Tra il 26 gennaio e il 10 febbraio del 2020 dieci persone di tre nuclei familiari, che avevano tutte mangiato in un ristorante di Guangzhou, in Cina, si sono ammalate di Covid-19. La vicenda – una delle prime a essere documentata con tutti i particolari, e già oggetto di alcuni studi – è tornata al centro dell’interesse di un gruppo di ricercatori dell’Università del Minnesota, negli Stati Uniti, che hanno approfondito le modalità di trasmissione del coronavirus via aerosol (goccioline più piccole delle droplets, che proprio perché leggerissime restano sospese in aria molto più a lungo) in uno studio appena pubblicato su Physics of Fluids.
In base a quanto riscontrato, è piuttosto evidente che una grande responsabilità nel contagio avvenuto in quel ristorante, come in tutti gli ambienti chiusi con caratteristiche simili, ce l’ha avuta il sistema di condizionamento dell’aria, insieme alla mancata adozione di opportune misure preventive.
Per definire meglio la situazione, i ricercatori americani hanno introdotto nelle simulazioni un gran numero di variabili relative alla circolazione dell’aria forzata data dai condizionatori. Gli autori hanno sovrapposto i movimenti d’aria con quello degli aerosol emessi dalle persone (infette e non), includendo i parametri relativi alla turbolenza, al movimento dell’aerosol nei flussi d’aria, agli effetti termici e al sistema di filtraggio.
Il risultato è un video abbastanza impressionante, che illustra molto bene cosa è successo ma, soprattutto, fa capire perché i luoghi chiusi con più persone restano quelli più a rischio di contagio, e quanto sia difficile evitare di entrare in contatto con gli aerosol, se è presente un individuo che li emette (anche asintomatico, ovviamente).
Le simulazioni hanno mostrato l’estensione delle interazioni tra l’aria condizionata, gli aerosol e i clienti, e hanno anche fatto emergere due tipi di diffusione a cui spesso non si pensa: quello dal basso, sotto i tavoli, attraverso il quale le goccioline tendono a salire per differenze di temperatura dal pavimento verso l’alto, depositandosi su mani e gambe del cliente, e quello che arriva dall’interno dei condizionatori, che incamerano aria e aerosol e poi la rispediscono fuori.
Ciò che può fare la differenza, scrivono gli autori, è un sistema di protezione delle zone basse dei tavoli, che impedisca alle goccioline di risalire, e naturalmente un condizionamento che tenga presente del flusso dell’aria, in base alle caratteristiche del ristorante. Bisognerebbe, cioè, che l’impianto fosse progettato e realizzato solo dopo aver studiato attentamente il comportamento dell’aria e degli aerosol in ogni specifico ambiente, oltre, naturalmente, che il suo funzionamento e la sua efficienza di filtrazione fossero tenuti costantemente sotto controllo.
Non stupisce, quindi, che in tutto il mondo le autorità sanitarie siano estremamente restie a concedere all’apertura dei ristoranti con i tavoli all’interno.
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Giornalista scientifica
Basta non usare condizionatori dell’aria e passa la paura… strano però che nessuno parli delle spore fungine che sono molto più tossiche del virus del raffreddore. Ricordo che la legionella venne rinvenuta nel 1972 negli usa proprio all’interno dei condizionatori presenti negli ospedali.
In Italia abbiamo l’usanza e la fortuna di poter mangiare all’aperto per la gran parte dell’anno, tra tavoli esterni, chiostri e tavoli sui marciapiedi … basterebbe quindi agevolare e consentire solo i tavoli all’aperto. Nel 2020, almeno nella città di Roma dove vivo, sono state rilasciate licenze per l’approntamento di “piattaforme” fuori dai bar e ristoranti per consentire il posizionamento di tavoli e tavolini. Ma, nonostante questo e nonostante la spesa sopportata dai ristoratori, si è comunque chiuso tutto indiscriminatamente. Riguardo ai condizionatori, basta manutenerli bene (cosa che bisognerebbe fare sempre …), accenderli solo quando necessario ed indirizzare il flusso d’aria verso il basso, onde evitare risalite…