Gli insaccati si chiamano così perché tradizionalmente le carni – di maiale o di altri animali – si “insaccano” in budelli animali o in altri involucri che possono essere naturali o no. Questo aspetto è una caratteristica cui non prestiamo molta attenzione, anche perché le etichette spesso si limitano a sottolineare l’iroso di un “involucro non edibile”. A dispetto di ciò l’involucro che ricopre salami e salsicce svolge un ruolo importante nell’ambito della qualità del prodotto. Abbiamo cercato di capirne di più con l’aiuto di Assica, l’associazione che rappresenta i produttori di salumi e del Consorzio di tutela del Budello Naturale che promuove l’utilizzo di questi involucri.
“Le Aziende del settore carni trasformate utilizzano involucri di diversa tipologia e natura che rispondono a esigenze differenti – spiegano i responsabili di Assica– in alcuni casi non fanno parte del prodotto finito – come per i salumi venduti pelati, affettati e confezionati – mentre in altre situazioni, come i salumi insaccati, l’involucro è parte integrante del prodotto e svolge indispensabili funzioni tecnologiche, protettive e di contenimento”. Tradizionalmente si utilizzavano gli intestini del maiale – e non solo – o altre parti dell’animale come vescica o cotenna, oggi sostituiti in buona parte con altri materiali, sia naturali sia sintetici. Sono sempre più diffusi i budelli prodotti con materiali plastici di vario tipo, a base di poliammide e polimeri, ma esistono anche involucri artificiali organici, “che possono essere edibili. Tra questi troviamo i budelli collati, ottenuti da ritagli o scarti di intestino sovrapposti in più strati per rinforzarli e incollati, quindi modellati su “stampi” cilindrici o a forma di sacco e consolidati durante l’essiccamento. “Ci sono poi i budelli ottenuti da collagene ricavato da parti animali, come ossa o dallo strato interno della pelle bovina, che possono essere edibili o meno a seconda della metodologia di produzione. E infine budelli di origine vegetale ricavati da fibre di cellulosa o dal lino integrate con plastificanti e reticolami. Questi materiali – spiegano i responsabili di Assica – non si possono definire edibili, ma sono caratterizzati da una grande solidità e permeabilità” .
“Non è possibile sapere esattamente quali siano gli involucri più diffusi – spiega Giorgio Borsari presidente del Consorzio di tutela del budello naturale – anche se approssimativamente poco più della metà della produzione di salumi utilizza quello naturale”. Questo vale per soprattutto per i salumi DOP o IGP – con qualche eccezione come il salame Cacciatore che può essere insaccato anche con budello artificiale . In questo caso si usano intestini di animali diversi a seconda della tradizione e della pezzatura del salume”. “I tratti dell’apparato digerente dei diversi animali hanno spessore e calibro diverso, e si adattano ai vari tipi di lavorazione e di stagionatura”, spiega Borsari: ad esempio i tratti più larghi e di maggior spessore consentono una stagionatura prolungata mentre per la luganega, di dimensioni ridotte, si usa in genere budello di origine ovina.
La normativa, come già accennato, non aiuta a capire; solitamente, sia per i prodotti insaccati in budello naturale o artificiale, ci si limita a specificare che si tratta di “budello non edibile”, oppure “da rimuovere prima del consumo”. Non esiste insomma l’obbligo di indicare se si fa uso di un prodotto naturale, anche se il Consorzio di tutela del budello naturale si sta adoperando perché i produttori utilizzino un logo che attesta l’utilizzo del prodotto, per salvaguardare la tradizione e la professionalità. “La diffusione del budello artificiale si deve al costo contenuto, alla maggior resistenza e alla possibilità di standardizzare meglio il ciclo produttivo – anche se precisa Assica –l’involucro naturale ha svolto, da sempre, un ruolo fondamentale nel processo di lavorazione dei prodotti insaccati”.
È sul budello naturale, infatti, che si formano le muffe nobili che conferiscono al prodotto il suo particolare aroma: “Il processo di stagionatura avviene attraverso l’eliminazione dell’acqua e la gestione di una fermentazione controllata”, spiega Borsari, “il budello naturale non è un semplice involucro ma un elemento vivo del salume, al punto che diversi tipi di budelli determinano sapori, gusti e perfino colori diversi”.
Per utilizzare i budelli naturali , si tratti di materia prima di origine nazionale o importata, è necessaria una lunga lavorazione che può essere svolta solo in macelli sotto controllo veterinario con un opportuno spazio detto reparto tripperia. È qui che i budelli – provenienti da animali giudicati sani da visita veterinaria ante e post mortem – sono svuotati, puliti e raffreddati a temperatura non superiore a 3°. In seguito il budello viene fatto macerare sotto sale per circa un mese (una fase indispensabile per garantirne la salubrità ) e poi dissalato e ulteriormente sanificato al momento dell’uso. “ Una metodologia sicura”, prosegue il responsabile del Consorzio, “che combinata con le buone pratiche di lavorazione nell’ambiente in cui viene preparato il salume contiene e limita i rischi di contaminazione”. Per quanto riguarda gli involucri sintetici o plastici, si tratta di un materiale non edibile a contatto con la carne, un po’ come le vaschette o le plastiche usate per confezionare la carne fresca, che devono rispondere a precisi requisiti per escludere l’eventualità di un rilascio di composti indesiderati.
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giornalista scientifica
La parola usata macerare sotto sale non mi sembra appropriata, da una idea di qualcosa di non idoneo
riposare o altro … direi meglio