C’è un metallo pesante con cui ciascuno di noi entra a contatto a causa del fumo di sigaretta (attivo e passivo), delle contaminazioni dei terreni e delle acque e, quindi, anche della catena alimentare. Si tratta del cadmio, riconosciuto come cancerogeno, mutageno (con effetti dannosi sul DNA) e teratogeno (capace cioè di danneggiare lo sviluppo di un feto). È una sostanza da non sottovalutare, la cui assunzione negli ultimi anni, è andata aumentando via via che in occidente si diffondeva la moda del sushi e le alghe diventavano un’alternativa ad altri vegetali.
Le alghe sono oggi consumate soprattutto nei ristoranti e nei cibi giapponesi e orientali in genere, ma sono anche presenti in molti integratori o vengono assunte come verdura. Purtroppo possono contenere cadmio in quantità elevate, perché lo assorbono dalle acque in cui crescono e poi tendono a concentrarlo, così come fanno con altri metalli pesanti quali l’arsenico e il piombo. Per questo, secondo l’Agenzia per la sicurezza alimentare francese (Anses) è giunto il momento di stabilire valori soglia stringenti evitare attraverso il consumo, un pericoloso accumulo.
Il documento dell’Anses parte da un dato preoccupante: in più di un quarto dei 250 campioni di alghe non lavorate analizzati è stato rinvenuto cadmio in quantità superiori a quelle massime raccomandate, cioè 0,5 milligrammi per chilo (concentrazione stabilita dal Consiglio superiore di igiene pubblica di Francia). La Direzione generale per la concorrenza e la repressione frodi ha pertanto chiesto all’Anses di definire le nuove quantità massime nelle alghe destinate all’alimentazione umana. L’Agenzia ha stilato le raccomandazioni, premettendo che l’Europa sta considerando la possibilità di definire i valori massimi di cadmio, piombo e arsenico nelle alghe.
Tenendo conto dell’assunzione media di cadmio relativa alla dieta dei francesi, la soglia dovrebbe essere abbassata a 0,35 milligrammi per chilo di prodotto secco. Ciò permetterebbe, nel 95% dei casi, di non oltrepassare la dose giornaliera massima.
Il contributo delle alghe alla quantità giornaliera di cadmio che una persona assume è molto significativo: tenendo la soglia a 0,35 mg/kg, passerebbe dall’attuale 19% all’11,5%, arrivando quasi a dimezzarsi. Se invece la dose rimanesse quella attualmente consigliata, ma non obbligatoria, di 0,5 mg/kg, il contributo sarebbe intermedio, e pari al 15,5%.
Proprio perché al momento non ci sono norme specifiche, l’Anses invita il governo e le autorità competenti a definire il dosaggio massimo, sempre tenendo presente il fattore accumulo, e a stabilire le modalità di analisi standard del prodotto secco. Inoltre ritiene sia indispensabile condurre uno studio dettagliato delle nuove abitudini alimentare dei francesi, al fine di capire meglio quante alghe realmente consumano e quali sono le quantità da non superare per i diversi tipi di micro e macroalghe rosse, brune o verdi. È noto che le alghe più a rischio sono le macroalghe brune e rosse, usatissime nei piatti giapponesi come la wakame e la nori. Infine, l’agenzia ricorda che è meglio evitare di assumere più di un alimento che possa contenere metalli pesanti come accade, per esempio, con il riso, che può contenere arsenico, consumato spesso con l’alga fusiforme Hijiki Hizikia.
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Giornalista scientifica