Ma è davvero possibile prendere il Covid-19 dai surgelati? Sì, secondo la Cina, che è arrivata addirittura a suggerire, più o meno apertamente, che ci siano stati proprio degli alimenti congelati provenienti dall’estero all’origine del primo focolaio di Wuhan, quello che ha fatto conoscere il Sars-CoV-2 a tutto il mondo. Una teoria che ha ripreso vigore dopo la presentazione dello scorso 9 febbraio dei primi risultati dell’indagine sulle origini del virus del team di scienziati dell’Oms, secondo cui “sarebbe interessante esplorare” la possibilità della trasmissione via cibi surgelati. Eppure le principali istituzioni sanitarie e per la sicurezza alimentare di tutto il mondo, tra cui la stessa Oms, la ritengono un’eventualità improbabile.
La teoria ha preso piede nell’ottobre 2020, quando un focolaio scoppiato nella città di Tsingtao è stato ricondotto a due lavoratori portuali che si erano ammalati di Covid-19 alla fine di settembre. Durante le indagini di tracciamento, i Centri per il controllo delle malattie (Cdc) cinesi hanno rilevato la presenza su cibi surgelati importati di Sars-CoV-2 vitale. Questa scoperta è stata considerata dalla Cina una prova della possibilità che il coronavirus possa trasmettersi su lunghe distanze attraverso la catena del freddo.
Secondo un report dei Cdc cinesi pubblicato l’8 gennaio 2021, tra l’inizio di giugno e la fine del 2020 il materiale genetico del coronavirus è stato individuato sulla superficie e sulle confezioni di alimenti congelati importati in 18 province, che nel mese di gennaio sono poi salite a 21. In tre di esse, secondo le autorità sanitarie locali, si sono verificati piccoli focolai che “sono stati fatti risalite alla trasmissione originata da lavoratori delle celle frigorifere del porto, stabilimenti di lavorazione di prodotti ittici, e mercati legati ad alimenti importati della catena del freddo”. Sono risultati positivi all’RNA virale: salmone, gambero bianco, lofiformi, filetti di merluzzo, pesce coltello, manzo, stinco di maiale, ali di pollo e carne di maiale.
A rinforzo della propria teoria, i Cdc cinesi citano i numerosi focolai di Covid-19 scoppiati nella filiera alimentare occidentale, in particolare negli impianti di lavorazione della carne, dove si sono verificati importanti cluster di contagio a partire da aprile 2020, soprattutto negli Stati Uniti, in Canada, Brasile e Germania. Secondo le autorità sanitarie cinesi, lavoratori positivi al virus potrebbero aver inavvertitamente contaminato gli alimenti o le confezioni e questi prodotti, dopo un viaggio di centinaia o migliaia di chilometri a basse temperature, potrebbero aver innescato i focolai.
“A luglio 2020 la Repubblica Popolare Cinese ha comunicato ai Paesi che esportano alimenti in Cina di essersi dotata di Linee Guida per il mercato interno atte a prevenire la contaminazione di Sars-CoV-2 negli alimenti. – spiega a Il Fatto Alimentare Gianfranco Brambilla, del reparto Sicurezza microbiologica degli alimenti e malattie a trasmissione alimentare dell’Istituto superiore di sanità. – È seguito l’invito alle ditte che hanno rapporti commerciali di adottare analoghe linee guida, in quanto le verifiche si sarebbero applicate anche alle derrate in ingresso.”
“Tali linee guida – prosegue Brambilla – oltre alle norme di prevenzione del contagio in ambienti di lavoro, prevedono una check list su attività e auto-controlli da effettuare negli ambienti di lavoro, per evitare la contaminazione di superfici e oggetti con cui la derrata alimentare viene a contatto. Il razionale si basa sulla elevata persistenza del genoma virale nell’aria di ambienti freddi, umidi, e sulle superfici di acciaio, in presenza di ricircolo di aria senza ricambi superiori almeno al 30% per ora.”
In seguito a questi blocchi “Brasile, USA, Unione Europea si sono rivolti al WTO (Organizzazione mondiale del commercio, ndr) nell’ottobre 2020 indicando che tale pratica messa in atto dalla Repubblica Popolare Cinese vìola gli accordi internazionali del trattato SPS (*), in quanto la rilevazione di genoma virale (pericolo) quale contaminazione superficiale dei prodotti alimentari e dei loro involucri non ha evidenze che sia associato a rischio sanitario di contagio e trasmissione malattia. Infatti, al momento attuale la presenza di saggio positivo alla RT-PCR non è stata mai associata all’isolamento del vibrione e alla presenza di carica infettante.”
Sia il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc), che Oms e Fao, spiega Brambilla, recentemente hanno rilasciato pareri in merito al rischio sanitario dato dalla presenza di genoma virale sugli imballaggi, involucri e superficie di alimenti, che secondo le tre istituzioni risulta essere “insussistente/trascurabile”. Chi avrà ragione?
