiscono oblunghi. Poi quasi basta.
Il mio gusto personale non mi fa apprezzare i cuori di bue ma ricordo varietà di pomodori molto gustose e che ora non trovo più, in nessun mercato. Preciso che abito a Milano.
Probabilmente è più economico coltivare poche varietà, ma la perdita di gusto è tanta.
Ricordo anch’io dei sapori scomparsi. C’erano dei pomodori che avevano un sapore un po’ garbo che però davano un sapore eccezionale al sugo per condire la pasta ed erano ottimi anche conditi. Sono anni che li cerco senza esito. Purtroppo non sono esperto da saper dire anche il nome specifico ma probabilmente le scelte di mercato hanno indirizzato verso altre qualità