Sulla base di dati esagerati e privi di un supporto statistico, molti giornali invitano i consumatori a sprecare di meno. Si ripete che ogni famiglia durante le feste getta nella spazzatura l’equivalente di 60-70 euro di cibo, e che gli sprechi sono un’abitudine difficile da sostenere in un periodo di crisi. Per questo motivo si invita ad evitare gli avanzi e ad osservare con attenzione la data di scadenza, proponendo improbabili estensioni o restrizioni. Il discorso è delicato perchè la scadenza, tranne per il latte e le uova fresche dove esistono precisi limiti di legge, viene stabilita dai produttori in base al tipo di materia prima, al trattamento di conservazione, alle condizioni climatiche e ad altri elementi.
In questa rincorsa ai consigli anti-spreco ci sono anche delle sviste grossolane, come quella del quotidiano La Stampa di qualche mese che indica la scadenza del latte fresco dopo 5 giorni (errore ripetuto anche il 9 gennaio sul Corriere della sera). In realtà il latte fresco tenuto in frigorifero a +4°C, scade 7 giorni dopo il confezionamento (6 giorni+1) come indicato sull’etichetta. Una volta aperta la bottiglia va consumato entro 3-4 giorni e in ogni caso prima della scadenza. Gli addetti ai lavori lo bevono anche 1-2 giorni dopo la scadenza, ma questo si può fare quando le temperature di conservazione sono rispettate lungo tutta la filiera. Se invece la conservazione è scorretta allora il latte si può alterare prima dei 7 giorni e lo si avverte dal sapore acidulo.
Un altro esempio interessante riguarda la ricotta. La durata fissata dai produttori oscilla da 3 a 4 settimane, ma a volte, quando si consuma il prodotto prima di questo intervallo, si avverte un sapore acidulo perché il vasetto è rimasto in frigoriferi a temperature elevate. La stessa cosa capita per i formaggi molli freschi come: stracchino, crescenza, robiola….. Questi latticini si conservano per 6-7 giorni se nel frigorifero la temperatura è compresa tra 0°C a 3°C, ma l’intervallo dimezza se il termometro sale a 3 – 5°C .
Un altro esempio interessante riguarda il pesce fresco. Il sito Eurofishmarket.it in risposta ad alcuni articoli che accusavano il pesce “vecchio” di 3 giorni di causare intossicazioni alimentari, spiega perché queste affermazioni creano solo allarmismo.
La legge non obbliga i produttori ad indicare sull’etichetta la data di cattura e per valutare la freschezza del prodotto bisogna verificare l’indice di freschezza in base alle caratteristiche tipiche della specie (vivacità dell’occhio e della branchia, rigidità cadaverica, presenza/assenza di muco, elasticità delle carni, odori anomali, facilità di sfilettamento ed eliminazione delle spine che più semplice nei prodotti con più giorni).
Ma questo è solo un primo elemento, poi bisogna acquisire altre informazioni sul metodo di cattura e di conservazione perché i pesci comprendono un’infinità di specie e non è possibile fissare una “data di scadenza” orientativa a priori. Gli altri fattori da considerare sono:
1) la specie (la triglia mediterranea è molto delicata e dopo tre giorni presenta un decadimento evidente dei valori sensoriali, mentre una branzino si conserva benissimo ben oltre i 3 giorni);
2) il metodo di pesca (un merluzzo o un pesce spada pescato all’amo non subiscono traumi durante la cattura e si conservano più a lungo rispetto ad un merluzzo o ad uno spada catturati con le reti).
3) la gestione del prodotto prima della vendita (il tipo di confezionamento in cassetta e il sistema di mantenimento della catena del freddo incidono molto sulla scadenza).
In ogni caso se il pescato viene mantenuto ad una corretta temperatura di refrigerazione, dopo 3 giorni non causa intossicazioni ne tanto meno avvelenamento … piuttosto il gusto sarà penalizzato e il valore nutritivo risulta minore. Il discorso invece cambia se il pesce è gestito in modo scorretto da un punto di vista igienico e non si rispetta la catena del freddo.
Non ci sono invece problemi per i cibi confezionati che si mantengono 1-2 anni. Se la conservazione è stata fatta correttamente e l’igiene è stata rispettata il consumo di alimenti scaduti da due tre mesi non comporta alcun rischio sanitario.
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Giornalista scientifica