(*) Nota: L’accordo per l’applicazione di misure sanitarie e fitosanitarie (Sanitary and Phitosanitary Measures Agreement) è un trattato dell’Organizzazione mondiale del commercio che impone degli obblighi ai Paesi membri in merito alla sicurezza alimentare di prodotti importati
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[sostieni]
Giornalista professionista, redattrice de Il Fatto Alimentare. Biologa, con un master in Alimentazione e dietetica applicata. Scrive principalmente di alimentazione, etichette, sostenibilità e sicurezza alimentare. Gestisce i richiami alimentari e il ‘servizio alert’.
Chiaro tentativo da parte cinese di spostare l’attenzione all’esterno del paese.
un po’ come il “greenwashing” delle compagnie petrolifere
Alberto Tadini giusto! e così mentre noi ci affrettavamo a scrivere nei nostri decaloghi anti covid “i prodotti made in china ed i pacchi provenienti dalla cina non sono pericolosi, loro (che nessuno mi toglie dalla testa essere con i loro discutibili “stili di vita” i generatori e propagatori di questo disastro del quale qualcuno dovrebbe chiedere conto) ci tirano fuori questi studi che ci mettono all’angolo
Paolo: condivido, però più che metterci all’angolo direi prenderci per i fondelli…
Buongiorno.
Il vero problema – secondo me – non è tanto che i cinesi ci mettano all’angolo quanto, piuttosto, che sia l’Occidente stesso a lasciarsi mettere all’angolo dalla Cina.
In altre parole l’Occidente, per convenienza, perché non vuole inimicarsela, perché ci sono degli interessi economici da salvaguardare, o perché ha paura di una reazione cinese, lascia che la Cina faccia e dica tutto quello che vuole, sia all’interno dei suoi confini (senza che nessuno condanni troppo apertamente i suoi metodi repressivi, in barba al rispetto dei diritti umani) sia fuori, quando essa occupa paesi confinanti che invece vorrebbero essere liberi e indipendenti o quando rivendica il controllo di zone di mare che, in realtà, altri stati considerano proprie. Per non parlare dell’Africa, in cui la Cina si è infiltrata quasi senza ostacoli, anche con metodi controversi.
E la Cina non si fa troppi problemi sulle questioni ambientali, sullo sfruttamento delle risorse naturali o sulla pericolosità di certi suoi allevamenti intensivi! Tutte cose che possono anche essere veicolo – lo abbiamo sperimentato sulla nostra pelle – di nuovi virus e malattie. Altri ne arriveranno, prima o poi, ma state certi che anche per quelli la colpa sarà del nostro salmone surgelato!
La Cina, nel villaggio globale che è il nostro pianeta, è un po’ – secondo me – come quei bulli di paese grandi e grossi, di cui tutti hanno paura, e ai quali si lascia dire e fare un po’ tutto per quieto vivere. Siccome sono più grandi di te, stai zitto e subisci.
L’abbiamo corteggiata per troppo tempo, abbiamo spostato le nostre fabbriche là smantellando tutte le nostre infrastrutture produttive, tanto da non poter nemmeno disporre di mascherine e altri beni di prima necessità, quando ci servivano urgentemente all’inizio della pandemia, perché ormai prodotti solo in Cina.
Però ci beiamo del fatto che noi siamo ancora i padroni del design, dell’idea. Le cose ormai non le produciamo più, e non abbiamo più le fabbriche, però le pensiamo! Bella soddisfazione! Ma quanto durerà ancora?
La Cina ha taciuto all’inizio sul virus, avvertendo con ritardo il resto del mondo. Però ci ha mandato le mascherine che ci mancavano, dicendo che “Siamo onde dello stesso mare, foglie dello stesso albero, fiori dello stesso giardino”… Oh, quanta poesia!
La verità è che bisognerebbe avere il coraggio di troncare certi rapporti economici con la Cina, per indurla a cambiare atteggiamento, perché forse solo in quel modo possiamo colpirla in un suo punto sensibile. Ma nessuno sembra davvero averne voglia.
E così lasciamo che il suo cappio si stringa sempre di più intorno al nostro collo… come la gallina che viene bollita in pentola alzando la fiamma lentamente, senza che se ne accorga.
Alberto: completamente d’accordo, hai descritto benissimo.
Fra un po’ arriverà anche il Prosciutto di Pechino, il Parmesan di Shanghai e gli spaghetti di Canton.
Per la moda, con il gusto nel vestiario dei cinesi, la vedo ancora difficile, ma non si sa mai! ☺
Il problema più grande è che queste risposte da virologi o economisti e che sono risposte da terza media serale. Come da un anno ormai.