Negli Usa c’è crisi anche nella vendita dei soft drink, e le aziende corrono ai ripari. Senza svelare troppo le proprie strategie commerciali, i colossi mondiali delle bevande gassate e zuccherate si stanno riorganizzando, per reagire al crollo delle venditea che si registra soprattutto negli Stati Uniti. La tendenza è causata in gran parte delle norme che impongono di lasciare fuori dalle scuole lattine e bottigliette di “soda” e dalla sensibilizzazione crescente verso i danni arrecati da queste bevande. Lo riferisce il New York Times, in un lungo articolo che inizia raccontando la nuova frontiera di scuole e college: il divieto assoluto di introdurre nel perimetro dei campus le bevande zuccherate e gassate e l’obbligo, per tutti, di lasciarle ai cancelli, come fossero armi. Il motivo – spiegano alcuni soprintendenti scolastici intervistati dal quotidiano – è semplice: non si può vietare la vendita attraverso i distributori e poi consentire che i ragazzi passeggino sorseggiando lattine portate da fuori, è un nonsense.
Oggi la maggior parte delle scuole permette la vendita, tanto nei distributori quanto nelle caffetterie, di succhi di frutta, sport ed energy drink e acqua, ma proibisce espressamente quella delle bevande zuccherate e gassate, e i divieti si stanno estendendo a macchia d’olio. Il risultato si vede: rispetto all’anno di massima espansione dei consumi, il 1998, le vendite sono crollate del 16%, secondo quanto riportato dalla più autorevole rivista di settore, Beverage Digest, e il fenomeno sta vistosamente accelerando.
Per questo Coca Cola e Pepsi Cola stanno sviluppando l’offerta di bevande sportive ed energy drink (che possono avere un tenore di zuccheri uguale se non superiore alle “soda”, oltre a caffeina e ad altri ingredienti non sempre salutari) e acque minerali (acquisite tramite l’assorbimento di aziende grandi e piccole conosciute magari per un solo brand). In parallelo stanno aumentando i prezzi dei marchi più noti e differenziando le proposte dei formati, per sfruttare al massimo l’amore degli irriducibili e scaricare su di loro i costi del calo dei consumi.
Così ha fatto la Pepsi Cola, che per decenni ha affidato il suo destino prima alla Pepsi, poi (nel 1974) alla Slice e, dal 1986, anche alla 7Up e a una birra, la Mug Root Beer, aggiungendo le versioni diet ai marchi più di successo. Nel 1992 per la prima svolta: l’azienda ha stipulato un accordo con la Lipton per vendere in esclusiva tè freddi. Negli anni seguenti ha aggiunto all’offerta bevande non presenti in Italia ma popolarissime negli Stati Unit,i come Aquafina, SoBe e Sierra Mist, per lo più non addizionate di anidride carbonica, per arrivare a Gatorade e Tropicana, anch’esse non gassate.
La Coca Cola ha seguito un percorso analogo, affiancando ai nuovi prodotti una grande diversificazione dei formati. Per molti anni ha venduto la sua bevanda più amata in otto formati, dalla confezione da sei lattine da otto once alle bottiglie da due litri. Oggi i formati sono raddoppiati, e spaziano dalla confezioni da 32 lattine, per gli ipermercati, alle mini-lattine da sei once. Oltre a ciò, Coca Cola, Pepsi Cola e altri grandi produttori si stanno scatenando sul versante dei dolcificanti, cercando prodotti con meno calorie e lo stesso gusto, incuranti degli allarmi crescenti sull’assunzione eccessiva di queste sostanze, già sconsigliate a bambini e donne in gravidanza e sospettate di essere all’origine di varie patologie, oltre a vanificare gli sforzi per una corretta educazione alimentare.
Ma la questione – sottolineano diversi nutrizionisti – è capire qual è il cambiamento in corso, e se siamo di fronte alla scelta irreversibile di nonbere più queste bibite durante i pasti. L’altra ipotesi è che l’industria sta cercando di spostare i consumi verso bevande percepite in modo diverso ma altrettanto pericolose dal punto di vista del sovrappeso e delle patologie a esse collegate. «Questa è la prossima frontiera da conquistare» ha per esempio sottolineato Margo Wootan, direttrice del settore politiche nutrizionali di uno degli enti, da anni, in prima linea contro le bevande zuccherate, il Center for Science in the Public Interest. «Ciò che sta avvenendo è importante perché le “soda” sono la fonte principale di finte calorie superflue e da esse assumiamo una quantità di calorie che non prendiamo da nessun’altra categoria di alimenti quali la pizza, i dolci, gli hamburger» ha spiegato al New York Times. «Tuttavia stiamo rimpiazzando questi drink con altri che contengono la stessa quantità di zucchero e, spesso, caffeina».
Non solo. Come ha sottolineato Harold Goldstein, capo del California Center for Public Health Advocacy, «le aziende tendono ad attribuire alle nuove bevande qualità salutistiche che non possiedono, anzi: spesso i drink addizionati contengono anche sali in eccesso, oltreché grandi quantità di zucchero, eppure il messaggio passa e le persone credono di bere qualcosa di sano”. La guardia va tenuta sempre alta, e la guerra contro le calorie liquide inutili è tutt’altro che vinta. Si potrà considerare tale, forse, quando si tornerà alla sola acqua come accompagnamento ideale dei pasti e a relegare questo tipo di bevande al ruolo che avevano quando sono state introdotte, ossia quello di prodotti che vanno bene se consumati in modo occasionale, una volta ogni tanto e non in quantità eccessive.
Agnese Codignola
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