Circa il 9% del latte bevuto in Africa arriva da una cammella, e in aree molto estese, soprattutto dell’Africa orientale, i camelidi rappresentano la fonte quasi esclusiva di latte. In questo stesso continente, però, spesso non è possibile avere accesso a un frigorifero, e si devono fare i conti con condizioni di igiene tutt’altro che ottimali: un insieme di condizioni molto pericolose.
Il latte infatti fermenta spontaneamente per le temperature esterne, e viene venduto sia crudo che come prodotto fermentato nei mercati locali. Ma oltre ai batteri responsabili delle fermentazioni, si moltiplicano anche quelli patogeni, e il risultato è che ogni anno muoiono, per tossinfezioni alimentari che in altri paesi non si verificano se non eccezionalmente, e che quasi sempre, in quegli stessi paesi, sono curabili, non meno di 137.000 persone.
Per migliorare l’utilizzo del latte di cammella, preservando e anzi valorizzando una risorsa locale molto importante, i ricercatori dell’Università tecnica di Danimarca di Copenaghen, insieme con quelli dell’Università Haramaya dell’Etiopia, con l’aiuto dell’agenzia per lo sviluppo e la cooperazione DANIDA e dell’azienda che produce materie prime alimentari Chr.Hanses hanno portato avanti un progetto durato cinque anni, con missioni sul campo, e ora giunto alla pubblicazione dei risultati finali, sull’International Dairy Journal.
In sintesi, i ricercatori hanno scoperto nuovi ceppi di batteri naturalmente presenti in questo particolare latte (Lactococcus lactis) e hanno dimostrato che una loro coltura liofilizzata, se utilizzata come base per la fermentazione, riesce a renderlo più acido e a uccidere quasi tutte le specie potenzialmente patogene presenti tra le quali diversi ceppi di escherichia coli, salmonelle e klebsielle.
La pratica non è nuova: esistono già in commercio basi ottenute dal latte di mucca, ma sono molto meno efficaci rispetto a quelle provenienti dallo stesso latte che si vuole sterilizzare. I fermenti di cammella, inoltre, rendono molto bene: è stato calcolato che da quelli ricavati da 5 litri di latte si possono mettere al sicuro mezzo milione di litri di latte fermentato. Resta la raccomandazione di scaldare o bollire il latte di cammella anche prima di trattarlo con questi fermenti ogni volta che è possibile, in modo da avere un materiale di partenza non troppo contaminato.
Se i liofilizzati di Lactococcus diventassero prodotti a basso costo e a elevata diffusione, l’incidenza di infezioni potrebbe diminuire, e probabilmente diminuirebbe, in molti paesi africani, la necessità di comprare latte vaccino importato. Il nuovo cocco, inoltre, potrebbe risultare utile anche in altre fermentazioni.
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Giornalista scientifica