Da almeno una trentina d’anni una nuova classe di composti è entrata a far parte della lista degli ingredienti degli alimenti industriali. Si tratta di composti spesso già utilizzati, ma proposti in versione nano, cioè in particelle di dimensioni molto piccole (al di sotto di 100 nanometri, ovvero 100 miliardesimi di metro) che, proprio in ragione di ciò, hanno caratteristiche chimico-fisiche del tutto particolari, e spesso positive dal punto di vista della realizzazione e conservazione dei cibi. Nel tempo, però, sono stati avanzati dubbi sulla loro innocuità, proprio perché il comportamento è diverso da quello delle stesse sostanze quando sono utilizzate in dimensioni più grandi, e perché le conseguenze di tali differenze per l’organismo non sono del tutto note. L’Agenzia per la sicurezza alimentare francese, l’Anses, si è occupata varie volte del tema a partire dal 2006, e ci torna ora con un aggiornamento.
Innanzitutto, grazie al coinvolgimento di numerosi esperti, è stata fatta una sorta di censimento dei nanomateriali più diffusi, dal quale è emerso che sono utilizzati soprattutto con tre finalità:
· come additivi per migliorare l’aspetto e la palatabilità dei cibi; per esempio, a tal fine si utilizzano gli E341iii, fosfati tricalcici, e l’E551, la silice amorfa;
· come materiali a contatto con gli alimenti per aumentare la sicurezza degli imballaggi; per esempio se ne usano vari in funzione antimicrobica;
· come sostanze nutritive; per esempio si impiega carbonato di calcio nel latte artificiale per avere una concentrazione ottimale di calcio.
In Francia, la presenza di questi materiali deve essere indicata in etichetta per legge già dal 2013, e la dichiarazione va inserita in un apposito registro chiamato R-Nano, gestito dalla stessa Anses. Chiunque produca o utilizzi più di 100 grammi di questi materiali deve riferire i dettagli all’autorità, in teoria. Tuttavia, secondo quanto afferma la stessa agenzia, la realtà è diversa, e l’identificazione e la tracciabilità dei nanomateriali usati a fini alimentari lasciano parecchio a desiderare.
Per il momento sono stati identificati almeno 37 composti, per 7 dei quali la presenza è stata accertata (carbonato di calcio, biossido di titanio, ossidi e idrossidi di ferro, silicati di calcio, fosfati tricalcici, silice amorfa sintetica, composti organici), mentre per gli altri (alluminio, argento, oro, fosfato di magnesio, citrato d’ammonio ferrico, sali di sodio, di potassio e di calcio, sali di acidi grassi e altri) è stata ipotizzata.
Per quanto riguarda le analisi, è possibile identificare la presenza di nanomateriali grazie al microscopio elettronico e altri metodi analitici, che permettono anche di distinguere tra quelli aggiunti in fase di produzione e quelli naturalmente presenti. Tuttavia si tratta sempre di sostanze molto eterogenee per granulometria, distribuzione, taglia, e questo non consente di estrapolarne la presenza in lotti interi, ma solo in singoli prodotti. Per ora, all’Anses ne risultano più di 900 con almeno un additivo in versione nano accertato, anche se questo censimento non ha tenuto conto della sospensione di un anno per l’E171, il biossido di titanio, entrata in vigore lo scorso primo gennaio. Tra i prodotti più comuni vi sono il latte per l’infanzia (25,6%), le caramelle e simili (15,6%), i cereali da colazione (14,8%), le barrette di cereali (12,9%), i semifreddi e i gelati (10,9%).
La tappa successiva, sulla quale l’agenzia sta già lavorando, è quella relativa ai rischi per la salute, che dovrebbe essere incentrata sul singolo prodotto. I attesa di saperne di più (la data prevista per i primi risultati è il 2021), si invitano tutti i produttori a rispettare le normative e a tenere presenti le raccomandazioni già rese note in passato, basate sul contenimento dell’esposizione dei consumatori e sulla scelta di altre sostanze più note e sicure ogni volta che sia possibile.
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Giornalista scientifica
Ecco , come dice l’introduzione dell’articolo sono almeno trent’anni che queste nano sostanze circolano nei prodotti alimentarie e/o nelle confezioni , ora senz’altro molto più, ma mentre nell’ industria si viaggia a gran velocità nelle innovazioni e applicazioni sostanziali le leggi regolatrici sono scarse e confuse e le ricerche mediche sugli effetti nel corpo umano sono lacunose e legate al verbo condizionale e limitate dagli alti costi di esecuzione degli esami.
Non rimane che accettare questa regola diabolica applicata qui e altrove, in cui il sistema (legislatori produttori sanità) permette che i consumatori per decenni siano cavie in cambio di prodotti sempre più sofisticati e alla moda ma sostanzialmente sempre più innaturali e minacciosi per la salute. …..oppure rifiutarla.
Io la mia scelta l’ho fatta e la difendo , a ognuno la sua.
Il dramma è che la quasi totalità dei prodotti a cui tali additivi vengono aggiunti vengono “considerati” “migliorati”, rispetto agli omologhi che ne sono privi e vengono visti tali anche dagli acquirenti (spesso madri, visto che l’infanzia è uno dei target preferiti). D’altra parte non dobbiamo dimenticare – per fare una considerazione sui comportamenti efficientisti umani aberranti – che il doping circola spesso nel ciclismo non solo amatoriale ma anche in molti gruppi di amici, cosa che rivela la percezione del rapporto prestazioni/rischio nella vita quotidiana di molte persone!
condivido appieno.